Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30801 del 03/06/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 30801 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MUOIO ALFREDO N. IL 02/12/1954
RAPICANO RENATO N. IL 11/02/1971
avverso la sentenza n. 6103/2007 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
05/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GERARDO SABEONE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. birtii,„
che ha concluso per ‘ ti it
o 14 g` o to,

Udito, per la parte civile, l’Avv
UditzildifensorzAvv.

\14,PL4J.O

Data Udienza: 03/06/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Napoli, con la sentenza del 5 febbraio 2013 ha
confermato la sentenza del GUP presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere
del 16 novembre 2006, emessa a seguito di rito abbreviato, con la quale Muoio

56, 110 e 453 cod.pen..
In punto di fatto, i ricorrenti erano stati ritenuti responsabili di tentata
contraffazione continuata di banconote da 50 e 100 euro mediante la detenzione
di strumenti destinati alla produzione di ulteriori banconote false (fogli di carta
filigranata e non, nonché lastre clichè con impressione del disegno, della filigrana
e di strisce di vario colore per la stampa di banconote).
2. Avverso tale sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione gli
imputati, a mezzo del comune difensore, lamentando:
Muoio Alfredo
a) una violazione di legge per l’erronea dichiarazione di contumacia in
quanto la citazione per il giudizio di appello veniva notificata al domicilio reale
ma non a mani proprie dell’imputato pur in presenza di una elezione di domicilio
presso lo studio del procuratore;
b) un travisamento dei fatti, con violazione dell’articolo 521 cod.proc.pen.
per un capo d’imputazione mai contestato con particolare riferimento alla
contraffazione di banconote da 100 euro;
c) una carenza di motivazione in merito alla mancata concessione delle
attenuanti generiche e alla determinazione della pena.
Rapicano Renato
a) il travisamento dei fatti e la carenza di motivazione già evidenziati per
il coimputato alle dianzi indicate lettere b) e c).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi non sono meritevoli di accoglimento.
2. Quanto al primo motivo, in rito, sollevato dal solo ricorrente Muoio si
osserva che la giurisprudenza di questa Corte a Sezioni Unite è nel senso che, in
tema di notificazione della citazione all’imputato, la nullità assoluta ed insanabile
1

Alfredo e Rapicano Renato erano stati condannati per il delitto di cui agli articoli

prevista dall’articolo 179 cod.proc.pen. ricorra solo nel caso in cui la notificazione
della citazione sia stata omessa o, quando, essendo stata eseguita in forme
diverse da quelle prescritte, risulti inidonea a determinare la conoscenza effettiva
da parte dell’imputato, mentre non ricorre nei casi in cui vi sia stata
esclusivamente la violazione delle regole sulle modalità di esecuzione, alla quale
consegue l’applicabilità della sanatoria di cui all’articolo 184 cod.proc.pen. (v.
Cass. Sez. Un. 7 gennaio 2005 n. 119).

previste non integra infatti, necessariamente, un’ipotesi di omissione della
notificazione, ma da luogo ad una nullità di ordine generale, soggetta alla
sanatoria speciale di cui all’articolo 184 cod.proc.pen., comma 1, alle sanatorie
generali di cui all’articolo 183 cod.proc.pen. ed alle regole di deducibilità di cui
all’articolo 182 cod.proc.pen., oltre che ai termini di rilevabilità di cui di cui
all’articolo 180 cod.proc.pen., sempreché non appaia in astratto o non risulti in
concreto inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte del
destinatario.
Inoltre, la parte che deduce la nullità assoluta della notificazione non può
limitarsi a denunciare l’inosservanza della norma processuale, ma deve
rappresentare di non avere avuto conoscenza dell’atto ed indicare gli elementi
che consentano le verifica di quanto affermato.
Nella specie, il consentito esame degli atti di causa permette di acclarare
come il decreto di citazione per il giudizio d’appello venne notificato il 26 ottobre
2012 presso lo studio dell’avvocato Varano, preteso domiciliatario di fiducia e il
successivo 14 novembre 2011 presso la residenza del ricorrente Muoio a mani
del figlio capace e convivente.
Osserva il Collegio che la validità della notifica della citazione effettuata
presso lo studio del difensore non può ritenersi inidonea a determinare la
conoscenza effettiva della citazione da parte dell’imputato, considerato il
rapporto fiduciario che lega quest’ultimo al difensore, il quale ha mantenuto il
mandato fiduciario per tutti i gradi del giudizio di merito, e rilevato che non
risulta evidenziato alcun elemento per avvalorare l’ipotesi che l’imputato, pur
contumace, non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento per il tramite
appunto del proprio difensore.
Da ciò consegue che anche la eventuale adozione di un modello di
notificazione diverso dalla prescritta consegna al domicilio dichiarato avrebbe
determinato una nullità a regime intermedio, non assoluta, della notificazione del
decreto di citazione in appello; ma siffatta nullità non può essere più rilevata dal
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La notificazione della citazione all’imputato con forme diverse da quelle

momento che la questione di nullità non è stata sollevata, come è pacifico non
avendone fornito il ricorrente alcuna indicazione nel presente atto di gravame né
ravvisandosi nei verbali delle udienze 20 dicembre 2012 e 5 febbraio 2013,
celebratesi alla presenza dell’avvocato Varano, la necessaria manifestazione di
volontà dello stesso sul punto della pretesa nullità.
3. Sempre in via preliminare, ma con valenza questa volta generale,
s’impongono le seguenti considerazioni.

