Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30792 del 27/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 30792 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: POSITANO GABRIELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE MATTIA NICOLA MICHELE BENEDETTO N. IL 05/03/1954
avverso la sentenza n. 5004/2012 TRIB.SEZ.DIST. di SAN SEVERO,
del 22/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 27/05/2014

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dr Giuseppe Volpe, ha concluso chiedendo
l’inammissibilità del ricorso.
Per il ricorrente è presente l’Avvocato Liliana Saremme in sostituzione, la quale chiede
l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO

1. Il difensore di De Mattia Nicola Michele Benedetto propone ricorso per cassazione contro

San Severo, che confermava la decisione adottata dal Giudice di Pace di San Severo, in
data 14 febbraio 2012, di condanna dell’imputato al pagamento della somma di euro
200 di multa, oltre al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede, in favore
della costituita parte civile, De Mattia Anita Edvige Eleonora. L’imputazione riguardava il
reato di cui all’articolo 594 c.p. commesso in San severo il 22 aprile 2005, per avere
l’imputato apostrofato la persona offesa con espressioni offensive.
2. In sede di appello il Tribunale aveva rigettato l’eccezione di inutilizzabilità del verbale di
sommarie informazioni rese da D’Andrea Francesco Alfonso, aveva ritenuto offensive le
frasi profferite, attendibile la dichiarazione della persona offesa, riscontrata da quella
del teste D’Andrea e infondata la richiesta di applicazione dell’esimente della
provocazione.
3. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la difesa di De Mattia Nicola
lamentando:

violazione di legge e vizio di motivazione riguardo all’acquisizione del verbale di
sommarie informazioni testimoniali, non ricorrendo i presupposti previsti all’articolo 512
del codice di rito;

violazione di legge e assenza di motivazione riguardo al controllo di attendibilità delle
dichiarazioni della persona offesa;

violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta offensività delle
dichiarazioni attribuite all’imputato;

la sentenza emessa il 22 ottobre 2012 dal Tribunale di Foggia, Sezione Distaccata di

violazione di legge e il vizio di motivazione, oltre che travisamento della prova, riguardo
alla sussistenza del presupposto del “fatto ingiusto” di cui all’articolo 599, secondo
comma, del codice penale, ai fini della provocazione putativa;

violazione di legge, attesa l’insussistenza di una prova certa di responsabilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Preliminarmente, va rilevato che il reato contestato è stato consumato il 22 aprile 2005
e, quindi, il termine prescrizionale di sette anni e sei mesi, con la sospensione dei
termini di giorni 154 è maturato il 25 marzo 2013, ovvero successivamente alla
pronuncia della sentenza di secondo grado. Orbene i motivi di impugnazione, per quel
che si dirà, non sono inammissibili e, quindi, del maturarsi del termine prescrizionale si
deve tenere conto anche in sede di legittimità. 64r(

2. Non ricorrono i presupposti per una pronuncia assolutoria ex art. 129 c.p.p., comma 2,
perché, tenuto conto di quanto emerge a carico del De Mattia dalla motivazione delle
due sentenze, non risulta evidente la estraneità del ricorrente ai fatti contestati.
Cosicché è necessario prendere atto della intervenuta causa estintiva e annullare senza
rinvio la sentenza impugnata per essere estinto il reato per intervenuta prescrizione.
3. I motivi di ricorso debbono essere però valutati ai fini delle statuizioni civili ai sensi
dell’art. 578 c.p.p.

