Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3075 del 12/12/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3075 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

Data Udienza: 12/12/2012

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) DI ROCCO SABINA N. IL 27/04/1970
2) MORELLI COSTANTINO N. IL 01/02/1974
avverso la sentenza n. 2621/2010 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 20/05/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/12/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Cyt-OACC/144
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Udito, per la parte civile, l’Avv
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22142/2012

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 20 maggio 2011 la Corte d’appello dell’Aquila, pronunciandosi
sull’appello di Di Rocco Sabina e Morelli Costantino avverso sentenza del gip del Tribunale di
Pescara del 4 marzo 2010 – che li aveva ritenuti responsabili del reato di cui agli articoli 110
c.p. e 73 d.p.r. 309/1990 e condannati, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla
contestata recidiva e tenuto conto della diminuente prevista per il rito, alla pena di anni
quattro e mesi otto di reclusione e €20.000 di multa ciascuno -, confermava la sentenza di

La corte ha rilevato che la difesa sostiene che l’unica condotta ascrivibile alla imputata
sarebbe aver lanciato un involucro dal finestrino dell’auto, non sussistendo prova che fosse
consapevole che il marito stesse trasportando stupefacente, tanto che il gip l’ha rimessa in
libertà perché le sue dichiarazioni, insieme con l’esito delle indagini e la confessione del Morelli,
suo marito, avevano chiarito la sua estraneità al reato di detenzione a fini di spaccio. In realtà,
osserva la corte, è corretta la valutazione del primo giudice: quando fu sorpresa dai carabinieri
a bordo dell’auto condotta dal marito, l’imputata nascondeva l’involucro contenente g.298 di
eroina nel proprio reggiseno e tentò, sotto gli occhi dei militi, di gettarlo dal finestrino; inoltre,
nella perquisizione nell’abitazione dei coniugi, sul comò della camera da letto furono rinvenuti
un involucro contenente circa g.18 di eroina e un bilancino di precisione. L’assenza di
consapevolezza dell’attività di spacciatore di droga del marito in capo alla imputata è dunque
insostenibile; a ciò si aggiunga che entrambi gli imputati risultavano sottoposti a
intercettazione telefonica per reati di traffico di stupefacenti diversi da quelli de quibus ed
erano stati raggiunti anche da provvedimenti cautelari.
La corte ha negato l’ipotesi attenuata di cui all’articolo 73, quinto comma, d.p.r. 309/1990
non potendosi qualificare la loro condotta di offensività minima poiché dalla sostanza in
sequestro è ricavabile un numero di dosi (circa 2206) idoneo a raggiungere un notevole
numero di tossicodipendenti; ha altresì ritenuto che, per la contestata recidiva specifica e
reiterata, non siano concedibili neanche le attenuanti generiche, per cui va condivisa la
dosimetria della pena del giudice di primo grado.
Contro la sentenza presentano ricorso, a mezzo del difensore, gli imputati, fondandolo su
due motivi.
Il primo motivo denuncia violazione dell’articolo 378 c.p. e mancanza e contraddittorietà di
motivazione, non essendosi considerata la doglianza difensiva di derubricazione del reato della
imputata. Non vi è motivazione sul fatto che l’imputata avrebbe dovuto al massimo rispondere
di favoreggiamento personale, anche volendo ritenere la consapevolezza del contenuto
dell’involucro (stupefacente) da lei gettato dal finestrino dell’auto guidata dal marito,
l’imputato Morelli.

primo grado.

Il secondo motivo prospetta violazione di legge quanto al trattamento sanzionatorio (articoli
133 e 62 bis c.p.; articolo 73, comma 5, d.p.r. 309/1990) e vizio motivazionale. La sentenza
esclude l’ipotesi lieve dell’articolo 73, comma 5, d.p.r. 309/1990 senza considerare che il
principio attivo della sostanza era di scarso valore. Inoltre la corte sostiene la colpevolezza di
entrambi i soggetti per la detenzione a fine di spaccio indicando intercettazioni telefoniche
relative ad altro episodio estraneo al capo di imputazione: ciò prova la manifesta illogicità della
motivazione, essendo stato letto male il contenuto delle intercettazioni che sono confluite nel

alcunché al costrutto accusatorio. Per di più la corte giunge a negare le attenuanti generiche
già concesse dal primo giudice, dimostrando anche così la piena illogicità della motivazione e di
non avere neanche letto la sentenza di primo grado. Non ha poi motivato adeguatamente sulla
mancata concessione dell’attenuante del fatto lieve, operando una sorta di automatismo
secondo cui il quantitativo di stupefacente e il principio attivo risultato la escluderebbero, e
formulando una motivazione apparente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso non può essere accolto perché è manifestamente infondato.
Il primo motivo, che denuncia violazione dell’articolo 378 c.p. e correlato vizio motivazionale,
si infrange nella specifica motivazione, già più sopra sunteggiata, che la corte territoriale ha
svolto in ordine alla responsabilità della imputata come qualificabile secondo la contestazione:
la corte, infatti, ha evidenziato gli elementi che escludono l’estraneità dell’imputata all’attività
di spaccio del coniuge (in sintesi, oltre alla condotta della Di Rocco sulla vettura, l’esito della
perquisizione nella casa coniugale), giungendo a confermare la valutazione del primo giudice in
modo congruo e privo di soluzioni di continuità logica. Il motivo è pertanto manifestamente
infondato.
Il secondo motivo riguarda la determinazione del trattamento sanzionatorio, come violazione
di legge e vizio motivazionale. Anche quanto alla mancata applicazione dell’articolo 73, comma
5, d.p.r. 309/1990, invero, nella sentenza impugnata sussiste un’adeguata e specifica
motivazione, esente da erronea valutazione di diritto, in ordine al grado di offensività non
compatibile con detta norma che la corte, come il primo giudice, ha riscontrato nella condotta
criminosa in esame (con particolare riguardo al tutt’altro che minimo numero di dosi ricavabile
dalla sostanza sequestrata). Il riferimento alle attenuanti generiche, già concesse dal giudice di
primo grado, come non concedibili è frutto di un errore materiale evidente, considerato che il
giudice di secondo grado, nella parte finale della motivazione, perviene a una completa
adesione alla dosimetria del giudice di primo, rispetto alle cui valutazioni giuridiche come
conseguenti alla ricostruzione dei fatti aveva già in precedenza (pagina 3, parte finale, della
motivazione) manifestato piena condivisione. In conclusione, tale errore materiale n

fascicolo per quel processo solo per ingigantire l’assunto probatorio ma senza apportare

pertanto condurre a una consistenza del motivo in esame, che risulta manifestamente
infondato.
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ,
con conseguente condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese
del presente grado di giudizio.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000,

“versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che ogni
ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
della somma di C 1000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 12 dicembre 2012

Il

sigliere esten

Il Presidente

n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza

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