Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30776 del 18/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30776 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 18/06/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di ARENA Massimo, n. a Isola di
Capo Rizzuto (KR) il 02.05.1965, attualmente sottoposto alla misura
cautelare della custodia in carcere, rappresentato e assistito dall’avv.
Antonio Marotta e dall’avv. Mario Saporito, avverso l’ordinanza del
Tribunale di Catanzaro, seconda sezione penale, n. 1507/2013, in
data 02.01.2014;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
udite le conclusioni del Sostituto procuratore generale dott. Mario
Fraticelli che ha chiesto il rigetto del ricorso nonché la discussione del
difensore, avv. Antonio Marotta, che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1

1. Con ordinanza in data 26.11.2013, il Giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Catanzaro applicava nei confronti di
Arena Massimo la misura cautelare della custodia in carcere in ordine
ai delitti di cui agli artt. 110, 81 cpv. cod. pen., 86 d.P.R. n.
570/1960 e 7 I. n. 203/1991 (capo 5), 110, 112 n. 1, 353 cod. pen.,
7 d.l. n. 152/1991 (capo 6) e 416-bis cod. pen. (capo 9).
Avverso detto provvedimento, veniva proposta richiesta di riesame

2.

avanti al Tribunale di Catanzaro che, con ordinanza in data
02.01.2014, rigettava il gravame e confermava l’ordinanza
impugnata.
3.

Avverso l’ordinanza in parola, nell’interesse di Arena Massimo,
veniva proposto ricorso per cassazione lamentando:
-violazione pregiudiziale delle regole processuali in punto di esercizio
del potere cautelare (e, dunque, violazione di legge in relazione agli
artt. 291 e 292 cod. proc. pen.) e del principio del ne bis in idem
(primo motivo);
-difettosa valutazione dei dati procedimentali, errata criteriologia
legale, motivazione inadeguata in punto di carenza di gravità
indiziaria di colpevolezza in ordine al capo 9), violazione di legge
degli artt. 273 e 191 cod. proc. pen. in relazione all’art. 416-bis cod.
pen. (secondo motivo);
– violazione di legge e difetto di motivazione in ordine al contestato
delitto di corruzione elettorale aggravata (terzo motivo);
-violazione di legge e difetto di motivazione in ordine al delitto di
turbata libertà degli incanti (quarto motivo);
-violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla fattispecie
associativa per mancanza di indicatori fattuali da cui inferire
l’attualità della condotta di partecipazione delittuosa e per mancata
valutazione dei documentati ed argomentati elementi fattuali a
discarico (quinto motivo);
-violazione di legge in relazione agli artt. 274 e 275 cod. proc. pen.
per ritenuta eccessività e sproporzionalità della misura applicata
(sesto motivo).
In relazione al primo motivo, evidenzia il ricorrente come il giudice
per le indagini preliminari in data 13.06.2013 avesse rilevato come la
richiesta del pubblico ministero di applicazione di misura cautelare

2

riguardasse plurime fattispecie delittuose aggravate ex art. 7 I.
203/1991, tra cui una associativa non di nuova cognizione in sede
processuale e che l’intervenuta condanna aveva interrotto la
permanenza del vincolo alla data della relativa pronuncia; il giudice
per le indagini preliminari, non accogliendo la richiesta e disponendo
la restituzione degli atti al pubblico ministero (per non essere
evidenziabili i dati fattuali indicativi del ruolo partecipativo di ciascun

