Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30649 del 16/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 30649 Anno 2015
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MILAZZO SEBASTIANO N. IL 05/08/1951
avverso l’ordinanza n. 40/2013 CORTE ASSISE APPELLO di
PALERMO, del 14/04/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 16/04/2015

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza emessa il 14 aprile 2014 la Corte di Assise di Appello di
Palermo rigettava l’istanza, proposta dal condannato Sebastiano Milazzo, volta ad
ottenere l’applicazione del disposto dell’art. 666 cod. proc. pen. in relazione alla
pronuncia della Corte Costituzionale nr. 210 del 2013 e la sostituzione della pena
dell’ergastolo con quella di anni trenta di reclusione per effetto della riduzione

2. Avverso l’indicato provvedimento, ha proposto ricorso per cassazione
l’interessato a mezzo del difensore, chiedendone l’annullamento per violazione e
falsa applicazione dell’art. 7 CEDU e dell’art. 442 cod. proc. pen. in relazione agli
artt. 3, 25 e 117 Cost.. Secondo il ricorrente, la Corte di Assise di Appello è incorsa
nel travisamento dei dati processuali per avere escluso che il caso non fosse
riconducibile al principio di diritto espresso nella sentenza Scoppola c. Italia della
CEDU e ribadito dalle Sezioni Unite con la sentenza nr. 18821 del 7/05/2014 che ha
riaffermato come nel caso di successioni di leggi diverse nel tempo debba trovare
applicazione quella più favorevole al reo. Pertanto, è illogica ed arbitraria la
decisione impugnata che nega il diritto alla conversione perché la richiesta di rito
abbreviato non era stata ammessa in sede di cognizione; tale affermazione
contrasta col principio di legalità e di eguaglianza, nonché con quanto affermato
dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza Giannone nr. 34233
del 19/4/2012 che richiede il concorso di due presupposti per l’applicazione della
legge in vigore al momento della richiesta: la commissione del reato entro una
certa data e la formulazione della richiesta di ammissione al giudizio abbreviato da
parte dell’interessato, cosa avvenuta in udienza preliminare e nuovamente in data
14/1/2000, mentre non pretende che la richiesta sia stata accolta.
Inoltre, qualora si avvalorasse la tesi per cui il Milazzo non avrebbe potuto essere
ammesso al rito abbreviato in base all’istanza formulata in appello per essersi tale
giudizio concluso il 18 marzo 2000, prima dell’entrata in vigore del D.L. 7 aprile
2000 nr. 82, dovrebbe sollevarsi questione di incostituzionalità dell’art. 4-ter
comma 3 del D.L. 82/2000 nella parte in cui non prevede l’applicazione retroattiva
dal 2 gennaio 2000 della riapertura dei termini dalla stessa norma previsti.
Anche la ritenuta impossibilità per il giudice dell’esecuzione di sindacare il titolo
esecutivo nella sua sola validità formale contrasta col dovere di controllo sulla
permanente legittimità della pena in esecuzione, esigenza che prevale sul giudicato
a tutela dei diritti fondamentali della persona.

Considerato in diritto

2.,

prevista per il rito abbreviato.

L’impugnazione è inammissibile perché fondata su motivi manifestamente
infondati.
1.Si deve premettere che con la L. 16 dicembre 1999, n. 479, (cd. legge
Carotti, entrata in vigore il 2/1/2000) è stato consentito agli imputati di accedere al
rito abbreviato anche per i delitti per i quali era comminata la pena dell’ergastolo,
stabilendo all’art. 442 cod.proc.pen., comma 2, che in caso di scelta da parte
dell’imputato del giudizio abbreviato “alla pena dell’ergastolo è sostituita quella

