Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30750 del 10/04/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30750 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

subricorsi. propost4 da:
PUCA PATRIZIA N. IL 10/05/1988
CORREGGIA MATTEO N. IL 13/11/1989
PISANIELLO ROCCO N. IL 22/01/1988
FRATE FRANCESCANTONIO N. IL 14/12/1958
avverso la sentenza n. 542/2013 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
26/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. KtrZA: 9—
che ha concluso per ,Q1
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Udito, per la parte civile,
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Data Udienza: 10/04/2014

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Napoli ha
confermato la sentenza emessa in data 3 luglio 2012 dal GUP del Tribunale di
S. Maria Capua Vetere, che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato
gli odierni ricorrenti colpevoli di concorso in rapina aggravata (in essa
assorbito il sequestro di persona in origine contestato al capo C) e lesioni
personali aggravate, in continuazione, condannando ciascuno alla pena
ritenuta di giustizia, oltre alle statuizioni accessorie, anche in favore della

Contro tale provvedimento, gli imputati (FRATE con l’ausilio di due
difensori iscritti nell’apposito albo speciale, gli altri personalmente) hanno
proposto distinti ricorsi per cassazione, deducendo i seguenti motivi, enunciati
nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art.
173, comma 1, disp. att. c.p.p.:
ricorsi PUCA, CORREGGIA, PISANIELLO (distinti, ma contenenti
analoghe dogiianze):

I – violazione di plurime norme sostanziali e processuali, nonché mancanza
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
I ricorrenti lamentano promiscuamente:
– il mancato contenimento della pena edittale nei minimi;
– il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e del risarcimento
del danno;
– la mancata rimodulazione degli aumenti per la continuazione;
– la conferma delle statuizioni civili, essendo infondate e carenti di
motivazione la condanna degli imputati al risarcimento dei danni, le ulteriori
statuizioni civili ed il diniego di revoca della provvisoria esecuzione;
ricorsi FRATE (avv. APREA):

I – «si fanno propri i motivi degli altri imputati ricorrenti ove
estensibili»;

parte civile.

Il – mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione
(lamenta che l’imputato sarebbe responsabile unicamente di concorso c.d.
“anomalo” ex art. 116 c.p., essendosi limitato ad indicare ai complici
l’abitazione dove voleva che si compisse un furto);
III – mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione
(lamentando la mancata irrogazione del minimo della pena, previa
concessione delle attenuanti generiche);

I – errata applicazione della legge penale e vizio di motivazione in
relazione all’art. 116 c.p., essendo l’imputato al più responsabile di concorso
c.d. “anomalo”;
II – errata applicazione della legge penale e vizio di motivazione in
relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche e del
risarcimento del danno, e del minimo della pena (ex artt. 133 ed 81 c.p.).
All’odierna udienza pubblica, è stata verificata la regolarità degli avvisi di
rito; all’esito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, e questa
Corte Suprema, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo
in atti, pubblicato mediante lettura in pubblica udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono integralmente inammissibili per genericità e manifesta
infondatezza.

1. Le doglianze dei ricorrenti sono in ampia parte comuni, e possono,
pertanto, essere esaminate congiuntamente.
Esse sono tutte generiche o comunque manifestamente infondate.

1.1. La giurisprudenza di questa Corte Suprema è, condivisibilmente,
orientata nel senso dell’inammissibilità, per difetto di specificità, del ricorso
presentato prospettando vizi di motivazione del provvedimento impugnato, i
cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa (Sez. VI, sentenza
n. 32227 del 16 luglio 2010, CED Cass. n. 248037: nella fattispecie il
ricorrente aveva lamentato la “mancanza e/o insufficienza e/o illogicità della
motivazione” in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle
esigenze cautelari posti a fondamento di un’ordinanza applicativa di misura

