Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30777 del 18/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30777 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 18/06/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di DEMECO Antonio, n. a Isola di
Capo Rizzuto (KR) il 29.03.1967, attualmente sottoposto alla misura
cautelare degli arresti domiciliari, rappresentato e assistito dall’avv.
Pietro Chiodo e dall’avv. Vincenzo Vrenna, avverso l’ordinanza del
Tribunale di Catanzaro, seconda sezione penale, n. 1477/2013, in
data 23.12.2013;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
udite le conclusioni del Sostituto procuratore generale dott. Mario
Fraticelli che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 26.11.2013, il Giudice per le indagini

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preliminari presso il Tribunale di Catanzaro applicava nei confronti di
Demeco Antonio la misura cautelare degli arresti domiciliari in
relazione al reato di cui agli artt. 110, 112 n. 1, 353 cod. pen., 7 d.l.
n. 152/1991 (capo 6).
2. Avverso detto provvedimento il Demeco, assistito da difensore,
proponeva ricorso per riesame volto ad ottenere la revoca o, in
subordine, la sostituzione della misura cautelare con altra meno

afflittiva. Con ordinanza in data 23.12.2013, il Tribunale di Catanzaro
rigettava il gravame e confermava il provvedimento impugnato.
3. Avverso detto provvedimento veniva proposto nell’interesse del
Demeco ricorso per cassazione lamentando:
– mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione,
anche sotto il profilo del travisamento della prova, in relazione alla
valutazione dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari
poste a base del titolo cautelare in relazione alle fattispecie
delittuose contestate (primo motivo);
– inosservanza o erronea applicazione delle norme penali e di altre
norme integrative; violazione degli artt. 273 e 274 cod. proc. pen. e
133 cod. pen. in relazione alla valutazione dei gravi indizi di
colpevolezza e delle esigenze cautelari poste a base del titolo
cautelare in relazione alle fattispecie delittuose contestate (secondo
motivo).
Si evidenzia in particolare come fosse stato dimostrato:
-che il Demeco Antonio non avesse partecipato alla raccolta dei
finocchi sui campi confiscati per conto degli Arena;
-che non vi fosse stata alcuna restituzione di somme di denaro dal
Demeco Antonio agli Arena.
Si censurava infine l’ordinanza cautelare nella parte in cui la stessa
non aveva fornito adeguata motivazione in relazione alla sussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 7 del d.l. n. 152/1991 e non aveva
altresì dato conto dell’iter logico seguito per addivenire ad un
giudizio prognostico negativo sulla personalità del Demeco, tale da
giustificare l’applicazione e la protrazione della vigente misura
cautelare.

CONSIDERATO IN DIRITTO

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4.

Il ricorso, con riferimento ad entrambi i motivi di doglianza
proposti, è manifestamente infondato e, come tale, inammissibile.
È anzitutto necessario chiarire, sia pur in sintesi, i limiti di
sindacabilità da parte di questa Corte Suprema dei provvedimenti
adottati dal giudice del riesame sulla libertà personale.
Secondo l’orientamento di questa Corte Suprema, che il Collegio
condivide e reputa attuale anche all’esito delle modifiche normative
che hanno interessato l’art. 606 cod. proc. pen. (cui l’art. 311 cod.

5.

proc. pen. implicitamente rinvia), in tema di misure cautelari
personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di
motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in
ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte
Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare
natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se
il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che
l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico
dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione
riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni
della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento
delle risultanze probatorie. Si è anche precisato che la richiesta di
riesame, mezzo di impugnazione, sia pure atipico, ha la specifica
funzione di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare
con riguardo ai requisiti formali indicati nell’art. 292 cod. proc. pen.,
ed ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del
provvedimento coercitivo: ciò premesso, si è evidenziato che la
motivazione della decisione del Tribunale del riesame, dal punto di
vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal
citato articolo, ispirato al modulo di cui all’art. 546 cod. proc. pen.,
con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della
pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente
all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata
probabilità di colpevolezza (Cass., Sez. un., n. 11 del 22/03/2000,
Audino, rv. 215828; conforme, dopo la novella dell’art. 606 cod.
proc. pen., Cass., Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova, rv.
237012).
Si è successivamente osservato, sempre in tema di impugnazione
delle misure cautelari personali, che il ricorso per cassazione è

