Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30780 del 02/07/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30780 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: ALMA MARCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:


DORI Filippo, nato a Venezia il 13/8/1966
DORI Elia, nato a Venezia il 2/2/1969
AMIHAESEI Maria Claudia, nata in Romania il 22/7/1986

avverso la ordinanza n. 75+92/14 in data 7/2/2014 del Tribunale di Venezia in
funzione di giudice del riesame,
visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso
udita la relazione svolta dal consigliere dr. Marco Maria ALMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Giulio ROMANO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 7/2/2014, a seguito di giudizio di riesame, il Tribunale di
Venezia ha rigettato la richiesta di riesame avanzata, tra gli altri da DORI Filippo,
DORI Elia e AMIHAESEI Maria Claudia avverso l’ordinanza emessa dal Giudice
per le indagini preliminari di Padova in data 7/1/2014 con la quale era stata
applicata agli stessi la misura cautelare personale degli arresti domiciliari per i
reati di associazione per delinquere finalizzata alla vendita di prodotti industriali
di pelletteria con marchi o segni distintivi, nazionali o esteri contraffatti (capo A
della

rubrica),

nonché

di

introduzione

nel

territorio

nazionale

e

commercializzazione dei beni medesimi e di ricettazione degli stessi (capo B) e,
ancora, di altra associazione per delinquere finalizzata all’introduzione nello Stato

Data Udienza: 02/07/2014

ed alla vendita di prodotti industriali di abbigliamento con marchi o segni
distintivi, nazionali o esteri contraffatti (capo C) e di introduzione e
commercializzazione nel territorio nazionale dei beni medesimi e di ricettazione
degli stessi (capo D).

Ricorrono per Cassazione avverso la predetta ordinanza gli imputati in uno con i
propri difensori, deducendo:
1. Vizio di motivazione e violazione di legge per mancanza di gravi indizi di

incompetenza per territorio.
Lamentano, in particolare, i ricorrenti che avrebbero errato sia il Giudice di prime
cure che il Tribunale del riesame di Venezia nel ritenere radicata la competenza
per territorio a conoscere della vicenda in Padova mentre tutti gli elementi
raccolti nelle indagini consentono di radicare la competenza per territorio in
quella della Autorità Giudiziaria di Venezia, avendo le società ritenute come
facenti capo agli indagati base operativa e decisionale in Venezia od in provincia
di Venezia e non nell’area di competenza della Autorità Giudiziaria di Padova.

2. Vizio di motivazione e violazione di legge per mancanza dei gravi indizi di
colpevolezza ed erronea valutazione degli stessi. Insussistenza di indizi in ordine
alla associazione per delinquere.
Lamentano al riguardo i ricorrenti che dal contenuto delle conversazioni
intercettate non emerge mai una prova di dinamica organizzativa ma, anzi,
emerge, l’esatto contrario. In sostanza gli elementi raccolti sarebbero del tutto
insufficienti a costituire riscontro di responsabilità degli indagati oltre il limite del
ragionevole dubbio. Vi sarebbe inoltre un radicale difetto di prova circa la
partecipazione degli odierni ricorrenti al sodalizio criminale agli stessi contestato.
Altresì non vi sarebbe prova di condotte “perduranti” da parte degli indagati
anche al momento della esecuzione della misura cautelare nei loro confronti in
quanto dalla lettura delle intercettazioni emergerebbe l'”uscita di scena” dei
fratelli DORI nel mese di marzo 2013.

3. Vizio di motivazione, violazione di legge, omessa traduzione dell’ordinanza di
custodia cautelare all’indagata AMIHAESEI Maria Claudia.
Lamenta al riguardo parte ricorrente che la stessa è cittadina Rumena il che non
le consente una comprensione integrale degli atti posti a fondamento dell’accusa,
così minando in radice il diritto dello straniero alloglotta ad una pronta e
completa attività difensiva.

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colpevolezza ed erronea valutazione degli stessi. Violazione di legge:

4. Insussistenza del fumus commissi delicti sul piano della condotta.
Lamentano, al riguardo, i ricorrenti, la nullità dei capi di imputazione che
sarebbero del tutto generici e sprovvisti di qualsivoglia indicazione temporale
precisa e dei luoghi ove asseritamente si sarebbero svolte le attività criminose.

5.

