Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3077 del 12/12/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3077 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) BARBATO VINCENZO N. IL 22/05/1976
2) MAURIELLO DANIELA N. IL 13/07/1983
avverso la sentenza n. 3115/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
12/10/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/12/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Generale in nersona del Dott. GA94 CC” IO tt°
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che ha concluso per / owu.u.Q u
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Udito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 12/12/2012

22642/2012

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 12 ottobre 2011 la Corte d’appello di Napoli, pronunciandosi sull’appello
di Barbato Vincenzo e Muriello Daniela avverso sentenza del gip del Tribunale di Napoli del 13
dicembre 2010- che li aveva ritenuti responsabili dei reati a loro ascritti (capo A per Barbato:
delitto di cui agli articoli 110 c.p. e 73, commi 1 e 6, e 80, comma 2, d.p.r. 309/1990, perché,

litro e mezzo di cocaina liquida, con recidiva reiterata specifica; capo B per Muriello: delitto di
cui agli articoli 110 e 81 c.p.v. c.p. e 73, d.p.r. 309/1990, perché, in concorso con più di altri
tre soggetti, deteneva a fini di cessione sostanza stupefacente del tipo cocaina in quantità non
precisate, con recidiva reiterata nel quinquennio) e condannati il primo, tenuto conto della
recidiva, alla pena di anni nove e mesi quattro di reclusione ed euro 30.000 di multa, la
seconda, tenuto conto della recidiva, alla pena di anni sei di reclusione ed euro 20.000 di multa
– riformava parzialmente la sentenza di primo grado, riducendo la pena inflitta alla Muriello in
anni cinque di reclusione ed euro 20.000 di multa.
La sentenza rilevava che la rinuncia ai motivi d’appello, tranne quelli relativi al trattamento
sanzionatorio, effettuata dagli imputati precludeva la valutazione sull’applicazione
dell’aggravante di cui all’articolo 80 d.p.r. 309/1990, e che le dichiarazioni ammissive degli
imputati presenti (tra cui Barbato ma non Muriello) esprimevano sostanziale resipiscenza
incidente sulla valutazione della pena ex articolo 133 c.p.; rideterminava poi la pena. Per
Muriello, riteneva congrua una pena base di anni sei e mesi sei di reclusione ed euro 28.000 di
multa, aumentata, per la recidiva reiterata nel quinquennio, ad anni sette e mesi sei di
reclusione ed euro 30.000 di multa, e quindi ridotta per il rito ad anni cinque di reclusione ed
euro 20.000 di multa. Per Barbato, osservava che il primo giudice aveva errato in diritto nel
calcolo, ma non potendosi operare una reformatio in peius, in difetto di appello del PM,
confermava le pene irrogate nella pronuncia appellata.
2. Contro la sentenza hanno presentato ricorso ciascuno degli imputati.
2.1 Muriello fonda il ricorso su tre motivi.
Il primo motivo denuncia omissione di motivazione in ordine alla sussistenza delle ipotesi di
cui all’articolo 129 c.p. p., non avendo la corte al riguardo neppure richiamato quanto ritenuto
dal giudice di primo grado.
Il secondo motivo denuncia omessa motivazione su taluni punti relativi alla rideterminazione
della sanzione, rappresentati dalla richiesta esclusione dell’aumento di pena per la recidiva e
dalla concessione delle attenuanti generiche.

in concorso con altri tre soggetti, deteneva a fini di cessione circa 2300 grammi di cocaina e un

Il terzo motivo denuncia motivazione contraddittoria ed errata applicazione dell’articolo 99
c.p., non intendendosi la ragione per cui, a fronte di un unico precedente risalente al 2003, la
corte ha operato aumento di pena ai sensi dell’articolo 99, comma quarto, c.p., recependo così
il vizio originario del primo grado.
2.2 Il ricorso di Barbato si fonda su quattro motivi, illustrati però congiuntamente.
Il ricorrente denuncia motivazione mancante e/o apparente sul diniego della concessione