indagato ed i relativi tempi) aveva di fatto respinto la richiesta e
consunto il proprio potere valutativo.
In relazione al secondo motivo, evidenzia il ricorrente come
l’addebito, coprendo il periodo di precedente contestazione, non era
ulteriormente contestabile, in assenza di ulteriore emergenza
fattuale che ne avvalori la persistenza associativa.
In relazione al terzo motivo, lamenta il ricorrente come, con
riferimento al capo 5), non sussista un quadro di gravità indiziaria
serio.
In relazione al quarto motivo, lamenta il ricorrente come l’ordinanza
impugnata abbia recepito acriticamente l’asserzione del giudice per
le indagini preliminari sull’avvenuto introito dei guadagni derivanti
dalla commercializzazione dei prodotti agricoli coltivati sulle terre
confiscate senza che sul punto siano stati enunciati o evidenziati dati
indiziari a sostegno.
In relazione al quinto motivo, evidenzia il ricorrente come Arena
Massimo risulti essere già stato processato per il delitto di cui all’art.
416-bis cod. pen. e condannato con sentenza del Tribunale di
Crotone in data 03.05.1996. L’aver subito una condanna per il delitto
di partecipazione in associazione mafiosa non può implicare,
necessariamente, che la commissione di un ulteriore e successivo
delitto, anche aggravato dalle modalità mafiose, sia da collegare ad
un’ultra-attività della consorteria: al contrario, Arena Massimo è
stato ritenuto gravemente indiziato di appartenenza al sodalizio
mafioso (capo 9) senza un’autonoma valutazione, in termini
soggettivi ed oggettivi, del segmento di condotta a lui ascritto.
In relazione al sesto motivo, evidenzia il ricorrente come il tempo
trascorso dalla presunta commissione dei fatti contestati e
l’inesistenza di comportamenti o atti concreti sono tutti elementi
sintomatici di una prognosi positiva che dimostra con assoluta

3

certezza l’inesistenza della cautela sociale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4.

Il ricorso, con riferimento a tutti i motivi di doglianza proposti, è
manifestamente infondato e, come tale, risulta inammissibile.
È anzitutto necessario chiarire, sia pur in sintesi, i limiti di
sindacabilità da parte di questa Corte Suprema dei provvedimenti

5.

adottati dal giudice del riesame sulla libertà personale.
Secondo l’orientamento di questa Corte Suprema, che il Collegio
condivide e reputa attuale anche all’esito delle modifiche normative
che hanno interessato l’art. 606 cod. proc. pen. (cui l’art. 311 cod.
proc. pen. implicitamente rinvia), in tema di misure cautelari
personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di
motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in
ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte
Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare
natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se
il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che
l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico
dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione
riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni
della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento
delle risultanze probatorie. Si è anche precisato che la richiesta di
riesame, mezzo di impugnazione, sia pure atipico, ha la specifica
funzione di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare
con riguardo ai requisiti formali indicati nell’art. 292 cod. proc. pen.,
ed ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del
provvedimento coercitivo: ciò premesso, si è evidenziato che la
motivazione della decisione del Tribunale del riesame, dal punto di
vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal
citato articolo, ispirato al modulo di cui all’art. 546 cod. proc. pen.,
con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della
pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente
all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata
probabilità di colpevolezza (Cass., Sez. un., n. 11 del 22/03/2000,
Audino, rv. 215828; conforme, dopo la novella dell’art. 606 cod.

4

proc. pen., Cass., Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, Terranova, rv.
237012).
Si è successivamente osservato, sempre in tema di impugnazione
delle misure cautelari personali, che il ricorso per cassazione è
ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di
legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del
provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto,

ma non anche quando propone censure che riguardino la
ricostruzione dei fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione
delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Cass., Sez. 5, n.
46124 del 08/10/2008, Pagliaro, rv. 241997; Cass., Sez. 6, n. 11194
del 08/03/2012, Lupo, rv. 252178).
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 cod. proc.
pen.) e delle esigenze cautelari (art: 274 cod. proc. pen.) è, quindi,
rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di
specifiche norme di legge o nella manifesta illogicità della
motivazione secondo la logica ed i principi di diritto, rimanendo
“all’interno” del provvedimento impugnato; il controllo di legittimità
non può, infatti, riguardare la ricostruzione dei fatti e sono
inammissibili le censure che, pur formalmente investendo la
motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa
valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito,
dovendosi in sede di legittimità accertare unicamente se gli elementi
di fatto sono corrispondenti alla previsione della norma
incriminatrice.
Il Tribunale del riesame ha valorizzato, ad integrazione del
necessario quadro di gravità indiziaria legittimante l’emissione della
impugnata misura coercitiva, una articolata serie di elementi, dai
quali – con motivazione esauriente, logica, non contraddittoria, come
tale esente da vizi rilevabili in questa sede, oltre che in difetto delle
ipotizzate violazioni di legge – è stata nel complesso desunta la
sussistenza del necessario quadro di gravità indiziaria in relazione ai
reati ipotizzati, nella specie senz’altro configurabili nei loro elementi
costitutivi essenziali.
Di contro, la gran parte delle doglianze del ricorrente inerenti
all’adeguatezza del quadro indiziario valorizzato dal Tribunale del
riesame si risolvono, al contrario, nella generica – e non consentita –