Difetto dei presupposti cautelari sia sotto il profilo dell’insussistenza del

pericolo di reiterazione delle condotte, atteso che gli imputati sono incensurati,
sia sotto il profilo che lavorando gli stessi in luogo adiacente alle loro abitazioni si

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In relazione al primo motivo di ricorso, come visto, lamentano i ricorrenti il
“vizio di motivazione e la violazione di legge per mancanza di gravi indizi di
colpevolezza ed erronea valutazione degli stessi. Violazione di legge:
incompetenza per territorio”.
In realtà è solo quest’ultimo aspetto che viene preso in considerazione
nell’esposizione del relativo motivo di gravame in quanto gli altri sono trattati in
differenti momenti del ricorso.
La questione della competenza per territorio è già stata posta innanzi al
Tribunale del riesame il quale, richiamandosi a considerazioni effettuate anche
nell’ordinanza del Giudice di prime cure, ha illustrato in punto di fatto e di diritto
quali sono le ragioni per le quali la competenza per territorio a conoscere le
vicende che in questa sede ci occupano si è radicata presso l’Autorità Giudiziaria
di Padova.
Appare tuttavia assai sorprendente la circostanza che le parti abbiano focalizzato
la discussione sulla competenza territoriale avendo riguardo ai contestati reati di
associazione per delinquere mentre i reati più gravi tra quelli in contestazione,
sotto il profilo della sanzione edittale, sono quelli di ricettazione che assumono
rilievo nell’ottica di cui all’art. 16, comma 1, cod. proc. pen.
Pur tuttavia poco cambia sotto il profilo della individuazione del Giudice
competente per territorio.
Orbene, risulta dagli atti – e sia il Giudice per le indagini preliminari che il
Tribunale del riesame ne hanno dato atto – che la prima manifestazione
dell’attività del sodalizio criminale (e, si può aggiungere, anche dei reati fine) è
stata accertata in Padova presso i locali della ditta UNIT ove, fin dalla prima fase
dell’indagine nel gennaio 2013, è stata notata la frequentazione di DORI Filippo e
DORI Elia già noti come commercianti di merce contraffatta che sono stati visti
movimentare merce che per le fattezze ed i colori poteva ricondursi al noto
marchio Burberry, ove (sempre nei pressi del predetto magazzino) nel febbraio
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renderebbe necessaria l’adozione di una misura cautelare più gradata.

2013 è stato fermato un furgone con targa rumena con a bordo un carico di
pantaloni contraffatti ed ove nel luglio 2013 venne definitivamente individuato il
luogo di stoccaggio della merce contraffatta con conseguente sequestro di un
ingente quantitativo di pezzi di abbigliamento aventi marchi o segni distintivi di
note griffes della moda.
Il tribunale del riesame, come detto facendo proprie anche le osservazioni sul
punto del Giudice per le indagini preliminari, ha correttamente dato atto che le
successive indagini hanno portato ad appurare l’esistenza di una complessa

caratterizzata dalla presenza di società, aventi oggetto sociale di diverso tipo
(ristorazione, commercio di prodotti per ferramenta ed altro) riconducibili al
controllo degli indagati aventi sedi in Venezia o nella sua provincia, in Spagna, in
Slovenia e nel Regno Unito, anche se con base operativa e decisionale in Venezia
ed utilizzate “confusamente ed indistintamente” a seconda delle esigenze
contingenti. Ancora, nel corso delle indagini è stata individuata l’esistenza di
magazzini posti in diversi luoghi del territorio tra cui Padova (per l’appunto il
primo ad essere individuato) Venezia, Nova Gorica (Slovenia) e Spagna.
Anche i pagamenti dei beni contraffatti sono avvenuti o per contanti o per
operazioni su istituti di credito esteri. Frequenti sono risultati anche i contatti con
soggetti in grado di procurare l’attività di laboratori ove approvvigionarsi dei
prodotti maggiormente richiesti dai clienti.
Si è ritenuto di ricostruire in forma estremamente sintetica quanto sopra per
evidenziare come ci si trova di fronte a reati commessi – sia per quanto riguarda
quello di associazione per delinquere sia per i reati-fine e, per quel che qui più
conta, anche per le contestate ricettazioni – in territori estremamente differenti
con la conseguenza legata all’impossibilità di individuare un luogo unico e
predeterminato di consumazione dei reati stessi. E, valga il vero, non si può
neanche sostenere – come vorrebbe fare la difesa – che poiché la “base
operativa e decisionale” delle aziende ricollegabili agli imputati era in Venezia
presso l’Hotel Villa Dori dove gli indagati abitano, quello è il luogo che deve
essere preso in considerazione per radicare la competenza per territorio
dell’Autorità Giudiziaria chiamata ad occuparsi della vicenda.
Non è comunque dato conoscere il luogo ove si è perfezionato il pactum sceleris
e tantomeno non è dato conoscere dove si sono perfezionati i fatti di ricettazione
della merce contraffatta.
Si deve, quindi, fare ricorso a criteri suppletivi per la determinazione della
competenza per territorio.
Non è tuttavia possibile neppure fare ricorso al criterio di cui al comma 2 dell’art.
9 cod. proc. pen. in quanto, investendo l’indagine nel suo complesso più indagati

