Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30783 del 02/07/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30783 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
• DE ROSA Antonio, nato a Torre Annunziata il 17/9/1984
avverso la ordinanza n. 1052+1088/2014 in data 25/2/2014 del Tribunale di
Napoli in funzione di giudice del riesame,
visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Giulio ROMANO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore dell’imputato, Avv. Antonella MASSIMILLA, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso riportandosi al contenuto dei motivi di gravame
presentati
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 25/2/2014, a seguito di giudizio di riesame, il Tribunale di
Napoli ha confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Avellino in data 5/2/2014 con la quale era stata applicata a DE
ROSA Antonio la misura cautelare personale degli arresti domiciliari nei confronti
di DE ROSA Antonio in relazione al reato di concorso in rapina pluriaggravata
consumata ai danni dell’autotrasportatore MARTINELLI Antonio in Sant’Angelo
dei Lombardi il 29/11/2012.

Ricorre per Cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore del DE ROSA,
per i seguenti motivi:

Data Udienza: 02/07/2014

1. Violazione delle disposizioni di cui all’art. 293 cod. proc. pen. in combinato
disposto con gli artt. 65 e 294 cod. proc. pen. e 111 Cost.
Lamenta, in particolare, la difesa del ricorrente il mancato espletamento degli
adempimenti esecutivi di cui all’art. 293, commi 1 e 2 cod. proc. pen.
evidenziando:
a) la mancata e rituale notifica ai codifensori (Avv. Amato DEL GIUDICE e Avv.
Antonella MASSIMILLA) dell’avviso della data di interrogatorio di garanzia ai
sensi dell’art. 148, comma 2, cod. proc. pen. Detto avviso era stato dato all’Avv.

all’indirizzo “informale” di posta elettronica invece che a quello previsto ad hoc
per l’attività professionale;
b) l’omessa notifica dell’avviso di deposito dell’ordinanza di applicazione della
misura cautelare nonché dell’ordinanza stessa ai difensori nominati.

2. Erronea applicazione degli artt. 273, 274 e 275 cod. proc. pen. e vizio di
motivazione in relazione alla valutazione della sussistenza delle esigenze
cautelari, alla adeguatezza della misura applicata nonché delle risultanze
investigative.
Lamenta, al riguardo il difensore che il Tribunale territoriale nel valutare le
esigenze cautelari non avrebbe adeguatamente tenuto conto del tempo trascorso
dalla commissione del reato e non avrebbe adeguatamente motivato con
riferimento alla adeguatezza e proporzionalità della misura inflitta in relazione a
tutte le circostanze fattuali sottoposte al suo vaglio.
Lamenta altresì l’assoluta mancanza dei gravi indizi di colpevolezza che
legittimerebbero l’avviamento del trattamento cautelare in quanto il Tribunale
non avrebbe tenuto conto delle contraddizioni in cui è incappata la persona
offesa con le proprie dichiarazioni. Propone quindi la difesa una lettura
alternativa delle emergenze processuali che valorizza le giustificazioni addotte
dal proprio assistito il quale non avrebbe mai confessato la sua complicità nella
rapina della quale ha affermato di non essere al corrente ma di avere la mattina
del fatto esclusivamente guidato il rimorchio (rectius: il trattore al quale era
agganciato il rimorchio provento della rapina – ndr.) per conto del complice
LANG ELLA.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Il procedimento sottoposto al giudizio del Tribunale di Napoli in funzione di
Giudice del riesame è quello di cui all’art. 309 cod. proc. pen. che per espressa

