Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3071 del 12/12/2012
Penale Sent. Sez. 3 Num. 3071 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: GRAZIOSI CHIARA
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) TAFURI PASQUALE N. IL 01/02/1945
2) DI LERNIA CARMELINA N. IL 22/03/1946
avverso la sentenza n. 1240/2009 CORTE APPELLO di
CATANZARO, del 09/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/12/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. a Ok CU .<
che ha concluso perlbAuLtkeeetu.A.0
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(ei (wa, 1(94tD Udito, per la parte civile, l'Avv
Uditi difensor Avv. i t'399 5‘,\Q., aat, iiv_A_Stoe\&ou x iL Data Udienza: 12/12/2012 20673/2012 RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 9 febbraio 2012 la Corte d'appello di Catanzaro, pronunciandosi
sull'appello di Di Lernia Carmelina e Tafuri Pasquale avverso sentenza del Tribunale di
Castrovillari del 16 febbraio 2009 - che li aveva ritenuti responsabili dei delitti loro ascritti (ex
articolo 2 d.lgs. 74/2000, per avere, rispettivamente nelle dichiarazioni dei redditi Modello
Unico 2004 e 2005 e nelle dichiarazioni dei redditi Modello Unico 2006 e 2007, in qualità di
legale rappresentante di Le Colonne S.r.l., per evadere l'imposta sui redditi e l'Iva indicato alla importo complessivo di euro 116.496,09 e 112.060,98, avvalendosi delle buste paga dei
dipendenti riportanti importi superiori a quelli effettivamente loro corrisposti) e, concesse le
attenuanti generiche, li aveva condannati ciascuno alla pena di anni uno di reclusione -, in
riforma della sentenza di primo grado, applicando l'articolo 2, comma terzo, d.lgs. 74/2000,
rideterminava la pena inflitta in mesi otto di reclusione ciascuno, oltre a pene accessorie di
interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per sei mesi, di
incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione e di rivestire funzione di
rappresentanza e assistenza in materia tributaria per un anno, di interdizione perpetua
dall'ufficio di componente di commissione tributaria e di pubblicazione della sentenza.
La sentenza aveva rilevato che il procedimento penale era derivato da una attività ispettiva
della Guardia di Finanza, che aveva raccolto informazioni sull'adempimento fiscale dell'impresa
anche attraverso questionari rivolti ai dipendenti; le dichiarazioni rese dai dipendenti e i
questionari da questi compilati erano stati correttamente utilizzati dal giudice di primo grado,
essendo stati raccolti dalla Guardia di Finanza in sede amministrativa prima che emergessero
indizi di reità in ordine al reato contestato (articolo 220 disp. att. c.p.p.). Inoltre nell'ipotesi
non potrebbe prospettarsi la inutilizzabilità delle prove, bensì la nullità, la cui disciplina sarebbe
quella prevista dall'articolo 178, lettera c), c.p.p., e nel giudizio di primo grado la difesa non ha
sollevato alcuna eccezione al momento dell'acquisizione della documentazione in udienza.
Osservava altresì la corte che gli imputati non avevano contestato la differenza tra quanto
riportato nelle dichiarazioni dei redditi e quanto effettivamente corrisposto ai dipendenti, ma
evidenziato come le retribuzioni, anche se non erogate, dovevano essere riportate nel conto
economico dell'esercizio di competenza, affinché la società potesse dedurle ai fini della
determinazione del reddito. Ciò però non considera la differenza tra il reddito d'impresa e il
reddito fiscale: nella specie, essendo l'ammontare delle retribuzioni inferiore rispetto a quanto
riportato nelle buste paga e quindi nel bilancio, si sarebbe dovuta effettuare una variazione in
aumento, in applicazione dei criteri di valutazione della normativa tributaria, del risultato del
conto economico, per dare atto di costi fiscalmente deducibili di ammontare inferiore rispetto
all'ammontare civilistico. voce "costi-stipendi personale dipendente" elementi passivi fittizi rispettivamente per un La corte riteneva poi, dopo avere modificato il trattamento sanzionatorio, di applicare
d'ufficio le pene accessorie come da dispositivo ex articolo 12 d.lgs. 74/2000, poiché il divieto
della reformatio in peius non contempla le pene accessorie, che, ex articolo 20 c.p.,
conseguono di diritto alla condanna come suoi effetti penali.