sentenza di appello, questa Corte ha avuto modo di precisare che l’integrazione
della motivazione tra le conformi sentenze di primo e secondo grado sia possibile
soltanto se nella sentenza d’appello sia riscontrabile un nucleo essenziale di
argomentazione, da cui possa desumersi che il Giudice del secondo grado, dopo
avere proceduto all’esame delle censure dell’appellante, abbia fatto proprie le
considerazioni svolte dal primo Giudice.
Più specificamente, l’ambito della necessaria autonoma motivazione del
Giudice d’appello risulta correlato alla qualità e alla consistenza delle censure
rivolte dall’appellante: se questi si limita alla mera riproposizione di questioni di
fatto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo Giudice,
oppure di questioni generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il Giudice
dell’impugnazione ben può motivare per relazione e trascurare di esaminare
argomenti superflui, non pertinenti, generici o manifestamente infondati.
Quando, invece, le soluzioni adottate dal Giudice di primo grado siano
state specificamente censurate dall’appellante, sussiste il vizio di motivazione,
sindacabile ex articolo 606 cod.proc.pen., comma 1, lett. e), se il Giudice del
gravame si limiti a respingere tali censure e a richiamare la contestata
motivazione in termini apodittici o meramente ripetitivi, senza farsi carico di
argomentare sulla fallacia o inadeguatezza o non consistenza dei motivi di
impugnazione. (v. Cass. Sez. VI 12 giugno 2008 n. 35346).
Nella specie si è verificata l’ipotesi di legittima motivazione per relationem
a cagione della riproduzione, quali motivi dell’impugnazione, delle censure
proposte in prime cure ed a fronte della completezza della decisione del primo
Giudice; il tutto non senza considerare, con assorbente considerazione, che il
Giudice dell’appello si sia basato soprattutto sugli accertamenti di fatto contenuti
nell’impugnata decisione e vi abbia sovrapposto le proprie logiche considerazioni
proprio in funzione delle doglianze degli appellanti.
Al generale obbligo di motivazione corrisponde, inoltre, un ulteriore
obbligo specifico in punto di apprezzamento del corredo probatorio, giacché
3

Nel delineare i limiti di legittimità della motivazione per relationem della

paradigmaticamente, a norma dell’articolo 192, comma 1, del codice di rito, dei
risultati che scaturiscono dalla valutazione della prova e dei criteri adottati (il
profilo “sostanziale” del tasso di persuasività della prova, e quello “metodologico”
del percorso seguito per giungere a quel determinato convincimento) il Giudice è
chiamato a darne conto nella motivazione.
I limiti che, pertanto, presenta nel giudizio di legittimità il sindacato sulla
motivazione, ineluttabilmente si riflettono, dunque, anche sul controllo in ordine

del percorso decisionale adottato dai Giudici del merito, alla Corte di Cassazione
sarebbe riservato un compito di rivalutazione delle acquisizioni probatorie,
sostituendo, in ipotesi, all’apprezzamento motivatamente svolto nella sentenza
impugnata, una nuova e alternativa valutazione delle risultanze processuali che
ineluttabilmente sconfinerebbe in un eccentrico terzo grado di giudizio.
Da qui, il ripetuto e constante insegnamento (v. Cass. Sez. VI 15 marzo
2006 n. 10951 e Sez. V 6 ottobre 2009 n. 44914) in forza del quale, alla luce
degli espressi e non casuali limiti che circoscrivono, a norma dell’articolo 606,
comma 1, lett. e) cod.proc.pen., il controllo del vizio di motivazione in
Cassazione la Corte non deve stabilire se la decisione di merito proponga la
migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve
limitarsi a verificare, sulla base del testo del provvedimento impugnato, se
questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una
plausibile opinabilità di apprezzamento: e ciò proprio perché il richiamato articolo
606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen., non consente alla Corte, che deve
limitarsi ad apprezzare la adeguatezza del corredo argomentativo e la non
manifesta illogicità del relativo percorso, di procedere ad una diversa lettura dei
dati processuali o ad una diversa interpretazione delle prove (o della relativa
affidabilità ed inferenza), perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo
della correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali.
Inoltre, in tema di ricorso per cassazione, quando ci si trovi dinanzi a una
“doppia pronuncia conforme” e cioè a una doppia pronuncia (in primo e in
secondo grado) di eguale segno (vuoi di condanna, vuoi di assoluzione),
l’eventuale vizio di travisamento possa essere rilevato in sede di legittimità, ex
articolo 606 cod.proc.pen., comma 1, lett. e), solo nel caso in cui il ricorrente
rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente
travisato sia stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella
motivazione del provvedimento di secondo grado (v. Cass. Sez. IV 10 febbraio
2009 n. 20395); il che non è accaduto nel caso di specie.
4

alla valutazione della prova, giacché altrimenti anziché verificare la correttezza

