Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30754 del 10/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30754 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
1) AMATO Andrea, n.1’1.1.1963;
2) BILARDO Lorenzo, n. il 17.5.1961;
3) SELVAGGIO Mario, n. il 23.12.1947;
avverso la sentenza della Corte di Appello di Messina del 17.7.2013;
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Massimo Galli, che
ha concluso per: l’inammissibilità del ricorso dello Amato, l’annullamento
con rinvio relativamente al ricorso del Bilardo e l’annullamento con rinvio
relativamente al ricorso del Selvaggio limitatamente alle richieste
circostanze attenuanti generiche;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 10.7.2007, il G.I.P. del Tribunale di Messina, in
esito a giudizio abbreviato, dichiarò Amato Andrea, Bilardo Lorenzo e
Selvaggio Mario responsabili dei delitti di usura loro rispettivamente
ascritti e li condannò alle pene di giustizia.

Data Udienza: 10/06/2014

Avverso tale pronunzia gli imputati proposero gravame e la Corte di
Appello di Messina, con sentenza del 17.7.2013, confermò la decisione di
primo grado nei confronti dello Amato e del Selvaggio, mentre, nei
confronti del Bilardo, concesse le attenuanti generiche (ritenute
equivalenti alla contestata aggravante) e ridusse la pena, concedendo
allo stesso il beneficio della sospensione condizionale della stessa.

degli imputati.
Il difensore di Amato Andrea deduce la mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata con
riferimento alla ritenuta responsabilità dell’imputato; lamenta che la
Corte territoriale abbia fondato la responsabilità dell’Amato sul contenuto
di alcune conversazioni intercettate, che avrebbe malamente interpretato
e che sarebbero del tutto inconsistenti dal punto di vista della prova del
coinvolgimento dell’imputato nell’attività di usura di Ambrogio Domenica;
deduce che l’Amato non avrebbe mai avuto contatti con la pretesa
persona offesa e non avrebbe mai dato in prestito somme di denaro ad
alcuno, come sarebbe attestato dagli elementi di prova acquisiti.
Il difensore di Bilardo Lorenzo deduce:
1)

la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della

motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla ritenuta
responsabilità dell’imputato; deduce, in particolare, che l’affermazione di
responsabilità del Bilardo sarebbe fondata sulla sola dichiarazione della
persona offesa D’Arrigo Tommaso, imputato di reato connesso; si duole
dell’erronea interpretazione che – a suo dire – la Corte distrettuale
avrebbe dato alla conversazione intercettata il 26.1.2001 presso la Casa
circondariale di Messina; lamenta la violazione dell’art. 193 comma 3 cod.
proc. pen., per non avere la Corte territoriale valutato a dovere la
attendibilità del dichiarante e per avergli dato credito in assenza di
riscontri esterni;
2)

la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della

motivazione della sentenza impugnata per avere la Corte distrettuale
travisato gli elementi probatori acquisiti che avrebbero potuto conferire

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Ricorrono separatamente – a mezzo dei loro difensori – ciascuno

specificità all’espressione profferita dal D’Arrigo al proprio fratello nel
corso della richiamata conversazione.
Il difensore di Selvaggio Mario, infine, deduce:
1)

la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della

motivazione della sentenza impugnata con riferimento alla ritenuta
responsabilità dell’imputato; deduce, in particolare, che la Corte avrebbe

alcune conversazioni intercettate, dalle quali – a dire del ricorrente – non
emergerebbe affatto la prova della responsabilità dell’imputato in ordine
al reato ascrittogli; deduce che la decisione dei giudici di merito
violerebbe il “senso comune”, sarebbe contrastante con le decisive
risultanze probatorie acquisite, nonché col principio dell’oltre ragionevole
dubbio; lamenta ancora che non vi sarebbe prova del tasso usurario, né
del dolo dell’imputato; si duole infine che la Corte territoriale non avrebbe
dato risposta alle doglianze proposte con i motivi di appello.
2) la violazione di legge e il difetto di motivazione, per non avere la
Corte territoriale tenuto conto del motivo di appello col quale si chiedeva
la concessione delle attenuanti generiche, negandole senza spiegare i
motivi del diniego.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Tutte le censure sono inammissibili.
I ricorrenti, infatti, criticano – sotto mentite spoglie – la valutazione
delle prove da parte dei giudici di merito e le conclusioni cui essi sono
pervenuti in ordine alla loro responsabilità penale, senza considerare che
la valutazione delle prove è riservata in via esclusiva all’apprezzamento
discrezionale del giudice di merito e non è sindacabile in cassazione; a
meno che ricorra una mancanza o una manifesta illogicità della
motivazione, ciò che – nel caso di specie – deve però escludersi.
Le Sezioni Unite di questa Corte, sul punto, hanno avuto occasione
più volte di precisare che «L’indagine di legittimità sul discorso
giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il
sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per
espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico
apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza

