Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30794 del 27/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 30794 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: POSITANO GABRIELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BARALDI CESARE N. IL 27/08/1962
HARDNEX HOLDING SRI
nei confronti di:
BAROLO LARA N. IL 20/04/1969
avverso la sentenza n. 30/2012 TRIBUNALE di PADOVA, del
05/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 27/05/2014

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dr Giuseppe Volpe, ha concluso chiedendo il
rigetto dei ricorsi.
Per la parte civile è presente l’Avvocato Salvatore Frattallone, il quale conclude chiedendo
l’accoglimento del ricorso. Deposita nota spese.
Per Barolo Lara è presente l’Avvocato Piero Frattarelli, il quale chiede il rigetto del ricorso e
deposita nota spese.

1. Il difensore delle parti civili Baraldi Cesare e S.r.l. Hardnex Holding, in persona del
predetto Barardi, quale I.r., propone ricorso per cassazione, ai sensi degli articoli 576 e
606 del codice di rito, avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Padova in data 5
febbraio 2013 che confermava la decisione adottata dal Giudice di Pace di Padova in
data 7 maggio 2012 di assoluzione di Barolo Lara, imputata del reato di cui all’articolo
595 del codice penale, per avere offeso la reputazione di Baraldi Cesare, manifestando
alla presenza di terzi l’intenzione di denunziarlo per appropriazione indebita.
2. Il giudice di primo grado aveva escluso l’effettiva capacità offensiva della reputazione
della frase incriminata, anche alla luce del contenuto di una lettera raccomandata
acquisita in atti con la quale si sollecitava il pagamento degli incassi per conto della
agenzia Liguria Assicurazioni, antecedente ai fatti, evidenziando anche la discordanza
delle deposizioni rese dai testi escussi.
3. Avverso tale decisione ha proposto appello la parte civile, ai soli effetti della
responsabilità civile, eccependo l’inammissibilità della prova della verità del fatto,
attribuito alle parti offese e, in subordine, l’irrilevanza del contenuto della lettera,
comunque acquisita ai sensi dell’articolo 507 del codice di rito, nonché il travisamento
dei fatti e delle dichiarazioni rese dai testi escussi. Il Tribunale ha ritenuto infondati i
motivi di appello confermando la decisione impugnata.
4. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il difensore di Baraldi Cesare e
S.r.l. Hardnex Holding, in persona del legale rappresentante Baraldi Cesare

RITENUTO IN FATTO

lamentando:

mancanza di motivazione relativamente al motivo di appello riguardante
l’inammissibilità della prova della verità del fatto;

violazione di legge, attesa l’inammissibilità della prova della verità del fatto attribuito
alla persona offesa, ai sensi dell’articolo 596 del codice penale;

violazione di legge riguardo ai limiti intrinseci della scriminante dell’esercizio del diritto,
in particolare del diritto di credito, ai sensi dell’articolo 51 del codice penale.

Nell’interesse di Barolo Lara è stata depositata in data 2 maggio 2014 memoria
difensiva a sostegno delle motivazioni contenute nella sentenza di appello, concludendo
per la dichiarazione di inammissibilità o di rigetto del ricorso presentato dalle parti civili,
con condanna alla rifusione delle spese in favore dell’imputata.
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CONSIDERATO IN DIRITTO

La sentenza impugnata non merita censura.
1. Con il primo motivo di ricorso la difesa di Baraldi Cesare e della S.r.l. Hardnex Holding
lamenta mancanza di motivazione riguardo al motivo di appello relativo
all’inammissibilità della prova della verità del fatto. In particolare, il giudice di secondo