5

prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze
esaminate dal giudice di merito, laddove in sede di legittimità
occorre unicamente accertare se gli elementi di fatto valorizzati dai
giudici del merito siano corrispondenti alla previsione della norma
incriminatrice che si assume violata.
6. Con riferimento al primo motivo di doglianza, eccepisce il ricorrente
la nullità dell’ordinanza impugnata per violazione del principio del ne

bis in idem.
Risulta dagli atti come, in data 13.06.2013, il giudice per le indagini
preliminari avesse adottato provvedimento “interlocutorio” in ordine
all’istanza cautelare avanzata dal pubblico ministero in data
20.12.2012 osservando come nella medesima non fossero stati
rappresentati in modo circostanziato, unitario ed esaustivo, gli
indicatori fattuali dell’esistenza e dell’operatività attuale del sodalizio
criminoso: di tal che, disponeva la restituzione degli atti al pubblico
ministero chiedendo al medesimo di specificare “gli indicatori fattuali
dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti
propriamente al fenomeno della criminalità di stampo mafioso, possa
logicamente inferirsi l’operatività e l’appartenenza del soggetto al
sodalizio” nonché le “modalità di identificazione degli interlocutori di
ciascuna delle conversazioni rilevanti ai fini di cui all’accusa”. A detta
richiesta il pubblico ministero “ottemperava” con atto pervenuto in
data 17.02.2013 con il quale, reiterando la richiesta custodiale,
precisava che “pur essendo i rilievi formulati … assolutamente
superabili dal mero esame della segnalazione di reato e dalle
annotazioni di polizia giudiziaria della compagnia della Guardia di
Finanza di Crotone”, l’ufficio di Procura aveva proceduto “conferendo
apposita delega all’organismo di polizia giudiziaria procedente, alla
elaborazione di un’annotazione complessiva di sintesi relativa alla
identificazione dei parlatori di ognuna delle conversazioni telefoniche
e ambientali utilizzate in fase investigativa e cautelare”; l’organo
dell’accusa chiariva infine che, in merito alla contestazione
associativa di cui al capo 9 della rubrica, dall’esame deli
provvedimenti acquisiti al fascicolo del pubblico ministero emergesse
come la sentenza del Tribunale penale di Crotone emessa nei
confronti di Arena Fabrizio ed altri avesse riconosciuto l’operatività
dell’associazione in esame sino alla data della sua pronuncia ovvero

6

5 aprile 2011, periodo che copre abbondantemente i fatti oggetto del
presente procedimento. Sulla scorta di tale atto di impulso, il giudice
per le indagini preliminari emetteva il provvedimento cautelare,
successivamente impugnato avanti al Tribunale del riesame.
Fermo quanto precede, ritiene il Collegio, in adesione alle valutazioni
operate dal giudice del provvedimento impugnato, come il giudice
per le indagini preliminari, con il suo provvedimento interlocutorio,

