Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30656 del 16/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 30656 Anno 2015
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SILIQUINI MARIA GRAZIA N. IL 17/04/1948 parte offesa nel
procedimento
c/
IGNOTI
avverso il decreto n. 10841/2014 GIP TRIBUNALE di TORINO, del
27/05/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 16/04/2015

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza deliberata il 27 maggio 2014 il G.I.P. del Tribunale di Torino
disponeva l’archiviazione del procedimento penale a carico di ignoti, scaturito dalla

(

denuncia di Maria Grazia t eilgi2la cui opposizione rigettava per non essere

comportamenti ostili frutto di antipatie tra vicini. Inoltre, riteneva che il contrasto
tra l’opponente e le persone denunciate circa la realizzazione di una fotografia in
data 18 ottobre 2013 non fosse suscettibile essere chiarito nemmeno nella sede
di battimentale.
2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione la parte
offesa Maria Grazia Siliquini, la quale ne ha chiesto l’annullamento per violazione
del combinato disposto degli artt. 409, comma 6, 127 cod. proc. pen. per violazione
del contraddittorio e delle disposizioni sull’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione
penale. Ha dedotto che la richiesta di archiviazione ed il relativo provvedimento
erano frutto della mancata lettura degli atti processuali, che consentivano di
individuare gli autori dei fatti denunciati, che non erano affatto ignoti. Inoltre, per
disporre l’archiviazione per infondatezza della notizia di reato, peraltro sulla base
delle dichiarazioni della Tomasi e del Minutolo, soggetti che dovevano essere
ritenuti indagati, il G.I.P. avrebbe dovuto fissare una nuova udienza camerale in
contraddittorio con la persona offesa e con gli indagati, sicchè il relativo
provvedimento era abnorme.
Ha quindi sostenuto che le indagini non erano state complete, perché non era
avvenuta l’escussione della persona offesa e l’interrogatorio degli indagati, né alcun
accertamento sui luoghi.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile perché basato su motivi manifestamente infondati.
1.Appartiene a consolidato orientamento di questa Suprema Corte il principio,
secondo il quale il provvedimento di archiviazione può essere pronunciato “de
plano”, quindi in mancanza di previa instaurazione del contraddittorio tra le parti,
anche quando avverso la richiesta del P.M. sia stata presentata opposizione della
persona offesa. La praticabilità di tale opzione procedurale resta subordinata però
alla sussistenza di due condizioni, che il G.I.P. nel provvedimento di archiviazione
deve dimostrare di avere apprezzato, fornendone congrua e logica motivazione:
l’inammissibilità dell’opposizione in ragione dell’omessa indicazione dell’oggett
1

individuabili nei fatti denunciati gli estremi di alcun reato, trattandosi di

dell’investigazione suppletiva e/o dei relativi elementi di prova e l’infondatezza della
notizia di reato (Cass. sez. 4, n. 167 del 24/11/2010, P.O. in proc. Ortu, rv.
249236; sez. 2, n. 40515 del 28/09/2005, P.O. in proc. Guaricci ed altri, rv.
232674; sez. 2, n. 47980 del 01/10/2004, P.O.in proc. Radici, rv. 230707; Sez. U,
n. 2 del 14/02/1996, P.c. in proc. Testa ed altri, rv. 204132).
Ne discende che la motivazione del provvedimento con il quale il Giudice per le
indagini preliminari, accogliendo “de plano” la richiesta di archiviazione del P.M.,

specifica quanto ai presupposti della pronuncia ed in sè non contraddittoria (sez. 6,
n. 3432 del 08/01/2003, dep. 23/01/2003, Rv. 223676). In difetto di tali requisiti si
produce, pertanto, una violazione del diritto al contraddittorio, che è, prima di tutto
e in ogni caso, diritto all’effettiva considerazione delle ragioni dedotte dalla parte
(Cass. sez. 5, n. 16505 del 21/04/2006, P.o. in proc. De Bellis, rv. 234453).
2. Orbene, tali principi non sono applicabili al caso di specie in quanto il
provvedimento di archiviazione è stato reso all’esito dell’udienza camerale, fissata
ai sensi dell’art. 409 cod. proc. pen., come riportato anche nell’ordinanza stessa:
non si vede dunque quale fondamento possa assumere la pretesa della ricorrente di
fissazione di altra udienza per instaurare il contraddittorio con la stessa, che poteva
esercitare tutte le facoltà deduttive in quella celebrata, e con soggetti, che
motivatamente si è ritenuto non essere indagati. Resta quindi esclusa qualsiasi
violazione dei diritti difensivi della persona offesa, che per dimostrare la fondatezza
delle accuse mosse poteva avvalersi dell’opportunità offertale e rappresentata
dall’udienza camerale del 14 maggio 2014 e non si comprende quale impedimento
abbia ostacolato l’esercizio di tale facoltà.
2.1 Quanto al merito della decisione, in sostanza l’ordinanza impugnata ha
escluso la ravvisabilità degli estremi di alcun reato nei fatti esposti nelle denunce
sporte dalla Siliquini, considerate mere scortesie o dispetti tra vicini di casa, privi di
rilievo anche sotto il profilo civilistico, il che assume un valore logico e giuridico
troncante rispetto alla possibilità di individuazione dei relativi autori.
2.2 Per contro, il ricorso lamenta in modo generico il mancato
approfondimento delle indagini e l’erronea omessa considerazione dei fatti come
illeciti penali, ma non illustra sotto alcun profilo quali aspetti di antigiuridicità
sarebbero stati ignorati o erroneamente considerati; in altri termini, non affronta il
tema della descrizione delle vicende fattuali e della loro rilevanza penale, disamina
necessaria per contrastare efficacemente i rilievi contrari contenuti nell’ordinanza
impugnata.
2.3 Del pari le doglianze sull’inutilizzabilità delle dichiarazioni acquisite dai
denunciati Tomasi e Minutolo, perché raccolte da chi doveva essere considerato
indagato e senza il difensore, non risolvono il dato del contrasto nella versione dei
2

dichiara inammissibile l’opposizione proposta dalla persona offesa deve essere

fatti fornite dalla ricorrente e da costoro quanto alla vicenda della fotografia
scattata il 18 ottobre 2013 e non dimostrano che tale divergente rappresentazione
degli eventi avrebbe potuto essere risolta mediante approfondimenti istruttori che,
per quanto esposto in ricorso, non risultano decisivi ed idonei a fare chiarezza
sull’accaduto, come del resto ritenuto anche dal G.I.P..
L’impugnazione va dichiarata inammissibile, con la conseguente condanna
della proponente al pagamento delle spese processuali e, tenuto conto dei profili di

somma in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo determinare in euro
1.000,00.

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2015.

colpa insiti nella proposizione di siffatta impugnazione, al versamento di una

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