di doglianza relativo all’inammissibilità della prova della verità del fatto, ha
completamente omesso di motivare sul punto al fine di spiegare l’applicazione
dell’articolo 596 del codice penale al caso di specie.
2. Con il secondo motivo censura l’erronea applicazione della legge penale e
l’inammissibilità della prova della verità del fatto ai sensi dell’articolo 596 del codice
penale. In deroga a tale disposizione il giudice di appello ha esteso il tema della prova
del giudizio di merito ammettendo l’imputata, Barolo Lara, a provare la verità del fatto
addebitato alle odierne parti civili, ponendo a base del ragionamento giuridico proprio
l’asserita verità del fatto.
3. I primi due motivi possono essere trattati unitamente, poiché riguardano l’applicazione
dell’articolo 596 del codice penale. La questione non è rilevante poiché il giudice di
merito, sia in primo, sia in secondo grado, ha ritenuto non provata, in termini di
sufficiente certezza, la circostanza che l’imputata abbia pronunziato frasi offensive della
reputazione delle parti civili, senza operare alcun riferimento all’ecxeptio veritatis. Il
Tribunale ha confermato la decisione di assoluzione ritenendo l’imputata non colpevole
del reato ascrittole e non, ai sensi dell’articolo 596 del codice penale, non punibile per la
dimostrata verità del fatto. Tale norma va presa in esame solo nell’ipotesi in cui sussista
la prova della commissione, da parte della imputata, di un fatto astrattamente idoneo a
integrare il reato di ingiuria o quello di diffamazione. Conseguentemente, difettando la
prova della sussistenza del reato, il giudice di merito ha correttamente ed

grado pur dando atto che le appellanti parti civili avevano proposto uno specifico motivo

implicitamente ritenuto assorbita, in quanto irrilevante, la doglianza degli appellanti in
ordine all’esclusione della prova liberatoria (ecxeptio veritatis).
4. In particolare, la decisione adottata dal Giudice di appello si fonda proprio sull’assenza
di certezza che l’imputata abbia pronunciato, tanto più alla presenza di più persone,
frasi offensive della reputazione dei querelanti, tale non potendosi ritenere l’unica
affermazione per la quale, invece, è stata raggiunta la prova e non essendo dimostrato
che l’imputata ne abbia profferite altre.
5. Con il terzo motivo la difesa lamenta la violazione dell’articolo 51 del codice penale con
riferimento ai limiti intrinseci della scriminante. Il Tribunale ha accolto la tesi
dell’applicabilità di tale esimente, nonostante l’esistenza di una controversia giuridica o,
comunque, di un dubbio riguardo al diritto di credito fatto valere. In secondo luogo, non

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è stato operato il doveroso bilanciamento concreto fra diritti costituzionalmente
garantiti che avrebbe dovuto escludere l’applicazione della scriminante nel momento in
cui l’imputata ha attribuito alla persona offesa comportamenti socialmente e
penalmente censurabili, travalicando i limiti della norma. In particolare, avrebbe
comunicato la situazione debitoria altrui, a soggetti terzi ed estranei rispetto alla
situazione debitoria, che sarebbe alla base della richiesta di pagamento, con un
comportamento certamente offensivo, senza rispettare i limiti della continenza e

6. Il motivo è destituito di fondamento sulla base della medesima motivazione che
riguarda i primi due motivi di ricorso, in quanto l’imputata è stata assolta per
insufficienza dei fatti costitutivi del reato di diffamazione, mentre il riferimento operato
dal giudice di secondo grado all’articolo 51 del codice penale costituisce soltanto una
ragione ulteriore, rispetto a quella sufficiente a sostenere la decisione e che non è stata
oggetto di impugnazione. Poiché il giudice di merito non ha fondato la decisione
sull’applicazione l’articolo 51 del codice penale, ma sull’oggettiva inidoneità della
(diversa) frase certamente riferibile alla imputata (il fatto di avere lamentato dei ritardi
nei pagamenti) ad offendere la reputazione delle parti offese, la censura è irrilevante.
7. La richiesta di condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali sostenute
dalla Barolo nel presente procedimento non può trovare accoglimento non ricorrendo i
presupposti della temerarietà della lite, dovendosi escludere, per le ragioni sopra
illustrate, che l’iniziativa dell’azione penale sia stata provocata da grave inavvedutezza
del denunziante, sulla base dei criteri che governano tale istituto ex art. 96 c.p.c. e nei
limiti della colpa grave (Sez. 4, n. 12284 del 06/06/1990 – dep. 07/09/1990, Verdi, Rv.
185269).

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, ciascuno, delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 27/05/2014
Il Consigliere estensore

Il Presidente

dell’interesse della notizia.

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