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fondato la responsabilità dell’imputato sulla erronea interpretazione di

possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice
di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro
rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicità della motivazione,
come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da
risultare percepibile “ictu ocull”, dovendo il sindacato di legittimità al
riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando

difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente
incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo
logico e adeguato le ragioni del convincimento» (Cass., sez. un., n. 24
del 24.11.1999 Rv 214794; Sez. un., n. 47289 del 24/09/2003 Rv.
226074).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno chiarito, con dovizia di
argomenti, le ragioni della loro decisione.
Quanto all’Amato, i giudici di appello hanno richiamato il contenuto
delle numerose conversazioni intercettate che smentiscono l’assunto
dell’imputato circa la sua estraneità ai fatti e hanno sottolineato come in
alcune conversazioni fosse lo stesso Amato (uno degli interlocutori) a
prendere l’interesse usurario del 5 % al mese. La motivazione della Corte
sul punto risulta immune da contraddittorietà o manifesta infondatezza e,
perciò, non censurabile in sede di legittimità.
Quanto al Bilardo, la Corte distrettuale ha ritenuto – con
ragionamento immune da vizi logici e conforme al dettato di cui all’art.
192 comma 3 cod. proc. pen. – le dichiarazioni di D’Arrigo Tommaso
riscontrate dalle conversazioni intercettate. Non sussiste il preteso
travisamento del significato delle espressioni usate dal D’Arrigo in seno ai
colloquio col proprio fratello; piuttosto, il ricorrente propone una
interpretazione alternativa della conversazione, che invade il merito del
giudizio e non è proponibile in cassazione.
Quanto al Selvaggio, infine, parimenti immune da vizi logici è la
motivazione della sentenza impugnata, che accerta la responsabilità
dell’imputato sulla base del contenuto di numerose conversazioni
intercettate e sulla base della documentazione sequestrata nell’abitazione
dello stesso.

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ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni

Non si ritiene, peraltro – per ovvi motivi – di riportare qui
integralmente tutte le suddette argomentazioni svolte dalla Corte
territoriale, sembrando sufficiente al Collegio far rilevare che le stesse
non sono manifestamente illogiche; e che, anzi, l’estensore della
sentenza ha esposto in modo ordinato e coerente le ragioni che
giustificano la decisione adottata, la quale perciò resiste alle censure del

Piuttosto, sono le censure mosse col ricorso che non prendono
compiutamente in esame le argomentazioni svolte dai giudici di merito
nel provvedimento impugnato, risultando così generiche e, anche sotto
tale profilo, inammissibili, limitandosi a proporre a questa Corte una
ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella dei giudici di merito.
E tuttavia, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della

Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la
ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di
procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a
quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Cass, sez. 1, n. 7113 del
06/06/1997 Rv. 208241; Sez. 2, n. 3438 del 11/6/1998 Rv 210938),
dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro
abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento
probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento
impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile;
ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.
Da ultimo, va rilevato che risultano inammissibili anche le censure del
Selvaggio relative alla pretesa mancata risposta della Corte territoriale
circa le doglianze da lui proposte con i motivi di appello e al diniego della
chiesta concessione delle circostanze attenuanti generiche. Infatti, la
prima di tali censure (a p. 5 del ricorso) è inammissibile per genericità (in
quanto il ricorrente non si cura di precisate quali doglianze sarebbero
rimaste senza risposta); la seconda (p. 6) è inammissibile per manifesta
infondatezza, in quanto sul diniego delle attenuanti generiche ha
ampiamente e congruamente motivato il giudice di primo grado (p. 26
della sentenza) e tale motivazione deve intendersi richiamata

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ricorrente sul punto.

implicitamente dal giudice di appello, in conformità al principio, dettato
da questa Corte, secondo cui – nel caso di “doppia conforme” – «le
motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si
integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al
quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità
della motivazione» (Cass., Sez. 3, n. 4700 del 14.2.1994 Rv 197497;

In definitiva, tutti i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve
essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno della somma di euro mille alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione
Penale, addì 10 giugno 2014.

Sez. 2, n. 11220 del 13.11.1997 Rv 209145).

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