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ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di
legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del
provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto,
ma non anche quando propone censure che riguardino la
ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione
delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Cass., Sez. 5, n.
46124 del 08/10/2008, Pagliaro, rv. 241997; Cass., Sez. 6, n. 11194

del 08/03/2012, Lupo, rv. 252178).
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 cod. proc.
pen.) e delle esigenze cautelari (art. 274 cod. proc. pen.) è, quindi,
rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di
specifiche norme di legge o nella manifesta illogicità della
motivazione secondo la logica ed i principi di diritto, rimanendo
“all’interno” del provvedimento impugnato; il controllo di legittimità
non può, infatti, riguardare la ricostruzione dei fatti e sono
inammissibili le censure che, pur formalmente investendo la
motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa
valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito,
dovendosi in sede di legittimità accertare unicamente se gli elementi
di fatto sono corrispondenti alla previsione della norma
incriminatrice.
Sempre in via generale, avuto riguardo ai motivi sottesi nell’atto di
gravame, occorre precisare – con riguardo ai limiti del sindacato di
legittimità sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per
cassazione, delineati dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.,
nel testo vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46
del 2006 – come la predetta novella non abbia comportato la
possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare un’indagine
sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la
propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito,
dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare l’adeguatezza
delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per
giustificare il suo convincimento. La mancata rispondenza di queste
ultime alle acquisizioni processuali può, soltanto ora, essere dedotta
quale motivo di ricorso qualora comporti il c.d. «travisamento della
prova» (consistente nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o
nell’omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla

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necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il
carattere della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale
sottoposto a critica), purché siano indicate in maniera specifica ed
inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle
forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in
considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza
alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non ne sia

effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato. Il
ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art. 606,
comma 1, lett. e), cod. proc. pen. intenda far valere il vizio di
«travisamento della prova» deve, a pena di inammissibilità (Cass.,
Sez. 1, n. 20344 del 18/05/2006-dep. 14/06/2006, Salaj, rv. n.
234115; Cass., Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010-dep. 22/12/2010,
Damiano, rv. n. 249035):
(a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la
doglianza;
(b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale
atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la
ricostruzione svolta nella sentenza impugnata;
(c)

dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato

probatorio invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto
processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori
ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento;
(d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e
compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza
della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità”
all’interno

dell’impianto

argomentativo

del

provvedimento

impugnato.
In proposito, può ritenersi ormai consolidato, nella giurisprudenza di
legittimità, il principio della c.d. “autosufficienza del ricorso”,
inizialmente elaborato dalle Sezioni civili di questa Corte.
Valorizzando dapprima la formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5,
cod. proc. civ. (a norma del quale le sentenze pronunziate in grado
d’appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per
Cassazione: «…

5. per omessa, insufficiente o contraddittoria

motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato
dalle parti o rilevabile di ufficio»;

la disposizione stabilisce

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attualmente, all’esito delle modifiche apportate dall’art. 54 d.l. n. 83
del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, che le sentenze
pronunciate in grado d’appello o in unico grado possono essere
impugnate con ricorso per cassazione «… 5. per omesso esame circa
un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra
le parti»), ed attualmente la formulazione (introdotta dal D. Lgs. n.
40 del 2006) dell’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ. (a norma