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MASSIMILLA a mezzo di E-mail ma la stessa eccepisce che le fu inviato

disposizione di legge riguarda il “riesame, anche nel merito, dell’ordinanza che
dispone la misura coercitiva”.
Situazione, questa, che è totalmente diversa dalla differente procedura di
“appello” di cui al successivo art. 310 cod. proc. pen. che invece concerne le
impugnazioni avverso le ordinanze in materia di misure cautelari “al di fuori dei
casi previsti dall’articolo 309, comma 1”, quindi le ordinanze diverse da quella
genetica.
Come risulta in modo non contestato dal provvedimento del Tribunale del

ha presentato istanza di riesame in data 12/2/2014 è, pertanto, evidente che il
gravame non poteva che rivolgersi esclusivamente contro l’ordinanza 5/2/2014
del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Avellino e non certo
contro l’ordinanza “de libertate” (così da qualificarsi correttamente) con la quale
quest’ultimo giudice ha rigettato l’istanza difensiva con la quale si era eccepita la
“nullità” (sic!) dell’ordinanza coercitiva per omesso espletamento degli
adempimenti esecutivi di cui all’art. 293 cod. proc. pen., ciò in quanto questa
seconda ordinanza è stata emessa in data 14/2/2014 e quindi in epoca
successiva alla presentazione dell’originario gravame.
L’eccezione che la difesa asserisce invece di aver proposto in sede di
espletamento dell’interrogatorio “delegato” non risulta essere confluita in una
ordinanza “de libertate” essendosi trattato di eccezione di semplice carattere
endoproced i mentale.
ricorrente insiste al riguardo su di una questione che è già stata sottoposta e
correttamente respinta dal Giudice territoriale (cfr. pagg. 2 e 3 dell’ordinanza
impugnata).
Questa Corte ha, infatti, reiteratamente avuto modo di chiarire, anche in tempi
recenti, con un orientamento al quale l’odierno Collegio ritiene di aderire, che
“nel procedimento di riesame non è deducibile, né rilevabile d’ufficio, la
questione inerente all’inefficacia della misura coercitiva per asserita mancanza,
tardività o comunque invalidità dell’interrogatorio previsto dall’art. 294 cod. proc.
pen., a nulla rilevando che essa sia proposta unitamente ad altre questioni
inerenti a vizi genetici del provvedimento impugnato, sicché la stessa non può
costituire oggetto di ricorso per cassazione ex art. 311 cod. proc. pen.” (Cass.
Sez. 2, sent. n. 4817 del 23/10/2012, dep. 30/01/2013, Rv. 254447; Sez. 6,
sent. n. 32409 del 02/07/2003, dep. 31/07/2003, Rv. 226440; Sez. 5, sent. n.
39410 del 24/10/2002, dep. 22/11/2002, Rv. 222835; Sez. 5, sent. n. 38707 del
22/10/2002, dep. 18/11/2002, Rv. 222832; Sez. 4, sent. n. 33339 del
10/07/2002, dep. 04/10/2002, Rv. 222400; Sez. 3, sent. n. 809 del
17/02/2000, dep. 04/05/2000, Rv. 216065).
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riesame di Napoli che in questa sede ci occupa, la difesa dell’odierno ricorrente

Lo stesso discorso, ovviamente non può che riguardare anche gli altri
adempimenti esecutivi previsti dall’art. 293 cod. proc. pen.
Detti principi erano stati a loro volta sanciti in una non recente decisione delle
Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, sent. n. 26 del 05/07/1995, dep.
20/07/1995, Rv. 202015).
L’odierno Collegio è consapevole del contrasto giurisprudenziale ancor oggi
esistente in materia nonostante i vari interventi sul punto anche delle Sezioni
Unite, ma ritiene meritevole di condivisione l’orientamento tradizionale, che – al