della richiesta cautelare, limitandosi a restituire gli atti al pubblico
ministero con invito ad una più circostanziata esposizione dei profili
sopra richiamati: evento puntualmente verificatosi dal momento che,
con la “nuova” richiesta, il pubblico ministero ebbe ad ottemperare
all’invito (così – di fatto – superando nel concreto l’esordio iniziale
dell’atto di inoltro in ordine alla ritenuta – ed irrilevante in quanto
proveniente dalla parte – valutazione del pubblico ministero circa la
sufficienza del materiale inoltrato in prima istanza) allegando
ulteriori elementi di cognizione ai fini dell’emissione del
provvedimento richiesto. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità
(Cass., Sez. 3, n. 42901 del 28/09/2004, dep. 04/11/2004,
Marchesin ed altri, rv. 230183) ha avuto modo di chiarire che non
costituisce giudicato cautelare il provvedimento con il quale il giudice
per le indagini preliminari, investito della richiesta di una misura
cautelare, restituisce gli atti al pubblico ministero affinchè l’accusa
esponga in maniera più circostanziata le ragioni poste a fondamento
della misura richiesta giacchè tale decreto, da un lato, non ha valore
equipollente ad una decisione di rigetto della richiesta stessa, e
dall’altro, non è impugnabile dall’organo dell’accusa, per il principio
della tassatività dei mezzi di impugnazione (nella fattispecie, la Corte
ha osservato che il cosiddetto “giudicato cautelare” si configura come
una preclusione che deriva dalla irrevocabilità della decisione in
materia cautelare, anche quando si tratta di provvedimento che nega
o respinge l’applicazione di una misura coercitiva).
Ne consegue la legittimità dell’operato del giudice per le indagini
preliminari nonché del pubblico ministero, e la inconfigurabilità del
dedotto giudicato cautelare con riferimento al decreto interlocutorio
del giudicante in data 13.06.2013.
7. Anche il secondo motivo di doglianza è affetto da manifesta

non sia entrato nel merito delle valutazioni inerenti la fondatezza

infondatezza. Sul punto, il Tribunale, con motivazione congrua e
priva di vizi logico-giuridici, evidenzia come le sentenze penali
acquisite nel procedimento (comprovanti l’operatività
dell’associazione mafiosa facente capo alla famiglia “Arena” di Isola
Capo Rizzuto sin dagli inizi degli anni ’70) avevano provato
l’operatività del clan “fino al mese di aprile 2009 e non fino al 5
aprile 2011 … sicchè gli elementi indiziari posti a fondamento

dell’addebito associativo nel presente procedimento (relativi,
prevalentemente, a fatti accaduti nell’anno 2010), non ricadevano in
periodo “coperto” dal giudicato ed erano, al contrario, dimostrativi
dell'”ultrattività” del sodalizio di cui al capo 9), operante “in Isola
Capo Rizzuto e comprensorio con attualità delle illecite condotte”.
Non sussiste, poi, alcun dubbio – secondo la valutazione operata dal
Tribunale – in ordine alla portata dimostrativa delle sentenze emesse
all’esito del processo cd. “Ghibli”. La sentenza di annullamento
prodotta dalla difesa (sentenza della Suprema Corte di Cassazione n.
1333 del 18.7.2013-22.8.2013) riguarda, infatti, esclusivamente le
posizioni associative di Arena Fabrizio, Arena Salvatore e Gentile
Fiore e non, invece, la sussistenza stessa del clan Arena; per quanto
riguarda gli altri affiliati alla cosca è, invece, intervenuta sentenza di
condanna in abbreviato. Tale decisione … è stata riformata dalla
Corte di Assise di Appello con sentenza che assolto alcuni degli
imputati condannati in primo grado; quest’ultima pronuncia, a sua
volta, è stata annullata dalla Suprema Corte di Cassazione con
sentenza 13.03.2013-19.09.2013, in accoglimento del ricorso
presentato dal Procuratore generale concernente proprio il reato di
cui all’art. 416-bis cod. pen.. Appare necessario evidenziare che tale
pronuncia, tra le altre statuizioni adottate, ha annullato la sentenza
della Corte di Assise di Appello limitatamente al trattamento
sanzionatorio, con riguardo alle posizioni di alcuni imputati dichiarati
responsabili del reato di cui all’ad 416-bis cod. pen. (Lentini Paolo,
Gentile Tommaso e Morelli Luigi): deve ritenersi, pertanto, che
sull’affermazione di responsabilità di tali imputati in ordine alla
partecipazione al sodalizio mafioso noto come clan Arena – e, quindi,
sulla sussistenza stessa del sodalizio (fino all’aprile 2009) -, si sia
formato il giudicato. Le indagini poste a base del provvedimento
impugnato – fondate, prevalentemente, su intercettazioni telefoniche

