Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30654 del 16/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 30654 Anno 2015
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DELL’ENDICE PIETRO N. IL 27/09/1983
avverso l’ordinanza n. 48/2014 CORTE APPELLO di BARI, del
07/07/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 16/04/2015

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa il 7 luglio 2014 la Corte di Appello di Bari, deliberando
in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava per carenza dei presupposti
applicativi l’istanza proposta da Pietro Dell’Endice, volta ad ottenere l’unificazione
per continuazione dei reati giudicati con le sentenze di condanna indicate
nell’istanza.

l’interessato personalmente, chiedendone l’annullamento per inosservanza o
erronea applicazione della legge penale in riferimento al disposto degli artt. 81 cpv.
cod. pen. e 671 cod. proc. pen.. Secondo il ricorrente, quanto sostenuto dal giudice
dell’esecuzione sulla distanza cronologica dei reati non può ritenersi dirimente
perché investe soltanto uno degli indici rivelatori dell’identità del disegno criminoso;
piuttosto, non si è tenuto conto dell’analogia dei singoli reati, dell’identità del bene
giuridico violato, dell’unitario contesto delinquenziale, della stessa spinta a
delinquere, in quanto l’attività di spaccio era inserita in un contesto delinquenziale
più ampio che faceva capo al clan Pesce-Pistillo, nel cui ambito esso ricorrente
aveva rivestito un ruolo dirigenziale a partire dall’anno 2004, come risultato dagli
atti di separato procedimento. Infine, l’unicità del disegno criminoso non poteva
essere esclusa per effetto del periodo di carcerazione intermedio tra gli episodi
criminosi, dal momento che al ripristino della libertà l’attività illecita era ripresa.

Considerato in diritto

L’impugnazione è inammissibile perché basata su motivi manifestamente
infondati.
1.L’ordinanza impugnata ha correttamente rilevato e giustificato con
compiutezza e logicità argomentativa la ritenuta insussistenza del medesimo
disegno criminoso, accomunante tutti i reati indicati nell’istanza del ricorrente; ha
rilevato la notevole distanza temporale, pari a circa cinque anni, tra le prime
condotte giudicate e le restanti e ha considerato insufficiente la similitudine di
comportamenti criminosi e la parziale identità di oggetto materiale e ciò in ragione,
sia del lungo periodo di carcerazione subito tra le violazioni commesse, sia delle
diverse modalità oggettive di realizzazione. Ha dunque evidenziato che, in un caso
si era trattato di spaccio al dettaglio su pubblica via di hashish e marijuana,
nell’altro di detenzione a fini di cessione presso l’abitazione ed in concorso con la
madre di più consistenti quantità di droghe leggere e di cocaina, il che dimostrava
una discontinuità tra l’agire criminale ed una più elevata pericolosità dell
successive e condotte.
1

2. Avverso l’indicato provvedimento, ha proposto ricorso per cassazione

1.1 La Corte di merito non ha nemmeno ignorato la produzione documentale
della difesa, indicativa dell’inserimento da parte del ricorrente nell’organizzazione
facente capo alle famiglie Pesce-Pistillo, ma ha ritenuto tale circostanza un evento
recente e non immediatamente dimostrativo ai fini del riconoscimento della
continuazione, quanto piuttosto di scelte di vite improntate all’illegalità e di una
generale inclinazione a violare la legge penale.
1.2 Deve quindi riscontrarsi la presenza di motivazione adeguata, logica,

formulate col ricorso, ove si consideri che il giudice dell’esecuzione, nell’escludere la
configurabilità della continuazione, ha valorizzato con plausibili argomentazioni
elementi oggettivi, desunti dalle vicende fattuali giudicate e non ha affatto ignorato
le deduzioni dell’istante anche riguardanti i profili accomunanti gli episodi.
1.3 In tal modo il giudice di merito ha offerto puntuale applicazione in punto
di diritto all’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale
anche l’identità del bene giuridico violato ed il lasso temporale intercorso fra le
varie condotte -in questo caso non prossimo, ma molto distanziato- costituiscono
aspetti da soli insufficienti ad offrire dimostrazione dell’esistenza di quell’unico
iniziale programma in vista di uno scopo determinato, ricomprendente le singole
violazioni, che costituisce l’indefettibile presupposto per il riconoscimento della
continuazione.
2. Per contro, il ricorso ripropone le tematiche già sottoposte al giudice
dell’esecuzione, che le ha risolte con motivazione adeguata e giuridicamente
corretta e richiama accertamenti condotti dal G.I.P. del Tribunale di Bari, di cui non
si ha alcuna contezza, trattandosi di atti diversi da quelli considerati dalla Corte di
Appello, che ha preso in esame una memoria del P.M. della D.D.A. di Bari.
Il ricorso va dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa
insiti nella proposizione di impugnazione di tale tenore, della somma che si stima
equa di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2015.

rispettosa del parametro normativo di riferimento, tale da resistere alle censure

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