negli artt. 302 e 306 dello stesso codice di rito.
L’odierno Collegio ritiene, infatti, di dover ribadire che nel procedimento
incidentale di riesame disciplinato dall’art. 309 cod. proc. pen. – e nel successivo
giudizio di Cassazione – non sono deducibili, né rilevabili di ufficio, in difetto di
espressa previsione da parte del citato art. 309, questioni relative all’inefficacia
della misura cautelare diverse da quelle concernenti l’inosservanza dei termini
stabiliti dai commi 5 e 9 dello stesso articolo.
Soltanto quest’ultima – sanzionata dal successivo comma 10 con la automatica
perdita di efficacia dell’ordinanza impositiva della misura cautelare – può a piena
ragione essere dedotta in sede di riesame (nonché essere eventualmente
rilevata, anche di ufficio, in Cassazione, a seguito del ricorso avverso l’ordinanza
di riesame), poiché il giudice della procedura incidentale di impugnazione è, in
quanto tale, non soltanto giudice della propria competenza, ma anche giudice
della regolare instaurazione del contraddittorio e della validità di ogni suo atto, e
quindi del rispetto dei termini che la procedura incidentale deve rispettare.
Per contro le questioni inerenti la sopravvenuta inefficacia della misura coercitiva
per la omissione o la nullità dell’interrogatorio di garanzia ex art. 294 c.p.p. o
per il mancato rispetto degli adempimenti di cui all’art. 293 cod. proc. pen.
(costituenti atti ed attività successivi all’adozione del provvedimento cautelare)
risultano del tutto estranee all’ambito del riesame, dovendo, invece, formare per espressa previsione di legge – oggetto di istanza al giudice del procedimento
principale, il cui provvedimento, pronunciato ai sensi degli artt. 302 e 306 cod.
proc. pen. (che sistematicamente precedono l’art. 309 cod. proc. pen. – dal cui
ambito, pertanto, esulano – ed esplicitamente attribuiscono proprio al giudice del
procedimento principale una specifica competenza ad hoc), è soggetto all’appello
previsto dall’art. 310 cod. proc. pen. con possibilità di successivo ricorso per
Cassazione in forza dell’art. 311 cod. proc. pen..
D’altro canto, l’art. 306 cod. proc. pen. è già stato autorevolmente interpretato
“nel senso che competente a dichiarare la caducazione di una misura cautelare
sia esclusivamente il giudice del procedimento (principale o incidentale)

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contrario dell’altro – trova ineludibile conferma nell’art. 309 cod. proc. pen. e

nell’ambito del quale si è verificato l’evento che l’ha determinata” (così, in
motivazione, Sez. Un., n. 14 del 31 maggio 2000).
Va, inoltre, evidenziato che il procedimento di riesame è preordinato alla verifica
dei presupposti legittimanti l’adozione del provvedimento cautelare, e non anche
di quelli incidenti sul protrarsi dell’applicazione della misura disposta: ciò
conferma ulteriormente che non è consentito dedurre con tale mezzo di
impugnazione la successiva perdita di efficacia della misura derivante dalla
mancanza o invalidità di successivi adempimenti.

di questa Corte Suprema (Sez. Un., n. 45246 del 19/07/2012, dep. 20/11/2012,
Rv. 25354919, in motivazione), a parere delle quali “l’estinzione di una misura
cautelare può (…) verificarsi ope legis, per caducazione automatica conseguente
al verificarsi di determinati eventi che non incidono di regola né sulla validità del
provvedimento applicativo né sui presupposti di applicazione della misura; si
tratta quindi di eventi sopravvenuti che determinano la perdita di efficacia della
misura ma non ne precludono la rinnovazione, salve le limitazioni previste
dall’art. 307 cod. proc. pen. per la sostituzione della custodia cautelare caducata
per decorso dei termini massimi di durata. E per questa ragione la
giurisprudenza ha sempre escluso che le cause di caducazione ope legis delle
misure cautelari personali possano essere dedotte con le impugnazioni
proponibili contro le ordinanze applicative”.

2. Il secondo motivo di ricorso non è fondato.
Lamenta, in primis,

il difensore che il Tribunale territoriale nel valutare le

esigenze cautelari non avrebbe adeguatamente tenuto conto del tempo trascorso
dalla commissione del reato e non avrebbe adeguatamente motivato con
riferimento alla adeguatezza e proporzionalità della misura inflitta in relazione a
tutte le circostanze fattuali sottoposte al suo vaglio.
In realtà il Tribunale territoriale risulta aver risposto in misura congrua, logica e
non contraddittoria ad analoga questione già prospettata in sede di riesame
evidenziando la sussistenza in capo agli indagati (e quindi anche al DE ROSA) di
un concreto ed attuale pericolo di reiterazione di analoghe condotte delittuose e
chiarendo ulteriormente che “le obiettive circostanze e modalità del fatto, in
particolare la organizzazione di uomini e mezzi tesa alla perpetrazione della
rapina, rendono manifesto il pericolo della reiterazione della condotta illecita
accertata o di altre similari, pure a fronte di una formale incensuratezza. Pericolo
che però può trovare adeguato presidio nella misura autocustodiale richiesta che,
impedendo la libertà di movimento, ostacola la reiterazione di analoghe
condotte”.