8

e ambientali – venivano avviate nell’anno 2010 all’indomani della
scarcerazione del “capo storico” del gruppo di ‘ndrangheta sopra
detto, Arena Nicola cl. 1937 e, nel giro di poco tempo, hanno
permesso di acquisire notizie e informazioni di assoluto rilievo in
relazione all’assetto e ai molteplici affari criminosi posti in essere, al
tempo, dai sodali in esecuzione del programma associativo e di
accertare ulteriori episodi delittuosi che denotano la persistente ed

attuale operatività della cosca … anche nel periodo successivo a
quello di accertamento giudiziale nel processo “Ghibli” (aprile 2009)
… (come) emerge, soprattutto, dalla ricostruzione delle vicende
delittuose di cui ai capi 5), 6) e 10), commesse negli anni 20102011, a dimostrazione di come tale sodalizio sia tutt’ora pienamente
attivo sul territorio …”.
8. Anche il terzo ed il quarto motivo di doglianza, trattabili
congiuntamente per sostanziale omogeneità di tema – motivi che
propongono non già precise contestazioni di illogicità argomentativa
bensì solo doglianze di merito, non condividendosi dal ricorrente le
conclusioni attinte ed anzi proponendosi versioni alternative, a dire
dello stesso, maggiormente persuasive di quelle dispiegate
nell’ordinanza impugnata – sono manifestamente infondati.
Nel provvedimento oggetto di gravame, con riferimento al capo 5
(con il quale Arena Massimo è accusato di avere, unitamente al
fratello e sodale Arena Pasquale, stretto un accordo elettorale con
l’allora candidata a sindaco di Isola Capo Rizzuto, Girasole Carolina segnatamente, con il marito di costei Pugliese .Franco – volto ad
assicurare voti in cambio di futuri favoritismi ed agevolazioni in
favore della consorteria di ‘ndrangheta; favori che si concretizzavano
attraverso un’attività amministrativa apparentemente lecita e
sapientemente guidata, nell’assicurare alla cosca Arena non solo il
mantenimento di fatto del possesso dei terreni confiscati ad Arena
Nicola cl. 1937 e Corda Tommasina, quanto la loro coltivazione a
finocchio e la relativa raccolta dei prodotti inerenti all’annata agraria
2010, consentendo agli stessi, attraverso l’omessa frangizollatura dei
terreni, l’indizione di una gara mediante apposito bando e la
conseguente turbativa della gara stessa – condotte concorsuali
contestate al successivo capo 6 – di commercializzare il prodotto e
ricavarne un profitto lordo pari ad un milione di euro), evidenzia il

9

Tribunale come “dalle risultanze investigative, riportate alle pagg.
149-243 della gravata ordinanza – alle quali si rinvia integralmente e
che devono ritenersi parte integrante del presente provvedimento costituite dagli esiti dell’attività di intercettazione telefonica ed
ambientale, emergesse, in estrema sintesi, come gli Arena, anche
dopo aver definitivamente perso il possesso dei beni confiscati trasferiti al Comune di Isola e da questo all’Associazione libera

