Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30790 del 27/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 30790 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: POSITANO GABRIELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI NUZZO ANTONIO N. IL 04/08/1959
avverso la sentenza n. 3/2012 TRIBUNALE di LANCIANO, del
22/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 27/05/2014

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dr Giuseppe Volpe, ha concluso chiedendo
l’inammissibilità del ricorso.
Per la parte civile è presente l’Avvocato Carmelo Biondi in sostituzione dell’avv. Domenico
Bianchi, il quale conclude chiedendo rigettarsi il ricorso. Deposita nota spese.
Per il ricorrente è presente l’Avvocato Longari, comparso alle ore 11.47, il quale chiede
l’accoglimento del ricorso.

1. Il difensore di Di Nuzzo Antonio propone ricorso per cassazione contro la sentenza
emessa in data 22 gennaio 2013 dalla Tribunale di Lanciano che confermava la
decisione adottata dal Giudice di Pace di Atessa il 25 ottobre 2011, che aveva
condannato Di Nuzzo Antonio, per il reato di cui all’articolo 594 del codice penale, alla
pena di euro 150 di multa e al risarcimento dei danni, nei confronti della costituita parte
civile, Scarnacchia Luigi, liquidati in complessivi euro 300.
2. Avverso la decisione di primo grado Di Nuzzo Antonio aveva proposto appello,
lamentando l’erronea valutazione delle risultanze dell’istruttoria da parte del giudice di
prime cure, in particolare, evidenziando che Scarnacchia, in querela, aveva riferito di
essere stato apostrofato dall’imputato con un’espressione leggermente diversa da
quella riportata nel capo d’imputazione e ciò avrebbe modificato l’impostazione
difensiva adottata dall’imputato. Tali doglianze sono state ritenute infondate e il giudice
di secondo grado ha confermato l’impugnata sentenza.
3. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il difensore di Di Nuzzo Antonio
lamentando violazione di legge in ordine alla mancata correlazione tra l’imputazione
contestata e il fatto ritenuto provato in sentenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’unico motivo d’impugnazione la difesa del ricorrente lamenta l’inosservanza delle

RITENUTO IN FATTO

norme processuali e, in particolare, il principio di necessaria correlazione tra
l’imputazione contestata e la sentenza, evidenziando che il Tribunale, in sede di appello,
aveva ritenuto Di Nuzzo Antonio responsabile per avere pronunziato le parole “mi hai
rubato un paio di guanti”, mentre il capo d’imputazione indicava la differente
espressione diffamatoria “ti hanno visto rubare un paio di guanti”, con ciò violando il
principio di correlazione tra contestazione e sentenza. Infatti, la seconda frase -ad
avviso della difesa- si caratterizza per un’accusa personale che il soggetto agente
pronunzia nei confronti della persona offesa, mentre quella “ti hanno visto rubare un
paio di guanti” rappresenta un’accusa che proviene da terzi, riferita dall’agente.
Conseguentemente la difesa dell’imputato, in sede di merito, aveva insistito
sull’assenza di dolo, evidenziando che la frase proferita da Di Nuzzo Antonio era

q

finalizzata a consentire all’imputato di prospettare alla persona offesa una difesa,
dimostrando l’inconsistenza dell’accusa che gli veniva mossa. Pertanto, conclude per
l’annullamento senza rinvio della decisione o, in via subordinata, con rinvio ad altra
sezione del Tribunale.
2. La censura è fondata.
3. In tema d’ingiuria, il criterio cui fare riferimento ai fini della ravvisabilità del reato è il
contenuto della frase pronunziata e il significato che le parole hanno nel linguaggio

sensazioni puramente soggettive che la frase può aver provocato nell’offeso (Cass. Sez.
I, 21 febbraio 2007, n. 7157), occorrendo fare riferimento a un criterio di media
convenzionale in rapporto alla personalità dell’offeso e dell’offensore, nonché al
contesto nel quale l’espressione sia stata pronunziata (Cass. Sez. 5, 3 giugno 2005 n.
39454), mentre l’elemento soggettivo richiesto è il dolo generico, per il quale è, però,
necessario pur sempre che l’agente faccia consapevolmente uso di parole ed espressioni
socialmente interpretabili come offensive (Cass. Sez. 5, 7 febbraio 2013, n. 6169).
4. È pertanto errato sostenere – come ha fatto il Tribunale – l’indifferenza lessicale tra
l’espressione “tu mi hai rubato i guanti” e quella “ti hanno visto rubare i guanti” (solo
quest’ultima, peraltro, oggetto dell’imputazione), per essere -comunque- stato
addebitato all’imputato il furto di un paio di guanti. Solo la prima espressione, infatti,
può essere considerata lesiva dell’onore della parte offesa, poiché la nozione di onore
attiene alle qualità e ai valori morali (rettitudine, probità, lealtà) che concorrono a
determinare il valore di un individuo, mentre la seconda non può considerarsi
anch’essa, nello stesso modo -come ha fatto il giudice di secondo grado- lesiva
dell’onore dell’incolpato, per avere comunque la persona offesa fatto “propria un’accusa
formulata da altri, (in) ogni caso ciò risolvendosi in una lesione dell’onore
dell’incolpato”.
5. Al fine, infatti, di apprezzare l’esiguità dell’espressione è sempre necessario
contestualizzarla, cioè rapportarla all’ambito spazio-temporale nel quale è stata
pronunziata, potendo perdere gran parte della sua valenza offensiva ove inserita nel
particolare contesto in cui è stata proferita (Cass. Sez. 5, 30 giugno 2011, n. 32907 e
Cass. Sez. 5, 6 marzo 2008, n. 10420) e cioè in un ambiente lavorativo, come quello
del luogo di ristorazione, cui appartenevano sia l’imputato, che la persona offesa,
caratterizzato dalla possibilità, per i camerieri, di subire conseguenze economiche
(decurtazione dei compensi), ove nella specie non fossero stati rinvenuti gli indumenti
mancanti.
6. Orbene, essendo l’espressione cui comunque bisogna fare riferimento (quella cioè di cui
all’imputazione: “ti hanno visto rubare i guanti”), stata pronunziata con la finalitàriconosciuta dallo stesso Tribunale-dell’imputato “di evitare agli altri colleghi dello
Scarnicchia la decurtazione dei compensi della parte civile che avrebbe potuto seguire

comune, prescindendo dalle intenzioni inespresse dell’offensore, come pure dalle

alla mancata restituzione degli indumenti utilizzati dai camerieri per il servizio”, essa
viene, nel contesto in cui è stata pronunziata, a perdere la sua valenza offensiva, anche
sotto il profilo soggettivo, il quale deve pur sempre essere sorretto dalla volontà
dell’agente di usare espressioni offensive, con la consapevolezza di offendere l’altrui
onore o l’altrui reputazione, volontà che nella specie, per quanto fin qui evidenziato,
non è dato rinvenire.
7. L’impugnata sentenza deve, pertanto, essere annullata senza rinvio, poiché il fatto non

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.
Così deciso in Roma il 27/05/2014
Il Consigliere estensore

Il Presidente

costituisce reato.

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