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struttura funzionale anche alla consumazione delle azioni di cui trattasi,

domiciliati o dimoranti in luoghi appartenenti a circondari diversi, stante la
mancanza di univocità del dato di collegamento, deve necessariamente applicarsi
l’ulteriore residuale criterio previsto dal terzo comma dell’art. 9 cod. proc. pen., il
quale indica la competenza del giudice del luogo ove ha sede l’ufficio del pubblico
ministero che per primo ha iscritto la notizia di reato nel registro di cui all’art.
335 cod. proc. pen. (in tal senso Cass. Sez. 2, sent. n. 1312 del 23/01/1997,
dep. 13/02/1997, Rv. 207125).
Poiché tale ufficio risulta quello del pubblico ministero di Padova è in detto luogo

chiamato a conoscere della vicenda.
Il motivo di ricorso che ci occupa deve quindi ritenersi infondato.

2. Il secondo motivo di ricorso proposto dagli indagati e riguardante il vizio di
motivazione e la violazione di legge per l’insussistenza di indizi in ordine alla
associazione per delinquere è manifestamente infondato.
Deve essere innanzitutto evidenziato che il ricorso al riguardo è assolutamente
generico limitandosi a citazioni giurisprudenziali, all’enunciazione di principi
generali ed all’affermazione che può essere riassunta nel fatto che non è corretto
ravvisare una associazione per delinquere o la partecipazione durevole alla
stessa dei fratelli DORI.
I ricorrenti, fatta eccezione per un inconferente riferimento legato
all’estrapolazione di una frase derivante da un’intercettazione telefonica (il cui
testo non è stato neppure allegato nella sua integralità) non hanno esposto nel
relativo motivo di ricorso alcuna specifica critica al contenuto del provvedimento
impugnato con ciò violando il criterio di cui al combinato disposto degli artt. 581,
comma 1, lett. c) e 591, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. e così determinandone
l’inammissibilità.
Rimane solo da evidenziare che il Tribunale del riesame con una motivazione
congrua, logica e non contraddittoria ha correttamente enucleato (cfr. pagg. 7 e
8 dell’ordinanza impugnata) che ci si trova di fronte ad una struttura criminale
finalizzata alla consumazione di una serie indeterminata di reati di contraffazione
e di illecito commercio di beni contraffatti, caratterizzata dalla predisposizione di
mezzi logistici e finanziari, dotata di stabilità e professionalmente organizzata,
nella quale tutti i ricorrenti hanno rivestito un ruolo importante.
Si tratta di elementi che rispondono ai criteri non solo richiesti dalla norma ma
enucleati dalla costante giurisprudenza, che non consentono di mettere in dubbio
la sussistenza del reato di cui all’art. 416 cod. pen. in entrambe le situazioni
nelle quali lo stesso è stato contestato e la partecipazione attiva degli indagati
allo sviluppo delle attività gestite dalla compagine criminale.

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che deve correttamente ritenersi radicata la competenza per territorio del giudice

3. Il terzo motivo di ricorso concerne una lamentata violazione di legge legata
all’omessa traduzione dell’ordinanza di custodia cautelare all’indagata
AMIHAESEI Maria Claudia.
Lo stesso è manifestamente infondato.
Risulta innanzitutto dagli atti che l’indagata pur avvalendosi della facoltà di non
rispondere alle domande nel corso dell’interrogatorio di garanzia è stata in grado
senza interprete di declinare le proprie generalità rispondendo alle domande del

Ma non dobbiamo dimenticare che la stessa è risultata vivere ed operare in
Italia, intrattenere rapporti con gli indagati italiani, è risultata essere legale
rappresentante della società italiana EUROSMS Srl nonché risulta aver concluso
operazioni commerciali e bancarie in Italia.
A ciò si aggiunga, a totale smentita dell’asserzione contenuta nel motivo di
doglianza sul punto, che la stessa risulta essere sottoscrittrice anche del ricorso
che in questa sede ci occupa, ricorso (ovviamente scritto in italiano) nel quale
nel dettaglio si richiamano le emergenze processuali ed il contenuto degli atti che
l’hanno anche riguardata.
Ne consegue che la traduzione degli atti non può essere ritenuta necessaria
quando l’imputato straniero, nelle varie fasi in cui si è articolato il procedimento
a suo carico, si è sempre reso conto della portata degli atti a lui indirizzati,
apprestando – come nel caso in esame – adeguata difesa, così mostrando di ben
comprendere la lingua italiana.
In ogni caso, il Tribunale del riesame ha già correttamente chiarito che in base
alla giurisprudenza di questa Corte “la proposizione della richiesta di riesame,
anche se ad opera del difensore, ha effetti sananti della nullità conseguente
all’omessa traduzione dell’ordinanza cautelare personale nella lingua conosciuta
dall’indagato che non conosca la lingua italiana, sempre che la richiesta di
riesame non sia stata presentata solo per dedurre la mancata traduzione” (Cass.
Sez. 2, sent. n. 32555 del 07/06/2011, dep. 19/08/2011, Rv. 250763).