difetto di motivazione riguardo alla legittimità della ordinanza resa all’udienza dell’8
febbraio 2011, con la quale il Giudice di Pace di San Severo aveva disposto
l’acquisizione del verbale di sommarie informazioni testimoniali rese da D’Andrea
Francesco Alfonso davanti ai Carabinieri di Vasto, in considerazione del complessivo
quadro clinico del teste. In particolare, l’articolo 512 del codice di rito postula
l’impossibilità assoluta, mentre nel caso di specie, la patologia accertata limiterebbe
esclusivamente la capacità di deambulare e non anche quella di ricordare e di esporre i
fatti. Conseguentemente deduce la violazione dell’articolo 526 c.p.p.
5. La doglianza è infondata.
6. Dalle risultanze processuali emerge un quadro assai critico della posizione clinica di
D’Andrea Francesco, affetto da grave patologia che gli impediva di deambulare, oltre
che da cardiopatia ischemica e grave quadro clinico (in tal senso il contenuto del
verbale dell’udienza dell’8 febbraio 2011 e del 3 marzo 2011 relativo all’attestazione
della dott.ssa Anna Ambrosini della RSA Villa Sangiovanni).
7. Il giudice di prime cure ha correttamente richiamato il principio giurisprudenziale
secondo cui l’assoluta impossibilità a comparire derivante da infermità fisica, come
causa ostativa del giudizio contumaciale, non va intesa in senso esclusivamente
meccanicistico, come impedimento materiale a fare ingresso nell’aula di udienza che sia
superiore a qualsiasi sforzo umano e che prescinda dalle condizioni psico-fisiche in cui
versa il soggetto. Sulla base di tali valutazioni il grave quadro clinico prospettato

4. Con il primo motivo di ricorso la difesa dell’imputato lamenta inosservanza di legge e

costituiva presupposto idoneo per il provvedimento adottato. In ogni caso, occorre
considerare che oltre al profilo meccanicistico della deambulazione, correttamente il
Tribunale ha preso in esame la circostanza secondo cui il teste deve essere posto in
condizioni di presenziare al processo in modo vigile e attivo, circostanza certamente
non sussistente nel caso di specie, come si legge nel verbale di udienza dell’8 febbraio
2011. Sotto tale profilo la valutazione operata dal giudice di primo grado è in linea con
l’orientamento giurisprudenziale, costantemente ribadito in tema di garanzie di difesa
dell’imputato che intenda presenziare al processo, secondo cui l’impedimento deve
ritenersi sussistente non solo nel caso di incapacità assoluta a deambulare, ma anche
per tutte le patologie che compromettano la necessaria tranquillità e la possibilità per la

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parte interessata di partecipare al processo in modo vigile e attivo (Cass. Sez. 6 del 4
febbraio 2005, n. 12836; Cass. Sez. 6, del 5 novembre 2008 n. 43885.)
8. Con il secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e difetto assoluto di
motivazione riguardo al controllo di attendibilità più rigoroso richiesto in presenza di
una persona offesa che si sia costituita parte civile. Nel caso di specie, De Mattia Anita
avrebbe descritto i fatti in termini diversi rispetto a quanto riferito dai testi escussi. In
particolare, i profili di maggiore divergenza riguarderebbero il contenuto delle

mentre il teste D’Andrea Francesco avrebbe riferito “scema, deficiente, stupida”), il
fatto che tali espressioni sarebbero state espresse dopo che il falegname era andato
via, mentre secondo il teste D’Andrea questo sarebbe avvenuto prima dell’arrivo del
falegname e che la persona offesa aveva anche riferito di essere stata minacciata (“ti
butto giù dalle scale”), oltreché insultata, mentre tale profilo non è stato ricordato dal
teste D’Andrea.
9. La censura è infondata. Certamente non ricorre l’ipotesi della “mancanza di
motivazione” prospettata dalla difesa, poiché il giudice a quo argomenta sul punto
operando un controllo sull’attendibilità della versione della p.o. e individua e valorizza i
riscontri.
10.In ogni caso, i profili evidenziati riguardano aspetti marginali della vicenda, con
particolare riferimento all’uso delle singole espressioni offensive e della minaccia che,
ben potrebbero essere sfuggite all’attenzione del teste. Nello stesso modo, costituisce
un fatto del tutto secondario la collocazione temporale dell’offesa rispetto all’intervento
del falegname, come correttamente evidenziato dal giudice di secondo grado.
11.Con il terzo motivo lamenta violazioni di legge per mancanza o manifesta illogicità della
motivazione, riguardo all’idoneità offensiva delle frasi utilizzate. Si tratterebbe di
termini entrati nel linguaggio parlato, di uso comune, che avrebbero perso qualsiasi
valenza offensiva. In particolare, la Suprema Corte ha ritenuto il termine “pazzo”,
certamente inelegante, ma privo di valenza diffamatoria (Cass. n. 16780 del 23 aprile

espressioni (secondo la persona offesa “sei pazza, sei fusa, sei malata di mente”,