articolo del codice di rito quando detto codice è entrato in vigore, era stata
dichiarata illegittima dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 176/1991, poiché
la legge delega del codice di procedura penale non aveva previsto il giudizio
abbreviato per i reati puniti con la pena dell’ergastolo. Con decreto legge emanato
pochi mesi dopo, il D.L. 7 aprile 2000, n. 82, convertito nella L. n. 144 del 2000, è
stato consentito, a determinate condizioni, anche agli imputati dei processi in corso,
i quali, per la normativa vigente prima della Carotti, non avevano potuto accedere
al suddetto rito, di essere giudicati con il rito abbreviato, e quindi di usufruire dello
sconto di pena previsto per la scelta del predetto rito.
L’aspettativa degli imputati di ottenere – scegliendo di essere giudicati con il
rito abbreviato -la sostituzione della condanna all’ergastolo, inasprito
dall’isolamento diurno, con quella a trent’anni di reclusione, è stata frustrata
dall’entrata in vigore del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito nella L. n. 4 del
2001, che conteneva nel capo 3, intitolato” interpretazione autentica dell’art. 442
c.p.p., comma 2, e disposizioni in materia di giudizio abbreviato nei processi per i
reati puniti con l’ergastolo”, all’art. 7 le seguenti norme:
1.

Nell’art. 442 cod.proc.pen., comma 2, ultimo periodo, l’espressione “pena

dell’ergastolo” deve intendersi riferita all’ergastolo senza isolamento diurno.
2. All’art. 442 cod.proc.pen., comma 2, è aggiunto, in fine, il seguente periodo:
“alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di
reato continuato, è sostituita quello dell’ergastolo”.
A seguito dell’entrata in vigore del D.L. 341 del 2000, si sono maturati i
presupposti in base ai quali tale Scoppola, il quale aveva chiesto ed ottenuto di
essere giudicato con il rito abbreviato dopo l’entrata in vigore della legge Carotti, in
sede di appello – poiché la pena dell’ergastolo inflittagli nel primo grado di giudizio
era stata inasprita dall’isolamento diurno – aveva ottenuto la riduzione della pena
all’ergastolo con la sola eliminazione dell’isolamento diurno. Il predetto si era
dunque rivolto alla Corte EDU, lamentando la violazione della Convenzione Europea
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, e la Grande Camera di tale organismo con
decisione in data 17/9/2009 ha accertato la non equità del trattamento
sanzionatorio, perché inflitto in violazione degli artt. 6 e 7 della suddetta

3

della reclusione di anni trenta”; questa previsione, già contenuta nel suddetto

Convenzione, essendo stato condannato lo Scoppola dalla Corte di assise d’appello
di Roma con sentenza in data 10/1/2002 all’ergastolo, nonostante lo stesso avesse
la legittima aspettativa di non subire una pena superiore a trent’anni di reclusione
per aver scelto di essere giudicato con un rito che, nel momento in cui era stato
chiesto, prevedeva la sostituzione della pena dell’ergastolo con quella di trent’anni
di reclusione. La Corte EDU, con la suddetta decisione, ha ritenuto che la modifica
dell’art. 442 cod.proc.pen., comma 2, come introdotta dalla legge Carotti, non
presentasse alcuna ambiguità, in quanto indicava chiaramente che la pena