4. Il quarto motivo di ricorso nel quale lamentano i ricorrenti la nullità dei capi di
imputazione che sarebbero del tutto generici e sprovvisti di qualsivoglia
indicazione temporale precisa e dei luoghi ove asseritamente si sarebbero svolte
le attività criminose è manifestamente infondato.
Non dobbiamo innanzitutto dimenticare che ci troviamo ancora in una fase
cautelare pre-processuale nella quale i c.d. “capi di imputazione” possono essere
ancora suscettibili di evoluzione e di precisazione.

giudice.

Ciò che però conta in questa sede è il fatto che il “capo di imputazione” non
rappresenta altro che il conciso riassunto della fattispecie delittuosa che si ritiene
configurabile sulla base delle emergenze processuali con l’indicazione delle
norme di legge che si ritengono violate e che, in realtà, nella fase cautelare, è
l’intero contenuto dell’ordinanza impositiva che determina i fatti (indicati per
tempi, modi e luoghi) sui quali l’indagato è chiamato a difendersi.
Non a caso, infatti, mentre l’art. 417 del codice di rito, che ha riguardo al
momento in cui l’imputazione si “cristallizza” prevede che la stessa deve

aggravanti e di quelle che possono comportare l’applicazione di misure di
sicurezza, con l’indicazione dei relativi articoli di legge”, per contro l’art. 292 cod.
proc. pen. relativo al contenuto dell’ordinanza applicativa di misura cautelare si
limita a prevedere al comma 2, lett. b), che la stessa deve contenere “la
descrizione sommaria del fatto con l’indicazione delle norme di legge che si
assumono violate”.
Poiché quest’ultimo è effettivamente ciò che risulta dal testo dell’imputazione
stessa è evidente che il motivo di ricorso che ci occupa non ha alcun
fondamento.

5. Con il quinto ed ultimo motivo di ricorso, lamentano i ricorrenti il difetto dei
presupposti cautelari sia sotto il profilo dell’insussistenza del pericolo di
reiterazione delle condotte, atteso che gli imputati sono incensurati, sia sotto il
profilo che lavorando gli stessi in luogo adiacente alle loro abitazioni si
renderebbe necessaria l’adozione di una misura cautelare più gradata.
Deve essere evidenziato sul punto che l’ordinanza applicativa delle misure
cautelari risulta adeguatamente motivata nella parte in cui ha correttamente
evidenziato che vi è il concreto pericolo che gli indagati, rimanendo in libertà,
commettano altri gravi delitti della stessa specie di quelli per cui si procede
“atteso che le modalità e circostanze dei fatti reato denotano una spiccata
pericolosità sociale degli stessi, organizzati in modo professionale, tale da
rendere assai probabile la reiterazione di analoghi comportamenti delittuosi, dato
che gli stessi hanno fatto dell’attività delinquenziale la principale fonte di reddito
e sostentamento”, con l’ulteriore conseguenza che “una misura diversa da quella
degli arresti domiciliari sia assolutamente inidonea a contenere la personalità
degli indagati, in quanto i margini di libertà connessi ad una misura non
detentiva permetterebbero agli stessi di riprendere i contatti con il correi e con
gli illeciti e remunerativi traffici dagli stessi gestiti”.
Tale motivazione appare adeguata, alla luce del principio affermato da questa
Corte, secondo il quale «in tema di esigenze cautelari, la modalità della condotta

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contenere “l’enunciazione in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze

tenuta in occasione del reato può essere presa in considerazione per il giudizio
sulla pericolosità sociale dell’imputato, oltre che sulla gravità del fatto» (Cass.
Sez. 6 sent. n. 12404 del 17.2.2005 dep. 4.4.2005 rv 231323) e non si
riscontrano vizi in ordine alla stessa ritenendosi all’evidenza implicitamente
superate le argomentazioni di segno opposto proposte dalla difesa.
Anche in questa caso, quindi, il motivo di ricorso non è fondato.

Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna dei

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il giorno 2 luglio 2014.

ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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