2008).
12.11 motivo è infondato. La difesa, con specifico riferimento ad una soltanto delle
espressioni rivolte dall’imputato a De Mattia Anita, richiama una pronunzia di questa
sezione, secondo cui non ha natura diffamatoria l’espressione “pazzo” riferita al titolare
di uno studio professionale e pronunciata, nel contesto di una discussione tra colleghi
avente ad oggetto l’organizzazione e la funzionalità del lavoro, quale rappresentazione
della conduzione scorretta dell’ufficio, foriera di gravi conseguenze sullo stesso. (Sez. 5,
n. 17672 del 08/01/2010 – dep. 07/05/2010, Paglietti, Rv. 247218). Il rilievo non coglie
nel segno poiché la vicenda esaminata nella sentenza citata non può essere estrapolata
dal contesto che, invece, era quello di un’animata discussione sui criteri di
organizzazione di uno studio professionale e sulle conseguenze di una gesti ne

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inefficiente del lavoro. Va ribadito il principio secondo cui per apprezzare l’offensività di
un’espressione è sempre necessario contestualizzarla, rapportarla cioè al contesto
spazio-temporale nel quale è stata pronunziata (Cass. Sez. 5, 30 giugno 2011, n.
32907). La valenza offensiva, infatti, ove inserita in un particolare contesto nel quale è
stata proferita, come ad esempio un ambiente lavorativo o professionale, può perdere
buona parte della sua rilevanza penale (Cass. Sez. 5, 3 marzo 2008, n. 10420) come
nel caso sopra evidenziato. Tali considerazioni non possono in alcun modo riferirsi alla

trattato di un unico termine offensivo o inelegante, ma di un ambito caratterizzato da
aggressività nel quale la persona offesa è stata oggetto di tre espressioni offensive
contestuali, con ciò escludendo che quelle dichiarazioni possano essere valutate quale
mera forma di critica veemente al comportamento di controparte.
13.Con il quarto motivo, censura violazione di legge e vizio di motivazione riguardo alla
mancata valutazione dell’ingiustizia del fatto commesso dalla persona offesa. In
particolare, il contrasto tra le parti sarebbe maturato in conseguenza del
comportamento di De Mattia Anita che, recatasi presso l’abitazione materna, ritenendo
di avere una legittima aspettativa sul trasferimento di tale immobile in sede ereditaria,
aveva deciso di fare sostituire la serratura da un falegname. La condotta dell’imputato
costituiva la reazione al fatto ingiusto, ai sensi dell’articolo 599, secondo comma, del
codice penale rappresentando il tentativo di far desistere la sorella dalle proprie
intenzioni, poiché la questione ereditaria non era ancora definita. Ricorrerebbe,
pertanto, secondo la difesa, l’ipotesi della provocazione putativa.
14.La censura è generica. A fronte di una motivazione adeguata, logica e ragionevole del
giudice di secondo grado, che ha ritenuto che l’insufficienza degli elementi probatori
acquisiti e la contrapposizione tra le parti non consentissero di affermare, in termini di
certezza, la sussistenza del fatto ingiusto altrui, che avrebbe potuto determinare lo
stato d’ira rilevante ai fini della provocazione, il ricorrente non ha evidenziato, da un
punto di vista civilistico, i termini della questione e l’eventuale esistenza di una
controversia pendente, quanto meno in sede possessoria ovvero documentando
l’esistenza o meno di un testamento, di un legato o, comunque, elementi idonei ai fini
della sussistenza del “fatto ingiusto”.
15.Con il quinto motivo d’impugnazione denuncia violazione di legge, poiché l’imputato
avrebbe dovuto essere, comunque, assolto in presenza di un dubbio sulla sussistenza
della prova.
16. La censura è infondata poiché il rilievo riguarda (il diverso profilo del)la mancanza di
certezza del fatto ingiusto ai fini della provocazione ai sensi dell’articolo 599 del codice
penale, mentre la sentenza, con riferimento alla prova della responsabilità
dell’imputato, si esprime sempre in termini di assoluta certezza.
P.Q.M.

fattispecie in oggetto, sia per l’assoluta differenza del contesto, sia perché non si è

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per intervenuta
prescrizione e rigetta il ricorso agli effetti civili.
Così deciso in Roma il 27/05/2014
Il Presidente

Il Consigliere estensore

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