Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30667 del 17/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 30667 Anno 2015
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: TARDIO ANGELA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BUSNELLI MASSIMILIANO N. IL 01/05/1968
avverso la sentenza n. 7136/2014 TRIBUNALE di MILANO, del
10/07/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO;

Data Udienza: 17/04/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza resa, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., il 10 luglio 2014,
il Tribunale di Milano ha applicato a Busnelli Massimiliano -in relazione ai reati
ascrittigli- la pena concordata fra le parti di anni due e mesi dieci di reclusione ed
euro diciottomila di multa, concesse le attenuanti generiche prevalenti sulle

riduzione per il rito.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del
suo difensore, l’imputato, che ne ha chiesto l’annullamento sulla base di unico
motivo, con il quale ha denunciato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e),
cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione delle norme processuali e
mancanza di motivazione.
3. In esito al preliminare esame presidenziale, il ricorso è stato rimesso a
questa Sezione per la decisione in camera di consiglio ai sensi degli artt. 591,
comma 1, e 606, comma 3, cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. Con riguardo alla prima ragione di doglianza, riferita alla contestata
compatibilità del collegio giudicante, che si era già pronunciato nei confronti di
alcuni coimputati, si rileva che questa Corte ha costantemente affermato che
l’esistenza di cause di incompatibilità del giudice, determinate da atti compiuti
nel procedimento, ai sensi dell’art. 34 cod. proc. pen., non determina la nullità
del provvedimento di cui agli artt. 178 e 179 cod. proc. pen., ma, per acquisire
rilievo e produrre conseguenze, deve essere fatta valere come motivo di
ricusazione con la procedura di cui agli artt. 37 e segg. cod. proc. pen. (Sez. U,
n. 5 del 17/04/1996, dep. 08/05/1996, D’Avino, Rv. 204464; Sez. U, n. 23 del
24/11/1999, dep. 01/02/2000, Scrudato e altri, Rv. 215097, e, tra le successive,
Sez. 5, n. 13593 del 12/03/2010, dep. 12/04/2010, Bonaventura, Rv. 246716;
Sez. 6, n. 25013 del 04/06/2013, dep. 06/06/2013, Shkurko, Rv. 257033; Sez.
1, n. 24919 del 23/04/2014, dep. 12/06/2014, Attanasio, Rv. 262302), anche
nel caso in cui la situazione che determina incompatibilità non sia tra quelle
specificamente previste (Sez. 5, n. 9047 del 15/06/1999, dep. 15/07/1999,
Larini S. e altri, Rv. 214292).
Nel caso in esame, mentre non risulta che la questione attinente all’asserita
incompatibilità del collegio sia stata prospettata nelle forme della dichiarazione di

aggravanti contestate, unificati i reati nel vincolo della continuazione e operata la

ricusazione, deve ritenersi che il ricorrente abbia comunque rinunziato a proporla
avendo prestato il suo consenso all’applicazione concordata della pena, che,
secondo principi consolidati, presuppone la rinuncia a far valere eccezioni e
difese di natura sostanziale e processuale, salvo che si tratti di eccezioni attinenti
alla richiesta di patteggiamento e al consenso prestato (tra le altre, Sez. 4, n.
16832 del 11/04/2008, dep. 23/04/2008, Karafi, Rv. 239543; Sez. 5, n. 21287
del 25/03/2010, dep. 04/06/2010, Legari, Rv. 247539).
3. Con riguardo alla seconda ragione di doglianza si deve riaffermare il

un meccanismo processuale in virtù del quale l’imputato e il pubblico ministero si
accordano sulla qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla
concorrenza delle circostanze, sulla comparazione fra le stesse e sulla entità
della pena. Da parte sua il giudice ha il potere-dovere di controllare l’esattezza
dei detti aspetti giuridici e la congruità della pena richiesta e di applicarla, dopo
aver accertato che non emerga in modo evidente una delle cause di non
punibilità previste dall’art. 129 cod. proc. pen.
Ne consegue che, una volta ottenuta l’applicazione di una determinata pena
ai sensi dell’art. 444 cod. proc. peri., l’imputato non può rimettere in discussione
profili oggettivi o soggettivi della fattispecie, né può dolersi della entità della
pena da esso stesso sollecitata e della complessiva adeguatezza del trattamento
concordato.
Il ricorso è, nella specie, privo di specificità ed è, comunque,
manifestamente infondato, atteso che il Giudice, prima di applicare la pena
patteggiata conforme all’accordo tra le parti, ha controllato l’insussistenza delle
condizioni per la pronuncia di una sentenza di proscioglimento, ai sensi dell’art.
129 cod. proc. peri., e ha coerentemente rilevato l’esatta qualificazione giuridica
dei reati contestati, oltre alla correttezza del trattamento sanzionatorio nei
termini concordati.
Tale motivazione, avuto riguardo alla speciale natura dell’accertamento in
sede di applicazione della pena su richiesta delle parti, è pienamente adeguata ai
parametri richiesti per tale genere di decisioni, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995,
dep. 18/10/1995, Serafino, Rv. 202270; Sez. U, n. 20 del 27/10/1999,
dep. 03/12/1999, Fraccari, Rv. 214637).
4. Alla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso segue di diritto la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi
atti a escludere la colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità, al
versamento – a favore della Cassa delle ammende – di sanzione pecuniaria che
appare congruo determinare in millecinquecento euro, ai sensi dell’art. 616 cod.
proc. pen.
3

condiviso principio secondo cui l’applicazione della pena su richiesta delle parti è

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di millecinquecento euro alla
Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 17 aprile 2015

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