Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30748 del 10/04/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30748 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TOSCANO ANTONIO N. IL 30/04/1982
avverso la sentenza n. 1602/2012 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 06/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. )(41 -t.Z0z.
s
che ha concluso per

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Data Udienza: 10/04/2014

RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Reggio Calabria
ha confermato la sentenza emessa in data 24 luglio 2012 dal GUP del
Tribunale della stessa città che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva
dichiarato l’odierno ricorrente colpevole di tentata rapina impropria aggravata
e violenza in danno di un agente di PG (fatti commessi in Reggio Calabria il 14
marzo 2012), con la recidiva specifica infraquinquennale, condannandolo alla

Contro tale provvedimento, l’imputato (con l’ausilio di un difensore iscritto
nell’apposito albo speciale) ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i
seguenti motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione,
come disposto un’art. 1/3, comma 1, disp. att. c.p.p.:
I – mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione,
nonché violazione di legge, lamentando l’insussistenza della tentata rapina,
asseritamente da riqualificare come tentato furto aggravato, poiché la
reazione opposta alla PG non mirava a procurarsi l’impunità;

Il – erronea applicazione della legge penale per mancato riconoscimento
dell’assorbimento del reato di cui al capo in quello di cui al capo A);
III – erronea applicazione della legge penale per mancata esclusione della
recidiva e per la diminuzione solo nel minimo della pena prevista per l’ipotesi
tentata.
All’odierna udienza pubblica, è stata verificata la regolarità degli avvisi di
rito; all’esito, la parte presente ha concluso come da epigrafe, e questa Corte
Suprema, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti,
pubblicato mediante lettura in pubblica udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato.

1. Il primo motivo è generico o comunque manifestamente infondato.
Invero, la Corte di appello, con rilievi esaurienti, logici, non contraddittori,
e pertanto incensurabili in questa sede, con i quali il ricorrente non si
confronta con la necessaria specificità (limitandosi inammissibilmente a
riproporre, più o meno pedissequamente, doglianze già ritenute infondate
dalla corte di appello), ha compiutamente ricostruito le vicende de quibus ed

pena ritenuta di giustizia.

indicato gli elementi posti a fondamento dell’affermazione di responsabilità e
della qualificazione giuridica dei fatti, valorizzando, in particolare (in accordo
con la sentenza di primo grado, come è fisiologico in presenza di una doppia
conforme affermazione di responsabilità), il fatto che l’imputato «alla vista

dell’assistente capo di P.S. GIOVANNI ORANGIS, lo spintonò nel tentativo di
una disperata fuga, vanificata dall’intervento del medesimo operatore e dei
colleghi>>,

ed evidenziando, inoltre, che nessun concreto elemento

confermava la diversa, interessata ed inverosimile versione dei fatti proposta

A tali rilievi, nel complesso, il ricorrente non ha opposto alcunché di
decisivo, se non generiche ed improponibili doglianze, fondate su una
personale e congetturale rivisitazione dei fatti di causa.

2. Il secondo motivo è infondato.

2.1. Questa Corte Suprema (Sez. VI, sentenza n. 9476 dell’Il dicembre
2009, dep. 10 marzo 2010, CED Cass. n. 246403), ha già chiarito che il delitto
di resistenza

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pubblico ufficiale non è assorbito in quello di rapina, ma

concorre con esso, stante la diversa oggettività giuridica delle due ipotesi
criminose.

2.2. A tale orientamento si è correttamente conformata la Corte di
appello.

3.

Il terzo motivo è generico o comunque manifestamente infondato,

avendo la Corte di appello, con rilievi esaurienti, logici, non contraddittori,
ancora una volta incensurabili in questa sede, con i quali il ricorrente non si
confronta con la necessaria specificità (limitandosi inammissibilmente di nuovo
a riproporre, più o meno pedissequamente, doglianze già ritenute infondate
dalla corte di appello), motivato la ritenuta congruità del complessivo
trattamento sanzionatorio osservando (f. 4 s.) che

«da un canto …

l’applicazione dell’aumento per la recidiva si giustifica in ragione del curriculum
criminale del TOSCANO, gravato da pregiudizi definitivi per rapina, evasione e
furto, espressivi di perniciosa proclività al delitto; dall’altro, il valore dei beni e
del denaro trafugato, stimato nel complesso in circa 400 euro, esclude che
possa discorrersi di speciale tenuità del fatto e che l’esito del giudizio di
bilanciamento possa spingersi al di là dell’equivalenza (…). Per le medesime
ragioni, esente da rilievi è l’esercizio, da parte del primo giudice, del potere

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dall’imputato (f. 2 s.).

discrezionale di commisurazione della pena, esercitata in perfetta conformità ai
canoni indicati dagli artt. 133 e 133-bis c.p.».
In tal modo, la Corte di appello si è correttamente conformata
all’orientamento di questa Corte Suprema, a parere della quale è da ritenere
adempiuto l’obbligo della motivazione in ordine alla misura della pena allorché
sia indicato l’elemento, tra quelli di cui all’art. 133 c.p., ritenuto prevalente e di
dominante rilievo (Sez. un., sentenza n. 5519 del 21 aprile 1979, CED Cass. n.
142252). Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità

caso in cui la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella
edittale, potendo altrimenti risultare sufficienti a dare conto del corretto
impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. espressioni del tipo «pena
congrua», «pena equa» o «congruo aumento», come pure il richiamo
alla gravità del reato oppure alla capacità a delinquere (Sez. II, sentenza n.
36245 del 26 giugno 2009, CED Cass. n. 245596).
4. Il rigetto, nel suo complesso, del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616
c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, udienza pubblica 10 aprile 2014

Il Consig ere estensore

Il Presidente

di pena irrogata, in tutte le sue componenti, appare necessaria soltanto nel

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