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A tali conclusioni, sia pur incidentalmente, sono di recente giunte le Sezioni Unite

Tale motivazione appare adeguata, alla luce del principio affermato da questa
Corte, secondo il quale «in tema di esigenze cautelari, la modalità della condotta
tenuta in occasione del reato può essere presa in considerazione per il giudizio
sulla pericolosità sociale dell’imputato, oltre che sulla gravità del fatto» (Cass.
Sez. 6 sent. n. 12404 del 17.2.2005 dep. 4.4.2005 rv 231323) e finisce per
portare implicitamente a ritenere che il Giudice procedente, avendo motivato in
modo specifico sugli elementi concludenti atti a cogliere l’attualità e la
concretezza del pericolo di reiterazione criminosa fronteggiabile soltanto con la

elementi di segno contrario quale il tempo (e dir del vero non poi così remoto) di
consumazione del reato.
Infine, anche la doglianza relativa alla asserita mancanza dei gravi indizi di
colpevolezza che legittimerebbero l’avviamento del trattamento cautelare non è
fondata.
Il Tribunale del riesame non solo nella parte motiva del provvedimento
impugnato ha effettuato una congrua ricostruzione delle vicende che ci occupano
ma ha anche effettuato, con specifico riferimento alla gravità del quadro
indiziario, un legittimo richiamo al contenuto dell’ordinanza cautelare emessa dal
Giudice per le indagini preliminari.
Del resto è consolidato orientamento di questa Corte che la motivazione

per

relationem sia legittima quando « 1) – faccia riferimento, recettizio o di semplice
rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua
rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione;
2) – fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto
sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e
ritenute coerenti con la sua decisione; 3) – l’atto di riferimento, quando non
venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto
dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda
attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di
gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o
dell’impugnazione» (Cass. Sez. Un. Sentenza n. 17 del 21.6.2000 dep.
21.09.2000 Rv. 216664).
A ciò si aggiunge il fatto che secondo l’orientamento di questa Corte, che il
Collegio condivide, «in tema di misure cautelari personali, l’ordinanza del
tribunale del riesame che conferma il provvedimento impositivo recepisce, in
tutto o in parte, il contenuto di tale provvedimento, di tal che l’ordinanza
cautelare e il provvedimento confermativo di essa si integrano reciprocamente,
con la conseguenza che eventuali carenze motivazionali di un provvedimento

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misura cautelare adottata, ha ritenuto di escludere la possibile incidenza di

possono essere sanate con le argomentazioni addotte a sostegno dell’altro».
(Cass. Sez. 6″ sent. n. 3678 del 17.11.1998, dep. 15.12.1998, rv 212685).
Ciò premesso deve essere evidenziato che nel motivo di gravame il difensore del
ricorrente si limita di fatto ad affermare che non si sarebbero tenute in debito
conto le giustificazioni dal medesimo addotte in relazione al fatto che egli si
trovava al volante (circostanza questa dallo stesso pacificamente ammessa) del
veicolo che trainava il rimorchio oggetto di rapina.
Quella che propone la difesa del ricorrente, in verità anche in modo alquanto

valutazione di puro merito, incensurabile in questa sede, hanno ritenuto
motivatamente non credibile.
Non riscontrandosi vizi motivazionali sul punto e trovandoci ancora una volta di
fronte ad argomentazioni del Tribunale del riesame congrue, logiche e non
intrinsecamente contraddittorie, il motivo di ricorso deve essere ritenuto
manifestamente infondato.

Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle
Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di
Euro 1.000,00 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il giorno 2 luglio 2014.

generico, è una rilettura del materiale probatorio che i giudici, con una

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