Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30658 del 16/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 30658 Anno 2015
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SCALZI TOMMASO N. IL 15/06/1969
avverso l’ordinanza n. 198/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
16/04/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 16/04/2015

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa il 14 aprile 2015 la Corte di Appello di Milano,
pronunciando quale giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza proposta da
Tommaso Scalzi di applicazione in sede esecutiva della continuazione fra i reati
indicati nell’istanza.
2. Avverso l’indicato provvedimento, ha proposto ricorso per cassazione

a) manifesta illogicità della motivazione, in quanto la Corte di Appello non aveva
considerato che dalla sentenza del Tribunale di Lecco del 19/3/2009 era emerso lo
stretto legame, personale e criminale, esistente tra il ricorrente ed Emiliano
Trovato, tanto che quando il primo era stato tratto in arresto per esercizio arbitrario
delle proprie ragioni, commesso in Costa Masnaga, il Trovato si era presentato a
chiedere notizie dell’arrestato, sicchè quel fatto illecito costituiva un reato fine
dell’associazione di stampo mafioso; parimenti anche i reati giudicati con la
sentenza sub 1) costituivano espressione della forza intimidatoria tipica del vincolo
associativo mafioso e ne costituivano i reati-fine.
b) Mancanza di motivazione e violazione di legge in relazione ai motivi dedotti con
l’istanza; al riguardo, la Corte di merito aveva omesso di indicare le ragioni ostativi
all’accoglimento della domanda e non limitarsi a mere formule di stile.
3. Con memoria pervenuta in data 3 aprile 2015 il difensore ha ulteriormente
dedotto la necessità di considerare i fatti di reato come accertati nelle sentenze che
li hanno giudicati; in particolare la motivazione della sentenza che ha accertato il
reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. ha fatto riferimento alla vicenda di Costa
Masnaga; inoltre, anche il delitto di rapina giudicato con la sentenza al punto 3) è
stato commesso nel periodo di operatività dell’associazione ed il delitto di cui alla
sentenza punto 2) è stato commesso con Raffaele Scalzi, fratello del ricorrente, a
sua volta imputato del processo “Oversize”. Ha poi evidenziato i legami tra
l’organizzazione e l’avv.to Acquistapace, nel cui studio era stata commessa l’attività
criminosa.

Considerato in diritto

L’impugnazione è inammissibile perché basata su motivi manifestamente
infondati e non consentiti nel giudizio di legittimità.
1.L’ordinanza impugnata ha analizzato le vicende fattuali, oggetto di
accertamento nelle tre pronunce di condanna, evidenziando che lo Scalzi era stato
ritenuto intraneo ad associazione a delinquere di stampo mafioso sin dai primi anni
novanta e che in tempi successivi si era reso responsabile di una molteplicità ci’
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l’interessato a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento per:

violazioni della legge penale, che ha analizzato singolarmente. Ha evidenziato che:
– nel primo caso i reati di rapina, falso materiale, usurpazione di pubbliche funzioni,
tentata estorsione e detenzione di munizioni riguardavano l’episodio del prelievo
all’abitazione di Francesco D’Ambrosio di oggetti preziosi mediante esibizione di un
falso decreto di perquisizione, per la cui restituzione aveva preteso del denaro, non
erogatogli;
– nel secondo, con violenza e minaccia, aveva preteso la corresponsione della quota

-nel terzo si era accertata la sua militanza col grado di “picciotto onorato” ad
associazione di stampo mafioso quale addetto alla sicurezza di Emiliano e Franco
Trovato e Carmine De Stefano e quale coadiutore di altri affiliati nel traffico di
droga, nelle estorsioni e nel recupero crediti, nell’acquisto e nella vendita dì armi
quale personaggio di fiducia dei vertici dell’organizzazione.
1.1 Ha quindi concluso per l’assenza di legami specifici fra le varie condotte,
tali da consentire di ricondurle ad unicità di deliberazione ed ideazione, risalente sin
dall’ingresso nell’associazione, poi attuata nel tempo con condotte distinte.
2. Per contro, il ricorso ribadisce la medesima prospettazione già respinta dai
giudici di merito, sostiene circostanze non riscontrate sulla finalità unitaria
perseguita dal ricorrente di avvantaggiare l’organizzazione e di realizzarne le finalità
antigiuridiche, senza però illustrare in dettaglio con quali modalità avrebbe
perseguito tale intento e quale profitto avrebbe conseguito per l’organizzazione,
incorrendo in tal modo nelle medesime carenze deduttive ed illustrative riscontrate
dalla Corte di merito.
2.1 A tal fine il ricorrente pretende di offrire riscontro alla propria tesi da un
passaggio motivazionale della sentenza del Tribunale di Lecco del 19 marzo 2009,
ma l’argomento è palesemente inconsistente perché la dimostrata comunanza di
interessi, di abitudini di vita tra lo Scalzi ed Emiliano Trovato, nonché la richiesta di
notizie da parte di quest’ultimo nel momento in cui il primo era stato tratto in
arresto non possono in sé dimostrare se non quei legami personali e criminali, che
da soli non indicano l’unicità del disegno criminoso tra il delitto associativo e gli altri
reati. Invero, non si deduce che il Trovato avesse preso parte all’attività di esercizio
arbitrario delle ragioni, che ne fosse il mandante e che dovesse ripartirne il ricavato
con altri sodali, né soprattutto che tali iniziativa delittuosa fosse stata già deliberata
nelle sue linee essenziali al momento in cui entrambi avevano costituito o fatto
ingresso nell’organizzazione di stampo mafioso. Pertanto, anche l’omessa disamina
di tale profilo non pregiudica la legittimità della decisione e la congruità della sua
giustificazione.
2.2 Si ricorda che, secondo ormai consolidato orientamento giurisprudenziale,
qualora uno dei reati da unificare per continuazione sia un reato associativo,

