Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30645 del 16/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 30645 Anno 2015
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
GATTO GIUSEPPE N. IL 18/04/1969
avverso l’ordinanza n. 1351/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 20/06/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 16/04/2015

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa il 20 giugno 2014 il Tribunale di Sorveglianza di Roma
rigettava il reclamo proposto da Giuseppe Gatto – detenuto in espiazione dì pena
per vari reati di criminalità organizzata e sottoposto a custodia cautelare – avverso
il decreto del Ministro della Giustizia, con il quale, ex art. 41 bis ord. pen., era stata
disposta la proroga per due anni della sottoposizione a regime detentivo

2. Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’indagato
a mezzo del suo difensore, il quale ne ha denunciato l’illegittimità per:
a) violazione di legge e difetto di motivazione in riferimento alle doglianze, proposte
col reclamo, circa l’assenza di congrua motivazione nel decreto ministeriale, che
deve riferirsi a fatti precisi e concreti, non a mere ipotesi o presunzioni, circa il
permanere attuale dei pericoli per l’ordine e la sicurezza pubblici; tale carenza non
è stata riscontrata dal Tribunale di Sorveglianza, il cui provvedimento incorre nei
medesimi vizi, dal momento che ripercorre le vicissitudini criminali del ricorrente e
recepisce acriticamente le informative di polizia senza indicare alcuna emergenza
sulla situazione attuale ed il pericolo concreto di collegamenti con l’associazione
criminale di appartenenza. Non ha considerato che, dopo la sua carcerazione del
2002, tale organizzazione sì era dotata di un nuovo capo, col quale egli non poteva
mantenere alcun contatto, nemmeno potenziale, che la stessa è stata disgregata
dai recenti arresti scaturiti dalla collaborazione di Gaetano Barbera, che la missiva
dall’irrilevante contenuto era risalente ad oltre tre anni orsono, che dall’arresto egli
aveva sempre mantenuto un comportamento corretto e lo stesso decorso del tempo
in regime detentivo differenziato ed il trattamento costituivano un fatto nuovo, dal
quale desumere la cessazione dei legami con l’ambiente di provenienza. Pertanto, il
mantenimento della sospensione del regime detentivo ordinario trova giustificazione
soltanto nella tipologia di reati commessi e non già in nuove acquisizioni probatorie.
b)

Vizio di motivazione in relazione alla legittimità delle singole regole di

trattamento sospese; in passato il Tribunale di Sorveglianza aveva recepito il
reclamo contro il primo decreto applicativo e ritenuto che due colloqui mensili con i
familiari e la fruizione di due pacchi mensili e due pacchi annuali straordinari
fossero compatibili con le esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Ebbene, il decreto confermato con il provvedimento contestato ha modificato tali
prescrizioni sebbene in precedenza il comportamento del ricorrente e dei familiari
fosse stato ineccepibile senza che il Tribunale avesse speso alcuna motivazione sul
punto.
Considerato in diritto

1

differenziato.

L’impugnazione è inammissibile, perché basata su motivi non consentiti dalla
legge nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondati.
1. L’art. 41 bis della legge n. 354 del 1975, sostituito dall’art. 2 della legge 23
dicembre 2002 n. 279, stabilisce la possibilità di sospendere, in tutto o in parte, le
regole del trattamento nei confronti dei soggetti condannati per taluno dei delitti ivi
menzionati allorchè ricorrano “elementi tali da far ritenere la sussistenza di
collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva”. Secondo

