Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30655 del 16/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 30655 Anno 2015
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
GROSSO FRANCESCO N. IL 18/08/1975
avverso il decreto n. 137/2013 CORTE APPELLO di BARI, del
19/06/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 16/04/2015

Ritenuto in fatto

1.Con decreto in 19 giugno 2014 la Corte d’Appello di Bari, sezione misure di
prevenzione, rigettava l’appello proposto da Francesco Grosso, avverso il decreto
del 10 luglio 2013, col quale il Tribunale di Bari aveva applicato nei suoi confronti
per la durata di un anno la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di

dimora.
2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso il proposto a mezzo del
suo difensore, il quale lamenta:
-violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen. per contraddittorietà della
motivazione rispetto agli elementi di prova raccolti ed a quelli indicati dalla difesa,
tutti favorevoli perché indicativi di una personalità del proposto positiva e non
incline alla commissione di reati contro il patrimonio. La Corte di Appello aveva
ritenuto di dover prescindere, sia dall’ordinanza del Tribunale del riesame di
Potenza, sia dalla mancata convalida del fermo di p.g. da parte del G.I.P. del
Tribunale di S.Maria Capua Vetere, sia dal precedente decreto del 31/10/2007 del
Tribunale di Bari, che, valutando gli stessi elementi, aveva respinto una prima
istanza volta alla applicazione della misura di prevenzione nei riguardi del
ricorrente, mancando una motivazione logica per tale pretermissione e risultando la
decisione contraddittoria perché basata su due sole circostanze nuove ed in
contrasto con l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile perché fondato su motivi non consentiti e comunque
manifestamente infondati.
1.Va premesso in primo luogo che, per effetto della disciplina stabilita dalla
legge 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, comma 10, nonché dal successivo art. 10,
comma terzo, del D.Lgs. 159/2011, il decreto con il quale la Corte di Appello decide
in ordine al gravame proposto dalle parti avverso il provvedimento del Tribunale
applicativo della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica
sicurezza è ricorribile per cassazione esclusivamente per violazione di legge, vizio
quest’ultimo nel quale è compreso, per consolidata lezione interpretativa di questa
Corte, quello della motivazione del tutto omessa perché mancante, ovvero
apparente, ossia presente ma tale da non esporre il percorso logico-giuridico che ha
condotto alla decisione (Cass. sez. 6, n. 35240 del 27/06/2013, Cardone e altri, rv.
256263; Sez. 6, n. 24272 del 15/01/2013, P.G. in proc. Pascali e altri, rv. 256805;

1

pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di abituale

sez. 5, n. 19598 del 08/04/2010, Palermo, rv. 247514). A fronte di tali carenze si
concretizza la violazione dell’obbligo imposto dallo stesso art. 4, comma 9, L. nr.
1423/56, per cui la verifica conducibile in sede di legittimità si deve arrestare alla
corrispondenza degli elementi valorizzati nel provvedimento impugnato ai criteri
dettati dalla legge ed all’esistenza delle ragioni della decisione. Il sindacato così
contenuto, riconosciuto come non irragionevole dalla Corte Costituzionale con la
sentenza n. 321/2004, non si estende quindi all’adeguatezza e coerenza logica del

