Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30767 del 18/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30767 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 18/06/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di CLEMENO Bruno, n. a Crotone il
28.11.1973, attualmente sottoposto alla misura cautelare della
custodia in carcere, rappresentato e assistito dall’avv. Antonio
Managò, avverso l’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria, n.
922/2013, in data 10.01.2014;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
udite le conclusioni del Sostituto procuratore generale dott. Mario
Fraticelli che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 05.082013, il Tribunale di Reggio Calabria
rigettava l’istanza di revoca/sostituzione della misura cautelare della

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custodia in carcere disposta nei confronti di Clemeno Bruno
evidenziando, in primo luogo, il mancato venir meno ovvero il
semplice affievolimento della esigenze cautelari di pericolosità sociale
già valutate nei confronti del sunnominato, tenuto conto della
particolare gravità dell’episodio delittuoso commesso; il Tribunale
evidenziava altresì che tre dei complici della “spedizione punitiva”
erano rimasti ignoti, ragione per la quale il Clemeno avrebbe potuto

riallacciare contatti con i predetti e pianificare ulteriori condotte
ritorsive ai danni delle persone offese e che, infine, il solo decorso
del tempo dall’esecuzione della misura, non poteva costituire
elemento di per sé idoneo a sollecitare un’attenuazione delle
esigenza di cautela esistenti a carico del predetto.
2.

Con ordinanza in data 10.01.2014, il Tribunale di Reggio Calabria, in
funzione di giudice dell’appello, adito dalla difesa del Clemeno,
rigettava il gravame e confermava l’ordinanza impugnata.

3.

Avverso detto provvedimento, la difesa del Clemeno proponeva
ricorso per cassazione deducendo la violazione dell’art. 606, comma
1 lett. e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 274, comma 1 lett. c)
e 275 cod. proc. pen., ritenendo la motivazione del provvedimento
impugnato del tutto infondata e congetturale ed avendo comunque
omesso di considerare come il Clemeno fosse persona incensurata ed
in custodia cautelare da un anno e sei mesi per reati (lesioni, tentata
estorsione, violazione legge armi) inidonei a giustificare la misura
custodiale più estrema.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4.

Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, inammissibile.

5.

È anzitutto necessario chiarire, sia pur in sintesi, i limiti di
sindacabilità da parte di questa Corte Suprema dei provvedimenti
adottati dal giudice della cautela sulla libertà personale.
Secondo l’orientamento di questa Corte Suprema, in tema di misure
cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per
cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal
giudice della cautela in ordine alla consistenza dei gravi indizi di
colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in
relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che

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ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente
conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del
quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza
della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti
rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie (cfr., Cass., Sez. 1, n.
4844 del 26/11/1992-dep. 11/01/1993, Granillo, rv. 192926,

secondo la quale è preclusa, nel giudizio rescindente, la possibilità di
controllo delle risultanze processuali per verificare l’esattezza e la
completezza della valutazione compiuta dal giudice di merito degli
elementi di prova disponibili ai fini della decisione sulla necessità di
adottare la misura cautelare e sulla scelta della medesima).
Si è inoltre osservato, sempre in tema di impugnazione delle misure
cautelari personali, che il ricorso per cassazione è ammissibile
soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge,
ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento
secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche
quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti
ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze
esaminate dal giudice di merito (Cass., Sez. 5, n. 46124
dell’08/10/2008, Pagliaro, rv. 241997; Cass., Sez. 6, n. 11194 dell’
08/03/2012, Lupo, rv. 252178).
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 cod. proc.
pen.) e delle esigenze cautelari (art. 274 cod. proc. pen.) è, quindi,
rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di
specifiche norme di legge o nella manifesta illogicità della
motivazione secondo la logica ed i principi di diritto, rimanendo
“all’interno” del provvedimento impugnato; il controllo di legittimità
non può, infatti, riguardare la ricostruzione dei fatti e sono
inammissibili le censure che, pur formalmente investendo la
motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa
valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito,
dovendosi in sede di legittimità accertare unicamente se gli elementi
di fatto siano corrispondenti alla previsione della norma
incriminatrice.
Il Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice dell’appello, ha
valorizzato, ad integrazione del necessario quadro di gravità

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indiziaria legittimante l’emissione della impugnata misura coercitiva,
una articolata serie di elementi, dai quali – con motivazione
esauriente, logica, non contraddittoria, come tale esente da vizi
rilevabili in questa sede, oltre che in difetto delle ipotizzate violazioni
di legge – è stata nel complesso desunta la sussistenza del
necessario quadro di gravità indiziaria in relazione a tutti i reati
ipotizzati, nella specie senz’altro configurabili nei loro elementi

che aveva condannato il Clemeno ad anni dodici di reclusione per i
reati di tentata estorsione, porto di arma comune da sparo,
danneggiamento, minacce e lesioni.
6.

Su queste premesse, osserva il Collegio come il provvedimento
impugnato dia conto del fatto che tutte gli elementi addotti dalla
difesa (tempo decorso in custodia cautelare, corretto comportamento
processuale, incensuratezza) non dimostravano né un affievolimento
né, tantomeno, il superamento delle esigenze cautelari già valutate,
avuto riguardo all’estrema gravità delle condotte ed alla personalità
del reo (soggetto certamente pericoloso tenuto conto del grado di
violenza e di aggressività palesati): situazioni di fatto tali da rendere
la misura cautelare massima, come l’unica idonea a fronteggiare il
pericolo di reiterazione.

7.

Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle
ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti
dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1.000,00. Si
provveda a norma dell’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa
delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1
ter disp. att. cod. proc. pen..

Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 18.6.2014

costitutivi essenziali, come acclarato dalla sentenza di primo grado

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