28/09/2005, Emmanuello, rv. 232684; sez. 1, n. 46013 del 29/10/2004, P.G. in
proc. Foriglio, rv. 230136) con orientamento, cui si ritiene di dover aderire, la
chiara formulazione della norma indica che, per il riconoscimento di detta
condizione e diversamente da quanto richiesto per formulare un giudizio di
responsabilità “al di là di ogni ragionevole dubbio”, non debba essere dimostrata in
termini di certezza la sussistenza dei detti collegamenti, essendo necessario e
sufficiente che essa possa essere ragionevolmente ritenuta probabile sulla scorta
dei dati conoscitivi acquisiti. E tra le fonti di informazione valutabili a tal fine
rientrano sicuramente gli elementi, ricavabili dalla pendenza o dalla definizione con
provvedimento irrevocabile di procedimenti per altri delitti di criminalità
organizzata, come ricorre nel caso, circostanze non contestate col ricorso.
1.1 Va altresì ricordato che l’ambito del sindacato devoluto alla Corte di
Cassazione è stabilito dal comma 2-sexies del novellato art. 41-bis, a norma del
quale il Procuratore generale presso la Corte d’appello, l’internato o il difensore
possono proporre, entro dieci giorni della sua comunicazione, ricorso per cassazione
avverso l’ordinanza del Tribunale unicamente per dedurre il vizio di violazione di
legge.
1.2 La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge va intesa
nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che
all’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di
motivazione, dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali la
motivazione stessa risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza,
completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o
assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di
merito per ritenere giustificata l’adozione del provvedimento, ovvero quando
l’apparato argomentativo sia talmente scoordinato e carente nei suoi passaggi logici
da far rimanere ignote o non comprensibili le ragioni che hanno giustificato la
decisione (Sez. Un. 28/5/2003, ric. Pellegrino, rv. 224611; Sez. I, 9/11/2004, ric.
Santapaola, rv. 230203; Sez. 1, n. 449 del 14/11/2003, Ganci, rv. 226628).
1.3 E’, invece, da escludere che la violazione di legge possa ricomprendere il
vizio di illogicità o contraddittorietà della motivazione dedotto dal ricorrente, che
2

quanto già rilevato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. 1, n. 39760 del

sotto questo profilo, non può evidentemente trovare ingresso in questa sede.
2. Ciò premesso, è destituita di qualsiasi fondamento la doglianza che assume
l’assoluta carenza di motivazione: al contrario, prendendo spunto dagli elementi
informativi, desunti dall’annotazioni di p.g. e dalle vicende accertate nei
procedimenti penali riguardanti la cosca mafiosa insediata nel quartiere messinese
Giostra, il Tribunale ha giustificato il giudizio espresso in ordine alla qualificata ed
attuale pericolosità del detenuto ed alla sua perdurante capacità di mantenere

argomentazioni difensive non fossero idonee a smentire il mantenimento in vita e
l’attuale capacità criminale di tale organizzazione in ragione della dimostrata
perdurante operatività e del compimento recente, tra 2012 e 2013, di azioni di
rilevante gravità, della qualificata posizione già assunta dal ricorrente nel suo
contesto, avendo svolto il ruolo di collaboratore del capo Luigi Galli e poi di
dirigente in suo luogo nel periodo successivo alla sua carcerazione, del suo
contributo determinante all’adozione ed attuazione di azioni omicidiarie.
In tal modo ha esternato in modo chiaro, preciso e razionale le ragioni della
decisione e la ritenuta possibilità che il ricorrente, pur in costanza della propria
detenzione, se ammesso al regime ordinario, possa riallacciare rapporti con altri
sodali in libertà e veicolare ordini loro indirizzati. In tal senso depongono la sua
lunga militanza, risalente agli anni ottanta del secolo scorso, il prestigio criminale
conseguito, la lunga carriera delinquenziale, la piena attività del sodalizio, tutti
elementi indicativi della concretezza ed attualità del pericolo di ripristino di
comunicazioni e contatti con quanti ancora liberi.
2.1 Deve dunque concludersi che il Tribunale, con motivazione idonea ad
assolvere alla sua funzione ed effettiva, ha valorizzato elementi particolarmente
significativi, concreti perché basati su dati di fatto accertati, sui quali ha fondato il
giudizio di piena legittimità del decreto ministeriale con tutte le limitazioni ivi
previste, offrendo congrua risposta alle censure mosse col reclamo e gli altri atti
difensivi.
2.2 Va soltanto aggiunto che questa Corte non può tenere conto delle
circostanze rappresentate con la seconda doglianza, attinenti a vizi motivazionali
non deducibili nel giudizio di legittimità, mentre il Tribunale ha ritenuto congrue e
giustificate anche le singole limitazioni imposte perché funzionali a ridurre i consueti
canali di collegamento rappresentati dai contatti con familiari e compagni di
detenzione, necessari al mantenimento di una posizione di potere dominante.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di
esonero – al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende,
congruamente determinabile in € 1.000,00.

3

contatti con l’associazione criminale di appartenenza. Ha quindi ritenuto che le

P. Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di C 1.000,00 (mille) in favore della
Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 16 aprile 2015.

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