2

(avv. IRACE):

cautelare personale; Sez. VI, sentenza n. 800 del 6 dicembre 2011 – 12
gennaio 2012, Bidognetti ed altri, CED Cass. n. 251528).
Invero, l’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. stabilisce che i provvedimenti
sono ricorribili per «mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della

motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato
ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di
gravame».
La disposizione, se letta in combinazione con l’art. 581, comma 1, lett. c),

«enunciare i motivi del

ricorso, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di
fatto che sorreggono ogni richiesta»)

evidenzia che non può ritenersi

consentita l’enunciazione perplessa ed alternativa dei motivi di ricorso,
essendo onere del ricorrente di specificare con precisione se la deduzione di
vizio di motivazione sia riferita alla mancanza, alla contraddittorietà od alla
manifesta illogicità ovvero a una pluralità di tali vizi, che vanno indicati
specificamente in relazione alle varie parti della motivazione censurata.
Il principio è stato più recentemente accolto anche da questa sezione, a
parere della quale «È inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso nel

quale siano prospettati vizi di motivazione del provvedimento impugnato, i cui
motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa, essendo onere del
ricorrente specificare con precisione se le censure siano riferite alla mancanza,
alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a più di uno tra tali
vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle parti della motivazione
oggetto di gravame» (Sez. II, sentenza n. 31811 dell’8 maggio 2012, CED
Cass. n. 254329).
1.1.1. Per tali ragioni, le reiterate censure alternative ed indifferenziate di
mancanza, contraddittorietà ovvero manifesta illogicità della motivazione
(oltre ad essere esse stesse contraddittorie, poiché se la motivazione su un
punto della sentenza è totalmente mancante non può al tempo stesso essere
contraddittoria o manifestamente illogica, e viceversa) risultano prive della
necessaria specificità, il che rende i ricorsi PUCA, CORREGGIA e PISANIELLO
inammissibili.

1.2.

Ugualmente inammissibile appare, all’evidenza, il primo motivo

dell’avv. APREA.

I motivi di ricorso per cassazione non possono, infatti, limitarsi al semplice
richiamo “per relationem” ai motivi di ricorso presentati per conto di imputati

3

c.p.p. (a norma del quale è onere del ricorrente

diversi, poiché requisito indefettibile dei motivi di impugnazione è la loro
specificità, consistente nella precisa e determinata indicazione dei punti di fatto
e delle questioni di diritto da sottoporre al giudice del gravame: la mancanza di
tali requisiti rende l’atto di impugnazione inidoneo ad introdurre il nuovo grado
di giudizio ed a produrre effetti diversi dalla dichiarazione di inammissibilità.
È, pertanto, inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino a
richiamare le doglianze formulate in ricorsi altrui, senza indicare, neanche
sommariamente, il contenuto delle singole censure, al fine di consentire

sindacato di legittimità, dovendo l’atto di ricorso essere autosufficiente, e cioè
contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di
fatto da sottoporre a verifica.

1.3. Le ulteriori doglianze di seguito esaminate ripropongono in concreto
più o meno pedissequamente doglianze analoghe a quelle già proposte come
motivo di appello, e già non accolte dalla Corte di appello, con rilievi
esaurienti, logici, non contraddittori, e pertanto incensurabili in questa sede,
con i quali i ricorrenti non si confrontano con la necessaria specificità, ed ai
quali non oppongono alcunché di decisivo, se non generiche ed improponibili
doglianze fondate su una personale e congetturale rivisitazione dei fatti di
causa, e senza documentare eventuali travisamenti nei modi di rito.

1.3.1. Per quanto riguarda l’insistita doglianza dei difensori dell’imputato
FRATE di qualificare la condotta accertata ai sensi dell’art. 116 c.p., appare
sufficiente ricordare che il FRATE risulta aver consegnato ai complici l’arma
giocattolo da impiegare (f. 7) ed aver consigliato loro (cfr. concordi
dichiarazioni di PISANIELLO e CORREGGIA) <

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