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di utili spettantigli a seguito della cessione delle quote di una società;

devono negarsi soluzioni aprioristicamente negative, basate sulla struttura della
fattispecie astratta, così come, all’opposto, vanno respinte presunzioni legate alla
permanenza del vincolo partecipativo ed alla generica indeterminatezza del
programma criminoso. La questione della configurabilità della continuazione non
“va impostata in termini di compatibilità strutturale, in quanto nulla si oppone
a che, sin dall’inizio, nel programma criminoso dell’associazione, si concepiscano
uno o più reati-fine individuati nelle loro linee essenziali, di guisa che tra

criminoso. Ne consegue che tale problema si risolve in una “quaestio facti” la cui
soluzione e’ rimessa di volta in volta all’apprezzamento del giudice di merito”
(Cass. sez. 1, ord. n. 12639 del 28/3/2006, rv. 234100, Adamo; sez. 5, n. 23370
del 14/5/2008, rv. 240489, Pagliara; sez. 1, 6.12.2005 nr. 44606; 14/05/1997 nr.
1474; 14.10.1997 nr. 3650). Si è altresì correttamente affermato al riguardo: “In
tema di associazione mafiosa, ovvero di associazione D.P.R. n. 309 del 1990, ex
art. 74, non può sostenersi che la commissione di reati fine rientri nel generico
programma della “societas sceleris”, nè che i medesimi siano consumati “per
eseguire” il delitto associativo, dal momento che tale reato, in entrambe le forme
innanzi richiamate, ha natura permanente ed è, di regola, preesistente rispetto ai
fatti delittuosi ulteriori; questi ultimi, a loro volta, pur essendo certamente episodi
non inconsueti nel panorama di attività criminosa della struttura delinquenziale, non
rappresentano la finalità per la quale l’associazione è stata costituita” (Cass., sez.
1, n. 8451 del 21/1/2009, rv. 243199, Vitale).
Né al riguardo può assumere rilievo l’avvenuta commissione di fatti criminosi
da parte del partecipe al sodalizio criminoso nel periodo di appartenenza allo stesso
e nemmeno che quel tipo di attività delinquenziale rientri astrattamente nelle
finalità per le quali è stata costituita l’associazione: al contrario, l’identità del
disegno criminoso non può ravvisarsi nei casi in cui, ad esempio, un omicidio, un
fatto estorsivo, di usura, lo spaccio di droga, ancorchè appartenenti alle tipologie di
illecito cui usualmente si dedichino gli associati, siano stati commessi per eventi
imprevedibili, per effetto di impulsi subitanei o di esigenze estemporanee, ossia in
situazioni concrete nelle quali le azioni siano sollecitate da spinte motivazionali
insuscettibili di una preventiva ideazione e deliberazione nemmeno nelle linee
essenziali al momento dell’adesione all’organizzazione (Cass. sez. 1, n. 13609 del
22/3/2011, rv. 249930, Bosti; sez. 1, n. 13611 del 22/3/2011, rv. 249931,
Aversano; sez. 6, n. 2960 del 27/9/1999, rv. 214555, Ingarao; sez. 1, n. 3834 del
15/11/2000, rv. 218397, Barresi). Infine, anche l’identità del bene giuridico violato
ed il lasso temporale intercorso fra le varie condotte costituiscono aspetti da soli
insufficienti a dare la dimostrazione dell’esistenza di quell’unico iniziale programma
in vista di uno scopo determinato, ricomprendente le singole violazioni, che

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questi reati e quello associativo si possa ravvisare una identità di disegno

costituisce l’indefettibile presupposto per il riconoscimento della continuazione.
A tali principi l’ordinanza si è attenuta, sicchè supera indenne il vaglio
conducibile nel giudizio di legittimità, anche alla luce degli ulteriori rilievi fattuali
contenuti nella memoria difensiva, peraltro tardivamente presentata oltre il limite
temporale previsto dall’art. 611 cod. proc. pen..
Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa

equa di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2015.

insiti nella proposizione di impugnazione di tale tenore, della somma che si stima

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