1.1 A siffatta circoscrizione del perimetro cognitivo, proprio dei procedimenti di
prevenzione, si sommano i limiti intrinseci del giudizio di legittimità, che, com’è
noto, non può addentrarsi nella revisione del giudizio di merito, né nella valutazione
dei fatti attraverso l’apprezzamento diretto del materiale probatorio, ma deve
attenersi alla verifica della correttezza giuridica e logica del provvedimento
impugnato, rispetto alle cui statuizioni la Corte di Cassazione non dispone del
potere di sostituire una propria alternativa decisione.
1.2 E’ poi necessario richiamare i caratteri del procedimento valutativo tipico
del giudizio di prevenzione, funzionale ad un giudizio prognostico avente ad oggetto
la probabilità della futura commissione di reati, vertente sulla pericolosità sociale
del soggetto, che, per dar luogo alla sottoposizione alla misura, deve essere
concreta ed attuale, desumibile da specifici comportamenti sintomatici (Corte Cost.,
12/11/1987; Cass., sez. 5, n. 34150 del 22/09/2006, Commisso, rv. 235203; sez.
6 n. 38471 del 13/10/2010 Barone, rv. 248797; Cass. S.U., n. 6 del 25/03/1996,
Tumminelli, rv. 194063), per la cui ricostruzione il giudice di merito è legittimato a
servirsi di elementi di prova e/o indiziari tratti da procedimenti penali, anche se non
ancora conclusi, e, nel caso di processi definiti con sentenza irrevocabile, anche
indipendentemente dalla natura delle statuizioni conclusive in ordine
all’accertamento della penale responsabilità dell’imputato. Tale potestà incontra due
limiti: a) il giudizio deve essere fondato su elementi certi, sottoposti a puntuale
disamina critica per affermarne la refluenza sul giudizio di pericolosità sulla base di
un ragionamento immune da vizi logici; b) gli indizi dai quali desumere la
pericolosità sociale non debbono possedere i caratteri di gravità, precisione e
concordanza, richiesti dall’art. 192 cod. proc. pen. soltanto per il giudizio di
responsabilità nel procedimento di cognizione (Cass., sez. 1, n. 6613 del
17/01/2008 n. 6613, Carvelli e altri, rv. 239358; sez. 1 n. 20160 del 29/04/2011,
Bagalà, rv. 250278). Resta dunque confermata la piena autonomia per struttura e
finalità dei due procedimenti, quello penale funzionale all’accertamento della
responsabilità in ordine ad una fattispecie di reato, e quello di prevenzione,
ancorato ad una valutazione di pericolosità attuale, espressa mediante condotte che
non necessariamente costituiscono reato, con la conseguente esclusione di u
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percorso giustificativo del provvedimento impugnato.

rapporto di pregiudizialità del primo rispetto al secondo ed affermazione della
reciproca indipendenza nell’apprezzamento del materiale indiziario con l’obbligo di
indicare nella motivazione del decreto applicativo della misura le ragioni delle
valutazioni condotte, specie se ricavate da pronunce penali di assoluzione (Cass.
sez. 6, n. 4668 del 08/01/2013, Parmigiano ed altri, rv. 254417).
2.La considerazione del ricorso alla luce dei superiori principi induce in primo
luogo ad escludere che il decreto impugnato sia affetto da violazione di legge per

compiuto, chiaro e comprensibile, oltre che aderente ai motivi d’appello proposti, le
ragioni di confutazione di tali censure.
2.1 Né risulta che la motivazione sia meramente apparente per elusione dei
temi proposti con l’impugnazione del proposto, dal momento che analizza specifici
elementi fattuali, ritenuti sintomatici di allarme sociale e pericolosità concreti ed
attuali. Si tratta delle vicende oggetto di contestazione in precedenti procedimenti
penali, analizzate nella loro successione temporale, delle quali sopravvenute e
recenti rispetto al precedente decreto del 31/10/2007, che aveva respinto la
richiesta di sottoposizione al Grosso a misura di prevenzione personale, sono la
ricettazione del 31/1/2012, il fermo di p.g. per analogo reato del 3/2/2012,
ulteriore ricettazione dell’1/11/2011, risultante dal certificato dei carichi pendenti,
nonché la violazione delle disposizioni sulla misura di prevenzione applicatagli col
decreto confermato, per la quale egli ha subito un successivo arresto del
16/12/2013. Ha quindi ritenuto irrilevante lo svolgimento di attività lavorativa, che
costituisce un obbligo per il sorvegliato speciale.
Dalla considerazione delle singole vicende processuali, esaminate punto per
punto nelle emergenze fattuali oggettive, risultanti dalle motivazioni delle pronunce
giudiziali che le avevano accertate e non smentite da risultanze contrarie, la Corte
distrettuale ha dedotto che egli in un lungo arco temporale si era dedicato a
commettere reati contro il patrimonio, alcuni già accertati irrevocabilmente, altri
ancora “sub judice”, risultando quindi attualmente pericoloso.
2.2 Deve dunque concludersi che la motivazione è effettiva sotto ogni profilo
considerato e supera la precedente decisione contraria del 2007, mentre le
doglianze rassegnate in termini di illogicità e contraddittorietà della motivazione
quanto all’apparato giustificativo ed alla sua congruenza rispetto agli elementi
disponibili non possono essere dedotte col ricorso per cassazione per le ragioni già
esposte e sono comunque prive di fondamento.
L’impugnazione va dichiarata inammissibile, con la conseguente condanna del
proponente al pagamento delle spese processuali e, tenuto conto dei profili di colpa
insiti nella proposizione di siffatta impugnazione, al versamento di una somma in
favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo determinare in euro 1.000,00.

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totale carenza o apparenza della motivazione, perché, al contrario, illustra in modo

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 16 aprile 2015.

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