del quale il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di
inammissibilità: «… 6. la specifica indicazione degli atti processuali,
dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si
fonda»), si è osservato che il ricorso per cassazione deve ritenersi
ammissibile in generale, in relazione al principio dell’autosufficienza
che lo connota, quando da esso, pur mancando l’esposizione dei
motivi del gravame che era stato proposto contro la decisione del
giudice di primo grado, non risulti impedito di avere adeguata
contezza, senza necessità di utilizzare atti diversi dal ricorso, della
materia che era stata devoluta al giudice di appello e delle ragioni
che i ricorrenti avevano inteso far valere in quella sede, essendo
esse univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene
riferito circa il contenuto della sentenza impugnata, sia dalle critiche
che ad essa vengono rivolte (Cass. civ. Sez. 2, n. 26234 del
02/12/2005, rv. n. 585217; Cass., Sez. lav., n. 14561 del
17/08/2012, rv. n. 623618).
Tenuto conto dei principi e delle finalità complessivamente sottesi al
giudizio di legittimità, questa Corte Suprema ha già ritenuto che «la
teoria dell’autosufficienza del ricorso elaborata in sede civile debba
essere recepita e applicata anche in sede penale con la conseguenza
che, quando la doglianza abbia riguardo a specifici atti processuali, la
cui compiuta valutazione si assume essere stata omessa o travisata,
è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante
la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti
specificamente indicati (ovviamente nei limiti di quanto era stato già
dedotto in precedenza), posto che anche in sede penale – in virtù del
principio di autosufficienza del ricorso come sopra formulato e
richiamato – deve ritenersi precluso a questa Corte l’esame diretto
degli atti del processo,

a meno che il fumus del vizio dedotto

non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso»

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(Cass., Sez. 1, n. 16706 del 18/03/2008-dep. 22/04/2008, Falcone,
rv. n. 240123; cfr., altresì, Cass., Sez. 1, n. 6112 del 22/01/2009dep. 12/02/2009, Bouyahia, rv. n. 243225; Cass., Sez. 5, n. 11910
del 22/01/2010-dep. 26/03/2010, Casucci, rv. n. 246552, per la
quale è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il vizio di
manifesta illogicità della motivazione e, pur richiamando atti
specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o

allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto, così da
rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative
doglianze; Cass., Sez. 6, n. 29263 del 08/07/2010-dep. 26/07/2010,
Cavanna e altro, rv. n. 248192, per la quale il ricorso per cassazione
che denuncia il vizio di motivazione deve contenere, a pena di
inammissibilità e in forza del principio di autosufficienza, le
argomentazioni logiche e giuridiche sottese alle censure rivolte alla
valutazione degli elementi probatori, e non può limitarsi a invitare la
Corte alla lettura degli atti indicati, il cui esame diretto è alla stessa
precluso; Cass., Sez. 2, n. 25315 del 20/03/2012-dep. 27/06/2012,
Ndreko e altri, rv. n. 253073, per la quale in tema di ricorso per
cassazione, è onere del ricorrente, che lamenti l’omessa o travisata
valutazione dei risultati delle intercettazioni effettuate, indicare l’atto
asseritamene affetto dal vizio denunciato, curando che esso sia
effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al giudice di
legittimità o anche provvedendo a produrlo in copia nel giudizio di
cassazione). In proposito, va, pertanto, riaffermato il principio di
diritto secondo cui «in tema di ricorso per cassazione, va recepita e
applicata anche in sede penale la teoria della “autosufficienza del
ricorso”, elaborata in sede civile; ne consegue che, quando i motivi
riguardino specifici atti processuali, la cui compiuta valutazione si
assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente
suffragare la validità del suo assunto mediante l’allegazione o la
completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti
specificamente indicati, non potendo egli limitarsi ad invitare la Corte
Suprema alla lettura degli atti indicati, posto che anche in sede
penale è precluso al giudice di legittimità l’esame diretto degli atti
del processo». La mancanza, l’illogicità e la contraddittorietà della
motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono
risultare di spessore tale da risultare percepibili ictu ocull, dovendo il