4. Tutto ciò premesso, quanto al secondo motivo del Muoio e al primo del
Rapicano, può affermarsi che non vi sia stata, come già correttamente affermato
dal Giudice del merito (v. da pagina 3 a pagina 7 della motivazione), alcuna
violazione dell’articolo 521 cod.proc.pen., posto che la condotta in origine
ascritta ai ricorrenti è stata soltanto precisata nella sua qualificazione giuridica,
senza che si sia verificata alcuna difformità tra quanto previsto nel capo
d’imputazione e quanto realmente emerso dall’istruttoria dibattimentale; pieno

il quale la pretesa violazione dell’articolo 521 del codice di procedura si verifica
solo in ipotesi di trasformazione radicale della contestazione nei suoi elementi
essenziali del fatto (v. Cass. Sez. Un. 15 luglio 2010 n. 36551).
Nella specie, infatti, i ricorrenti evidenziano la mancata contestazione
anche della tentata o consumata falsificazione delle banconote da 100 euro e
della detenzione di strumenti idonei alla loro contraffazione che, come
correttamente affermato dalla Corte territoriale, rimangono, da un lato, escluse
dalla condanna effettiva, che ha riguardato soltanto il ritenuto tentativo di cui
all’articolo 453 cod.pen. nonché, in ogni caso, contenute nella generica
contestazione della detenzione di strumenti destinati alla produzione di “ulteriori”
banconote false che entrambi i Giudici del merito hanno ritenuto assorbite nella
fattispecie di cui all’articolo 453 cod.pen. sia pur nella forma tentata.
5. Con riguardo al diniego della concessione delle attenuanti generiche,
trattasi di doglianza che, per un verso, passa del tutto sotto silenzio la pur
esistente motivazione offerta sul punto dalla Corte territoriale (v. pagina 10 della
sentenza impugnata) e, per altro verso, non contiene alcuna indicazione circa le
specifiche ragioni che avrebbero dovuto dar luogo alla chiesta concessione.
Si rammenta, al riguardo, che la concessione delle attenuanti generiche
risponda a una facoltà discrezionale, il cui esercizio, positivo o negativo che sia,
deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il
pensiero dello stesso Giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla
gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo; tali attenuanti non vanno
intese come oggetto di una benevola concessione da parte del Giudice, nè
l’applicazione di esse costituisce un diritto in assenza di elementi negativi, ma la
loro concessione deve avvenire come riconoscimento della esistenza di elementi
di segno positivo, suscettibili di positivo apprezzamento (v. Cass. Sez. VI 28
ottobre 2010 n. 41365 e Sez. III 27 gennaio 2012 n. 19639); a ciò può
aggiungersi come, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze
attenuanti generiche sia sufficiente che il Giudice di merito prenda in esame
5

ossequio, pertanto, al più recente indirizzo emerso in sede di legittimità, secondo

quello, tra gli elementi indicati dall’articolo 133 cod.pen., che ritiene prevalente
ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo
elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle
modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le
attenuanti medesime (v. Cass. Sez. H 18 gennaio 2011 n. 3609).
Il che è quanto avvenuto nella specie.
6. La quantificazione della pena, infine, può essere sindacata avanti questi

quelli edittali ovvero in maniera illogica; la determinazione in concreto della
pena, infatti, costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un
giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicché l’obbligo della
motivazione da parte del Giudice dell’impugnazione deve ritenersi
compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi
d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione della pena tra il minimo e il
massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva; ciò dimostra,
infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli
aspetti indicati nell’articolo 133 cod.pen. ed anche quelli specificamente segnalati
con i motivi d’appello; nella specie non vi è pena illegale, anni quattro di
reclusione ed euro 1.000,00 di multa, in quanto la forbice della pena per il delitto
di cui agli articoli 56 e 453 cod.pen. varia da anni due ad anni otto di reclusione
(da anni tre ad anni dodici per il reato consumato) e la Corte ha motivato,
altresì, in merito all’impossibilità di addivenire ad una sanzione più mite.
7. Il rigetto dei ricorsi determina, in conclusione, la condanna di ciascun
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.T.M.

La Corte, rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 3 giugno 2014.

Giudici di legittimità soltanto allorquando sia stata effettuata in limiti superiori a

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