2. Contro la sentenza hanno presentato ricorso, a mezzo del difensore, gli imputati,
fondandolo su tre motivi. Premesso che vi è violazione delle norme sull'acquisizione delle prove in giudizio nella parte
della motivazione in cui si ritiene che i questionari possono essere sufficienti per provare la
condotta criminosa, si osserva che la corte reputa che tali atti siano stati validamente acquisiti
e quindi pienamente utilizzabili. Ma non può esservi coincidenza tra acquisizione di atti al
fascicolo del dibattimento e dichiarazione di utilizzabilità degli stessi per la decisione: trattasi di
ricognizioni amministrative che, nel processo penale, sebbene raccolte ex articolo 220 disp.
att. c.p.p., devono essere confermate in dibattimento da testimonianze. Dunque vi è stata
violazione di legge consistente in una illegittima acquisizione di dati probatori che si sono
inseriti nella struttura argomentativa della motivazione procurando anche un vizio
motivazionale.
Il secondo motivo richiama quanto esposto nei motivi d'appello sulla effettiva correttezza
delle scritture contabili, osservando che la corte sposta il problema nella differenza tra reddito
fiscale e reddito di impresa. Ma la società presentava una situazione contabile da cui era
possibile evincere che, a fronte di un certo ammontare di retribuzioni, vi era un debito che
coincideva con quanto non effettivamente versato ai dipendenti: i giudici di merito sono incorsi
in un travisamento della prova laddove hanno considerato esposizione di falsi elementi negativi
di reddito costi che erano comunque indicati nel conto economico della S.r.l.
Il terzo motivo denuncia la violazione del divieto di reformatio in peius ex articolo 597,
comma terzo, c.p.p. Infatti la Corte d'appello, in assenza di gravame del pubblico ministero, ha Il primo motivo è violazione di legge ex articolo 606, lettera c, c.p.p. e vizio motivazionale. applicato le pene accessorie, così violando la ratio che l'imputato miri ad ottenere un esito del
processo migliore emettendo invece una sentenza peggiore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è parzialmente fondato.
Il primo motivo deduce violazione delle norme sull'acquisizione delle prove e correlato vizio
motivazionale, negando la coincidenza tra l'acquisizione di atti al fascicolo del dibattimento e la
loro utilizzabilità per la decisione, occorrendo la conferma in dibattimento da parte di testimoni
delle ricognizioni amministrative raccolte ex articolo 220 disp. att. c.p.p. L'asserto è
palesemente infondato, giacché l'inserimento di un atto nel fascicolo di dibattimento, anche .g7 , !T' t r •n t,. qualora sia erroneo, lo rende utilizzabile ai fini della decisione in difetto di tempestiva
opposizione delle parti, tranne nell'ipotesi - qui non ricorrente, visto l'articolo 220 disp. att.
c.p.p. - in cui sia stato acquisito secondo un procedimento contra legem (Cass. sez. III, 5
aprile 2011 n. 24410; Cass. sez. IV, 8 luglio 2008 n. 33387). E correttamente la sentenza
impugnata ha motivato in tal senso, evidenziando che l'inutilizzabilità delle prove attiene,
appunto, alle prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge. Il motivo è pertanto
infondato. correttezza delle scritture contabili, sostenendo che dalla situazione contabile della società era
possibile evincere il debito relativo alle retribuzioni non versate ai dipendenti e che la corte
avrebbe travisato, considerando esposizione di falsi elementi negativi di reddito costi indicati
nel conto economico della società. E evidente che la corte non è incorsa in un travisamento
fattuale, bensì ha ritenuto che vi sia differenza tra il reddito d'impresa, come risultante dal
bilancio d'esercizio, e il reddito fiscale, giacché al conto economico che è il risultato di esercizio
si devono aggiungere o detrarre le variazioni derivanti dalla normativa tributaria. La corte in tal
modo ha operato una valutazione di puro diritto. Anche questo motivo va perciò disatteso.
Il terzo motivo concerne la reformatio in peius per avere la corte, in violazione dell'articolo
597, comma terzo, c.p.p., in assenza di appello del pubblico ministero applicato le pene
accessorie. In effetti, le pene accessorie sono applicabili in appello, qualora non le abbia
applicate il giudice di primo grado, quali effetti penali ex articolo 20 c.p. (da ultimo, Cass. sez.
VI, 14 giugno 2011 n. 31358), vale a dire - visto il principio della reformatio in peius, appunto
- se l'applicazione discende direttamente dalla norma come conseguenza necessaria della
condanna (Cass. sez. III, 22 gennaio 2008 n. 8381). Nel caso di specie, dunque, legittima è da
ritenersi l'applicazione solo delle pene accessorie di interdizione dalla partecipazione come
componente alla Commissione Tributaria e di pubblicazione della sentenza, per le ulteriori pene
accessorie dovendosi disporre l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per
violazione dell'articolo 597, comma terzo, c.p.p.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle pene accessorie diverse dal
divieto di partecipazione come componente della Commissione Tributaria ed alla pubblicazione
della sentenza. Così deciso in Roma il 12 dicembre 2012 Il Cons re estensore Il Presidente Il secondo motivo ripropone, come si è visto, quanto addotto in appello sulla effettiva