dell’ergastolo era sostituita da quella della reclusione ad anni trenta, senza alcuna
distinzione tra la condanna all’ergastolo con o senza isolamento diurno. Quindi la
specificazione introdotta dal D.L. n. 341 del 2000, secondo la Corte EDU, doveva
essere considerata non l’interpretazione autentica della suddetta norma introdotta
dalla legge Carotti, ma una nuova norma che stabiliva la riduzione di pena da
applicare, per la scelta del rito abbreviato, in caso di condanna alla pena
dell’ergastolo con isolamento diurno. La suddetta Corte ha anche precisato che la
norma in questione ha natura sostanziale e non processuale, e quindi non poteva
essere applicata retroattivamente per il principio secondo il quale, se la legge del
tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le
cui disposizioni sono più favorevoli al reo. Lo Stato italiano si è quindi adeguato alla
decisione della Corte EDU, sostituendo nei confronti dello Scoppola la pena
dell’ergastolo con quella di trent’anni di reclusione.
1.1 Restava l’esigenza di eliminare l’accertata violazione della CEDU anche nei
confronti dei condannati che si trovavano nella stessa situazione dello Scoppola,
non essendo tollerabile una situazione di illegalità convenzionale, che si è ritenuto
dovesse essere eliminata anche sacrificando il valore della certezza del giudicato.
Le Sezioni unite di questa Corte, con ordinanza in data 10/9/2012, nel caso
Ercolano, del tutto simile al caso Scoppola, hanno sollevato questione di legittimità
costituzionale del D.L. n. 341 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 7 della CEDU,
nella parte in cui tale norma operava retroattivamente. Con sentenza n. 210 in data
3/7/2013 la Corte costituzionale ha dichiarato, fra l’altro, l’illegittimità costituzionale
del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, art. 7, comma 1, convertito, con modificazioni,
dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4, ritenendo che le norme della CEDU nel significato
loro attribuito dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo integrino, quali norme
interposte, il parametro costituzionale espresso dall’art. 117 Cost., comma 1, nella
parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti
dagli obblighi internazionali, e per questo è stata dichiarata illegittima la citata
norma del D.L. n. 341 del 2000, art. 7, convertito nella L. n. 4 del 2000. Pertanto, a
seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale del citato art. 7, deve
essere applicato l’art. 30 della L. n. 87 del 1953, secondo il quale le norme

4,t

,

dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla
pubblicazione della decisione e, quando in applicazione della norma incostituzionale
è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano l’esecuzione e
tutti gli effetti penali. Ne discende che l’art. 442 cod.proc.pen., comma 2, deve ora
essere applicato nel testo anteriore alla modificazione operata con il D.L. n. 341 del
2000, convertito nella L. n. 4 del 2000.
1.3 Al fine di dare attuazione ai principi della menzionata sentenza della Corte

nelle stesse condizioni del predetto è sufficiente l’apertura di un incidente di
esecuzione ai sensi dell’art. 670 cod. proc. pen., al fine di verificare se
effettivamente sussistano le suddette condizioni, e non è necessaria la riapertura
del processo di cognizione, dovendosi solo modificare il titolo esecutivo.
2. Tanto premesso in linea generale, nel caso di specie la Corte di Assise di
Appello ha giustificato il diniego di rideterminazione in termini più favorevoli della
pena inflitta al ricorrente, previa applicazione della diminuente per il rito abbreviato,
in considerazione dell’anteriorità della sentenza di condanna, emessa dalla stessa
Corte in data 18 marzo 2000, irrevocabile il 22 giugno 2001, rispetto all’entrata in
vigore del testo di legge, la cui applicazione era stata invocata dal condannato.
Inoltre, ha rilevato che eventuali errori nella decisione di rigetto dell’istanza di
ammissione dell’imputato al rito abbreviato, commessi in sede di cognizione, non
potevano essere fatti valere e riscontrati in sede esecutiva per l’avvenuta
formazione del giudicato, tanto più che nel caso specifico l’istante non aveva
nemmeno specificato i profili di erroneità denunciati.
2.1La decisione impugnata è immune da qualsiasi vizio e rispetta
puntualmente le indicazioni fornite dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha
affermato (da ultimo ex multis: Cass. sez. 1, n. 4008 del 10/01/2014, Ganci, rv.
258272; sez. 1, n. 6004 del 10/01/2014, Papalia, rv. 259026; sez. 1, n. 23931 del
17/05/2013, Lombardi, rv. 256257) che il principio discendente dalla sentenza della
CEDU sul caso Scoppola c. Italia si può applicare solo a coloro che abbiano ottenuto
il rito abbreviato nel periodo di vigenza della L. n. 479 del 1999, ossia nel lasso
temporale compreso tra il 2 gennaio ed il 24 novembre 2000, perché solo in quel
caso ed al di fuori di qualsiasi generalizzazione, l’intervenuta modifica legislativa,
con l’introduzione del D.L. n. 341 del 2000, di contenuto innovativo in “peius” sul
regime sanzionatorio, ebbe a creare un irragionevole pregiudizio a carico
dell’imputato.
2.2 Fondatamente dunque è stata esclusa l’applicazione dei principi che
discendono dalla sentenza della CEDU nel caso Scoppola c. Italia alla situazione del
ricorrente, che non aveva ottenuto in sede di cognizione l’ammissione al rito
alternativo per essere stata respinta la sua richiesta in tal senso e per essere stato