motivazione per relationem rispetto alla sentenza di primo grado. La corte illogicamente rileva
che le dichiarazioni ammissive di aver commesso il fatto esprimono resipiscenza incidente sulla
valutazione della pena ex articolo. D33, comma 2, n.3, c.p., pervenendo però a concludere:
“Ne segue che le pene irrogate dal giudice di prime cure vanno confermate”. Il primo giudice
ha condannato il ricorrente riconoscendo un duplice aumento determinato dalla contestazione
dell’articolo 80 d.p.r. 309/1990 e da quello della recidiva reiterata specifica. Essendo la
recidiva circostanza aggravante ad effetto speciale, soggiace, ove ricorrano altre circostanze ad
effetto speciale, alla regola dell’applicazione della pena stabilita per la circostanza più grave,
con possibilità di ulteriore aumento. Nel caso in esame concorre con la recidiva altra
circostanza d’effetto speciale, quella ex articolo 80 citato, per cui il giudice non avrebbe potuto
duplicare l’aumento previsto per le due aggravanti e avrebbe anche dovuto motivare
sull’eventuale ulteriore aumento facoltativo previsto dalla norma.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso dell’imputata Muriello risulta parzialmente fondato.
Il primo motivo, che riguarda omessa motivazione in ordine alle ipotesi di cui all’articolo 129
c.p.p., è privo di consistenza, giacché la corte ha fornito al riguardo una motivazione
implicitamente ma inequivocamente globale laddove ha valorizzato la rinuncia ai motivi di
appello diversi da quelli relativi al trattamento sanzionatorio.
Il secondo motivo, che concerne l’omessa motivazione sulla richiesta esclusione dell’aumento
di pena per recidiva e sulle richieste attenuanti generiche, è accorpabile al terzo motivo,
riguardante specificamente l’applicazione erronea e il vizio motivazionale quanto all’articolo 99
c.p.; e la doglianza ha fondamento. Dalla stessa motivazione della sentenza impugnata emerge
che “la riduzione della pena con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la
esclusione della recidiva contestata” era lo specifico oggetto di un motivo di appello
dell’imputata (motivazione, pagina 5). Esaminando però la situazione sanzionatoria della
ricorrente (pagina 6) la corte si limita a motivare nel modo seguente: “Quanto a Muriello
Daniela, si ritiene di procedere alla riduzione della pena irrogata dal giudice di prime cure e che

delle attenuanti generiche e sulla violazione dell’articolo 63 c.p., non rinvenendosi neppure

” • —”Y.r,’. ,..71″^l’e.”,

pena congrua sia quella di anni cinque di reclusione ed euro novemila di multa, così
determinata: pena base, anni sei e mesi sei di reclusione ed euro ventottomila di multa,
aumentata, per la recidiva reiterata nel quinquennio, ad anni sette e mesi sei di reclusione ed
euro trentamila di multa, ridotta, per il rito, nella misura suddetta”. E chiaro, dunque, che la
corte non ha motivato affatto né sull’aggravante né sull’attenuante in ordine alle quali era
stato formulato il suddetto motivo di appello. Né emerge dalla motivazione alcuna idonea
correlazione integrativa alla sentenza di primo grado (e infatti la ricorrente denuncia

limitatamente al trattamento sanzionatorio inflitto all’imputata, con rinvio ad altra sezione della
Corte d’appello di Napoli.
4. Il ricorso di Barbato non è invece accoglibile.
Esaminando congiuntamente – come congiuntamente sono stati esposti dal ricorrente – i
motivi dedotti, deve rilevarsi che la contraddittorietà motivazionale prospettata è
assolutamente insussistente. Secondo il ricorrente, infatti, vi sarebbe una soluzione di
continuità logica tra il rilievo della resipiscenza emergente dalle ammissioni dell’imputato (che
si riscontra a pagina 5 della motivazione, è bene fin d’ora precisare) e la mancata modifica
della pena inflitta dal primo giudice. L’incidenza della resipiscenza rispetto alla valutazione
della pena ex articolo 133, comma secondo, n.3, c.p., di per sé non significa che la valutazione
suddetta non sia stata eseguita in modo corretto dal primo giudice. D’altronde, la frase addotta
dal motivo come conclusione contraddittoria (“Ne segue che le pene irrogate dal giudice di
prime cure vanno confermate”) è stata estrapolata da un diverso luogo della motivazione
(pagina 6), ed è la conclusione di un diverso ragionamento, cioè quello fondato sul divieto di
reformatio in peius rispetto all’errore di calcolo del primo giudice che ha aggravato le pene
inflitte. Non emerge poi che la mancata concessione delle attenuanti generiche fosse oggetto di
specifico motivo d’appello, nè risulta (cfr. ancora motivazione, pagina 6) che rispetto al
gravame la corte sia incorsa in altra violazione od omissione d’esame, apparendo, in
conclusione, manifestamente infondato il ricorso.
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso di Barbato deve essere dichiarato
inammissibile con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al
pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000,,
n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza
“versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il
ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.

P.Q.M.

appropriazione di vizio originario). Da ciò consegue, allora, l’annullamento della sentenza

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio della Muriello e
rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli. Dichiara inammissibile il ricorso del
Barbato e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di E
1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 12 dicembre 2012

Il Presidente

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