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sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze
e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed
adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal
senso, conservano validità, e meritano di essere tuttora condivisi, i

principi affermati da questa Corte Suprema, Sez. Un., n. 24 del
24/11/1999-dep. 16/12/1999, Spina, rv. n. 214794; Cass., Sez. Un.,
n. 12 del 31/05/2000-dep. 23/06/2000, Jakani, rv. n. 216260;
Cass., Sez. Un., n. 47289 del 24/09/2003-dep. 10/12/2003, Petrella,
rv. n. 226074). Deve tuttora escludersi la possibilità, per il giudice di
legittimità, di procedere ad un’analisi orientata ad esaminare in
modo separato ed atomistico i singoli atti, nonché i motivi di ricorso
su di essi imperniati ed a fornire risposte circoscritte ai diversi atti ed
ai motivi ad essi relativi (Cass., Sez. 6, n. 14624 del 20/03/2006dep. 27/04/2006, Vecchio, rv. n. 233621; Cass., Sez. 2, n. 18163
del 22/04/2008-dep. 06/05/2008, Ferdico, rv. n. 239789), e ad una
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o
all’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti (Cass., Sez. 6, n. 27429 del 04/07/2006-dep.
01/08/2006, Lobriglio, rv. n. 234559; Cass., Sez. 6, n. 25255 del
14/02/2012-dep. 26/06/2012, Minervini, rv. n. 253099).
Il giudice di legittimità ha, pertanto, ai sensi del novellato art. 606
cod. proc. pen., il compito di accertare (Cass., Sez. 6, n. 35964 del
28/09/2006-dep. 26/10/2006, Foschini e altro, rv. n. 234622; Cass.,
Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009-dep. 12/10/2009, Belluccia e altro,
rv. n. 244623; Cass., Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007-dep.
23/10/2007, Casavola e altri, rv. n. 238215):
(a) il contenuto del ricorso (che deve contenere gli elementi sopra
individuati);
(b) la decisività del materiale probatorio richiamato (che deve essere
tale da disarticolare l’intero ragionamento del giudicante o da
determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione);
(c) l’esistenza di una radicale incompatibilità con l’iter motivazionale
seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto;
(d)

la sussistenza di una prova omessa od inventata, e del c.d.

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«travisamento del fatto», ma solo qualora la difformità della realtà
storica sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu °cui/ ed assuma
anche carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli
elementi probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio
valutativo non è sindacabile in sede di legittimità se non
manifestamente illogico e, quindi, anche contraddittorio).
Sulla base di questi principi va esaminato l’odierno ricorso.
Il Tribunale del riesame ha valorizzato, ad integrazione del

6.

necessario quadro di gravità indiziaria legittimante l’emissione della
impugnata misura coercitiva, una articolata serie di elementi, dai
quali – con motivazione esauriente, logica, non contraddittoria, come
tale esente da vizi rilevabili in questa sede, oltre che in difetto delle
ipotizzate violazioni di legge nonchè del dedotto travisamento della
prova – è stata nel complesso desunta la sussistenza del necessario
quadro di gravità indiziaria in relazione al reato ipotizzato, nella
specie senz’altro configurabile nei suoi elementi costitutivi essenziali.
Di contro, le doglianze del ricorrente inerenti all’adeguatezza del
quadro indiziario valorizzato dal Tribunale del riesame si risolvono, al
contrario, nella generica – e non consentita – prospettazione di una
diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito,
laddove in sede di legittimità occorre unicamente accertare se gli
elementi di fatto valorizzati dai giudici del merito siano
corrispondenti alla previsione della norma incriminatrice che si
assume violata.
7.

Con riferimento ad entrambi i motivi di doglianza, trattabili
congiuntamente per omogeneità di tema, rileva il Collegio come il
provvedimento impugnato contenga motivazione capace di
“superare” gli infondati odierni rilievi avanzati dal ricorrente.
Invero, osserva il Tribunale (pag. 5 dell’ordinanza impugnata) come
la contestazione di cui al capo 6, alla cui esaustiva ricostruzione si
rinviava alle pagg. 149-244 dell’ordinanza cautelare genetica, si
intrecci con quella di cui al capo 5 ove si contesta all’allora candidata
a Sindaco del Comune di Isola di Capo Rizzuto (Girasole Carolina) ed
al di lei marito (Pugliese Franco) di aver concluso un accordo con due
membri della famiglia Arena (Massimo e Pasquale, classe 1967, figli
del boss Arena Nicola), per ottenere voti effettivamente reperiti ed
assicurati dalla cosca Arena in cambio della promessa, in caso di