EDU emessa nel caso Scoppola anche nei confronti di condannati che si trovano

giudicato col rito ordinario con sentenza d’appello pronunciata il 18 marzo 2000. Né
sulla situazione esecutiva del ricorrente può esplicare effetti favorevoli la pronuncia
della Corte Costituzionale nr. 210 del 2013, che ha dichiarato incostituzionale l’art.
7 del D.L. nr. 341 del 2000, dal momento che la pronuncia di condanna a suo
carico, come riconosciuto anche in ricorso, era stata emessa prima dell’entrata in
vigore della norma dichiarata incostituzionale, avvenuta il 7 aprile 2000, il che
esclude anche ogni possibilità di sindacare in sede esecutiva la correttezza della

3. Non ha dunque alcun fondamento la pretesa applicazione al caso dei
principi espressi dalla pronuncia Scoppola c. Italia perché la situazione del Milazzo
differisce da quella giudicata in tale sede, in cui la sentenza di secondo grado era
stata pronunciata dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 341 del 2000, art. 7; non
sussiste dunque la pretesa parità di condizioni, che dovrebbe consentire di
riscontrare l’incostituzionalità delle norme applicate dalla Corte di Assise di Appello.
3.1 Né può giovare al ricorrente la citazione di alcuni passaggi della
motivazione della sentenza Sez. U, n. 18821 del 24/10/2014, Ercolano, rv. 258649,
dal momento il principio di diritto sull’acquisizione del diritto soggettivo
dell’interessato ad essere giudicato nelle forme del giudizio abbreviato e ad un
regime sanzionatorio per esso previsto trova il proprio presupposto indefettibile
nella formulazione della richiesta e nell’ammissione al rito alternativo. Come
chiaramente esposto a pag. 11 della predetta pronuncia, in caso di celebrazione del
rito ordinario con tutte le ampie garanzie conseguenti, l’imputato non è soggetto al
fenomeno di successione di leggi nel tempo incidenti sulla pena e pertanto non può
incidersi in sede esecutiva sul giudicato con la sua revoca. Non rientra, infatti, nei
poteri del giudice dell’esecuzione rivisitare, con effetti a cascata sulla pena da
eseguire, le scelte e le decisioni sul rito assunte in sede di cognizione e a fronte del
giudizio dibattimentale non è mai entrato nel patrimonio giuridico dell’imputato il
diritto ad essere punito secondo quanto previsto per il rito abbreviato.
L’ordinanza in verifica si è attenuta a tali principi che in modo pretestuoso si
pongono in discussione con una richiesta di sollevare incidente di incostituzionalità
che è inammissibile, perché, da un lato manifestamente infondato, pretendendosi
dalla Consulta una pronuncia chiaramente additiva, volta ad anticipare al 2 gennaio
2000 l’efficacia della riapertura dei termini per la proposizione dell’istanza di
ammissione al giudizio abbreviato, dall’altro è irrilevante nel caso specifico, dal
momento che il procedimento è stato trattato in dibattimento e che non è
consentito, come già detto, porre in discussione in sede esecutiva, per gli effetti
preclusivi del giudicato, la decisione negativa assunta dal giudice della cognizione.
Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile con la conseguente condanna
del proponente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di

6- ‘

decisione di non ammissione al rito alternativo.

colpa insiti nella proposizione di impugnazione di tale tenore, della somma che si
stima equa di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 16 aprile 2015.

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