Crotone – fossero riusciti a perseguire lo scopo prefissatosi, ossia
quello di commercializzare i prodotti agricoli coltivati fino al mese di
settembre 2010 sulle terre confiscate, in tal modo introitando i
relativi ingenti guadagni che, invece, ben avrebbero potuto essere
incamerati dall’ente pubblico comunale, oramai divenuto proprietario
del medesimi fondi. I fatti … venivano accertati a partire dal mese di
ottobre 2010, allorquando gli Arena, dopo aver compreso che era
oramai imminente il definitivo spossessamento dei cespiti confiscati,
per l’intervenuta esecutività dei provvedimenti ablatori, si attivavano
per ottenere la possibilità di vendere i finocchi già piantumati nel
terreno e di introitare così gli ingenti guadagni (stimati in circa un
milione di euro), scongiurando il “pericolo” della cd. “frangizollatura”
del terreno, operazione – caldeggiata dai responsabili
dell’Associazione “Libera” proprio per evitare qualsiasi possibile
infiltrazione degli Arena – che avrebbe distrutto l’intero raccolto. Tale
progetto riceveva l’appoggio del sindaco, al tempo, del Comune di
Isola Capo Rizzuto, Carolina Girasole, alla quale gli Arena si
rivolgevano esplicitamente per raggiungere il loro obiettivo. I
rapporti fra la cosca degli Arena e il Sindaco … Carolina Girasole,
nascevano e si consolidavano negli anni della campagna elettorale
(gennaio-aprile 2008), avendo quest’ultima, in quel periodo, ricevuto
il sostegno elettorale dalla famiglia Arena, la quale procurava al
primo cittadino molti voti, ciò grazie ad un esplicito accordo concluso
in nome e per conto della candidata Girasole dal marito di
quest’ultima Franco Pugliese …”: conclusioni che venivano
chiaramente avvalorate dai contenuti delle intercettate conversazioni
ambientali riportate nel provvedimento impugnato.
9. Manifestamente infondato è anche il quinto motivo di doglianza. Con
lo stesso il ricorrente, dopo aver evidenziato come la cosca Arena,
così come giudicata con la sentenza del Tribunale di Crotone in data

10

05.04.2011, avesse subìto uno stravolgimento sia sotto il profilo
soggettivo che sotto quello oggettivo, asseriva che plurimi dovessero
considerarsi i dati a discarico idonei a far ritenere che la
partecipazione di Arena Massimo alla cosca de qua fosse cessata con
la sentenza di condanna del 1996 e che il medesimo non avesse
inteso, coscientemente e volontariamente, proseguire la sua
adesione al pactum sceleris.

Sul punto, in aggiunta a quanto già evidenziato nel precedente
paragrafo 7, rileva il Collegio come il Tribunale – anche operando
preciso riferimento al tema trattato nell’ordinanza impositiva della
misura in atto – abbia adeguatamente dimostrato sia la persistente
ed attuale operatività della cosca Arena che la partecipazione di
Arena Massimo al sodalizio anche dopo il 1996, alla luce delle
evidenze raccolte con le capillari operazioni intercettive avviate sulle
utenze e all’interno delle autovetture in uso allo stesso ed ai
coindagati: attività investigativa che aveva permesso di accertare gli
illeciti rapporti intessuti fra gli organi di vertice della cosca ed alcuni
esponenti delle istituzioni e membri delle forze dell’ordine, grazie ai
quali i primi erano venuti a conoscenza di notizie ed informazioni
“segrete” afferenti indagini ed inchieste in corso di assoluto rilievo
(trattasi dei fatti di cui al capo 10 della rubrica, commessi nel
settembre – ottobre 2010).
10.Anche il sesto motivo di doglianza è manifestamente infondato
avendo il Tribunale ritenuto, con motivazione esauriente, logica, non
contraddittoria, come tale esente da vizi rilevabili in questa sede, la
sussistenza del pericolo di recidivazione, desunto dall’attualità della
condotta associativa e dalla gravità delle azioni delittuose contestate,
con operatività – quanto al delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. della presunzione (relativa) di sussistenza di tutte le esigenze
cautelari tipizzate dall’art. 274 cod. proc. pen., cui si ricollega la
presunzione (assoluta) di esclusiva adeguatezza della misura
cautelare massima, nella constatata inesistenza di elementi idonei a
vincere tale presunzione.
11.Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle
ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti

11

dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1.000,00. Si
provveda a norma dell’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1
ter disp. att. cod. proc. pen..

Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 18.6.2014

Cassa delle ammende.

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