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elezione, di futuri favoritismi ed agevolazioni in favore della
consorteria di ‘ndrangheta da parte del sindaco e della sua
amministrazione: favori che si sarebbero concretizzati “attraverso
un’attività amministrativa apparentemente lecita e sapientemente
guidata, nell’assicurare alla cosca Arena non solo il mantenimento di
fatto del possesso dei terreni confiscati ad Arena Nicola cl. 1937 e
Corda Tommasina, quanto la loro coltivazione a finocchio e la

relativa raccolta dei prodotti inerenti all’annata agraria 2010,
consentendo agli stessi, attraverso l’omessa frangizollatura dei
terreni, l’indizione di una gara mediante apposito bando e la
conseguente turbativa della gara stessa (condotte concorsuali
contestate al capo 6), di commercializzare il prodotte e ricavarne un
profitto lordo pari ad euro 1.000.000,00”.
Osserva il Tribunale come “… precisamente in data 07.12.2010 …,
l’Ente inviava un atto di indirizzo al responsabile del settore
patrimonio per la stesura di un bando per la raccolta dei finocchi
seminati sui terreni confiscati”: atto che veniva approvato dalla
Giunta comunale su proposta del Sindaco Girasole. Il giorno
immediatamente successivo a tale proposta, e quindi prima che il
bando per l’affidamento del servizio di raccolta dei finocchi venisse
pubblicato, Arena Nicola già parlava del prezzo dei finocchi con
Demeco Giuseppe, fratello dell’indagato Antonio, titolare dell’azienda
(cfr., conversazione n. 1934 del 02/12/2010). L’interpretazione
alternativa proposta dalla difesa, sulla scorta delle dichiarazioni rese
dal prevenuto al giudice per le indagini preliminari, ed in base al
quale gli Arena si sarebbero portati presso il terreno dei Demeco solo
per informarsi del prezzo da questi praticato per la vendita dei
finocchi secondo una consuetudine invalsa tra agricoltori, non solo
appare inverosimile ma comunque non priva di rilievo i successivi e
conducenti elementi indizianti raccolti a carico dell’attuale istante. Il
09.12.2010, il Comune di Isola di Capo Rizzuto … recependo
integralmente il conforme atto di indirizzo adottato dalla Giunta …
deliberava di indire una procedura pubblica per l’affido in
concessione del servizio di coltivazione e raccolta su circa 39 ettari
dei terreni confiscati …. Quella stessa mattina Arena Nicola e
Massimo si portavano presso l’azienda agricola “Demeco” … e
commentavano compiaciuti l’avvenuta risoluzione del loro problema,

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citando, altresì, tale “rapinu” (soprannome di Guarino Antonio)
ovvero di uno dei soggetti che, operando di fatto per conto
dell’impresa agricola della cognata Sestito Concetta, avrebbe
presentato una delle offerte per ottenere l’aggiudicazione del servizio
di coltivazione e raccolta dei finocchi sui terreni confiscati agli Arena
/I

Significative in chiave accusatoria sono anche:

– la conversazione n. 2131 del 13/12/2010 nel corso della quale
Arena Massimo diceva chiaramente al padre Nicola “partecipiamo noi
al bando … ci hanno fatto pure il bando !”;
– la conversazione n. 2175 del 14.12.2010 intercorsa tra Demeco
Antonio ed Arena Massimo, con riferimento alla quale il Tribunale
riconosce che “… ad onta di quanto sostenuto dall’indagato in sede di
interrogatorio di garanzia – laddove ha affermato che suo fratello
Domenico era del tutto estraneo all’attività della propria azienda
agricola, che comunque non si era fatto male ad un piede e che egli
non si era poi incontrato con gli Arena – il tenore del colloquio (la cui
riferibilità all’odierno ricorrente non appare, allo stato, in
discussione) evidenzia come pochissimo tempo prima della scadenza
del termine per partecipare al bando comunale, il Guarino prendeva
appuntamento con gli Arena per concordare una strategia comune
(“… che poi ci vediamo … vediamo come ci dobbiamo muovere …”) in
merito a qualcosa di cui non ha saputo dare alcuna spiegazione
alternativa rispetto a quella, del tutto logica, prospettata dalla
pubblica accusa …”.
Sulla base di queste considerazioni, il Tribunale – in termini del tutto
consequenziali – concludeva affermando “… che l’assegnazione in
favore di Demeco Antonio fosse fittizia ed oggetto di uno scellerato
patto a vantaggio della consorteria degli Arena trova(va) conferma
anche negli ottimi rapporti intercorrenti tra la famiglia Arena e la
famiglia Demeco, quali emergevano da diverse intercettazioni
registrate in epoca precedente e precisamente dal 07.08.2010 in poi
(cfr. conversazioni nn. prog. 50 del 07/08/2010; n. 3044 del
24/09/2010; n. 1293 del 21/11/2010; n. 2155 del 13/12/2010; nn.
2167 e 2168 del 14/12/2010) ed ancor di più dalla conversazione n.
2751 del 29/12/2010 … durante la quale l’interlocutore di Arena
Nicola, ben conoscendo la fittizietà dell’aggiudicazione al Demeco,

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scherzava col primo e gli chiedeva se potesse raccogliere i finocchi,
in considerazione del fatto che erano di

“vampuni”

(Demeco

Antonio). Ulteriori ed importanti elementi investigativi di riscontro si
ricavano, poi, dai servizi di o.c.p., dalla localizzazione delle
automobili

monitorate

e

dalle

conversazioni

intercettate

successivamente all’aggiudicazione del bando in esame …”.
In particolare, il Tribunale evidenziava una conversazione di assoluto

rilievo (conv. n. 3057 del 07/01/2011): “Arena Massimo e Nicola,
subito dopo aver osservato l’attività di raccolta in corso sui terreni
confiscati, si rendevano conto che i lavoranti impiegati erano
insufficienti per completare l’opera, quindi chiamavano
l’aggiudicatario del banco pubblico, Demeco Antonio, e gli
rivolgevano dei “consigli” non richiesti che assumevano il tenore di
vere e proprie direttive … così mostrandosi, indiscutibilmente, i veri
gestori dei lavori agricoli in esecuzione …”.
In relazione agli ultimi due profili di doglianza dedotti, il Tribunale anche in questo caso con motivazione congrua e priva di vizi – ha da
un lato ravvisato in capo al Demeco la ricorrenza dell’aggravante di
cui all’art. 7 I. n. 203/1991, avendo lo stesso agito per favorire la
compagine ‘ndranghetistica degli Arena, soggetti la cui mafiosità
“storica” il ricorrente – cittadino isolitano – non poteva ignorare,
consentendo in tal modo ai medesimi di conseguire, in buona parte, i
notevoli profitti derivanti dalla vendita dei prodotti agricoli coltivati
sui terreni che agli stessi erano stati confiscati per effetto
dell’irrogazione di una misura di prevenzione antimafia.
Infine, con riferimento all’applicazione ed al mantenimento della
misura cautelare in atto, gli argomenti “giustificativi” del giudice del
riesame appaiono assolutamente congrui e logici, laddove si afferma
che “quanto alla scelta della misura cautelare ai sensi dell’art. 275
cod. proc. pen., la presunzione (relativa) di esclusiva adeguatezza
della misura carceraria è stata superata dal giudice per le indagini
preliminari, ma, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa e sia
pur trattandosi di persona incensurata, (si) ritiene che quella degli
arresti domiciliari in atto applicata sia senz’altro idonea a soddisfare
il rilevato pericolo di reiterazione criminosa, laddove misure
ulteriormente gradate, per l’eccessiva libertà di movimento che
garantiscono a chi vi è sottoposto, non preserverebbero in modo

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altrettanto efficace le esigenze da salvaguardare evidenziate”.
8. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle
ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti
dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1.000,00

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla
Cassa delle ammende.
Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 18.6.2014

PQM

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