Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30643 del 16/04/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 30643 Anno 2015
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: BONI MONICA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
MINARDI GIUSTO N. IL 04/02/1967
avverso l’ordinanza n. 74499/2012 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di PALERMO, del 07/07/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;

Data Udienza: 16/04/2015

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa il 7 luglio 2014 il G.I.P. del Tribunale di Palermo,
deliberando in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava per carenza dei
presupposti applicativi l’istanza proposta da Giusto Minardi, volta ad ottenere
l’unificazione per continuazione dei reati giudicati con le sentenze di condanna
indicate nell’istanza.

l’interessato a mezzo del difensore, chiedendone l’annullamento per violazione di
legge e vizio di motivazione per travisamento del fatto, in quanto il giudice
dell’esecuzione, sulla scorta di un’erronea considerazione dei dati disponibili, ha
escluso la prova che la commissione di condotte giudicate fosse riconducibile al
medesimo disegno criminoso; in particolare, non ha considerato che la sentenza del
2/10/2012 aveva ad oggetto anche condotte commesse il 19/2/2009 e che nel
procedimento definito con sentenza del 6/11/2012 era emerso che i fatti di cessione
di stupefacenti erano stati posti in essere anche in precedenza rispetto alla data
dell’accertamento, col conseguente ridimensionamento del lasso temporale
intercorso tra i reati giudicati con le due pronunce, che non era più pari a tre anni,
come ritenuto dal G.I.P. nell’ordinanza impugnata.

Considerato in diritto

L’impugnazione è inammissibile perché basata su motivi manifestamente
infondati.
1.L’ordinanza impugnata ha correttamente rilevato e giustificato con
compiutezza e logicità argomentativa la ritenuta insussistenza del medesimo
disegno criminoso, accomunante tutti i reati indicati nell’istanza del ricorrente; ha
rilevato la notevole distanza temporale, pari a circa tre anni, tra le prime condotte
giudicate e le restanti e ritenuto insufficiente la similitudine di comportamenti
criminosi, l’identità di oggetto materiale e di luogo dello spaccio e ciò in
considerazione del fatto che, trattandosi di cessioni al dettaglio, le relative
determinazioni erano state assunte in modo estemporaneo al di fuori di una unitaria
programmazione ed ideazione. Ha dunque concluso che le violazioni accertate
costituivano disparate iniziative delittuose, prive di un legame unitario rapportabile
all’istituto della continuazione.
1

eve quindi riscontrarsi la presenza di motivazione adeguata, logica,

rispettosa del parametro normativo di riferimento, tale da resistere alle censure
formulate col ricorso, ove si consideri che il giudice dell’esecuzione, nell’escludere la
configurabilità della continuazione, ha valorizzato con plausibili argomentazioni
1

2. Avverso l’indicato provvedimento, ha proposto ricorso per cassazione

elementi oggettivi e non ha affatto ignorato le deduzioni dell’istante anche
riguardanti i profili accomunanti gli episodi.
1.2 In tal modo il giudice di merito ha offerto puntuale applicazione in punto
di diritto all’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale
anche l’identità del bene giuridico violato ed il lasso temporale intercorso fra le
varie condotte -in questo caso non prossimo, ma ben distanziato, anche alla luce
delle deduzioni difensive, essendo comunque pari ad oltre due anni- costituiscono

iniziale programma in vista di uno scopo determinato, ricomprendente le singole
violazioni, che costituisce l’indefettibile presupposto per il riconoscimento della
continuazione.
Per contro, il ricorso ripropone le tematiche già sottoposte al giudice
dell’esecuzione e richiama il possibile avvicinamento tra gli episodi senza però poter
dimostrare un’effettiva continuità operativa e la loro riconduzione ad un progetto
unitario, anziché ad uno stile di vita improntato a ricavare proventi dal traffico di
droga al dettaglio. Non sussiste dunque né violazione di legge, né travisamento
delle risultanze probatorie.
Il ricorso va dichiarato inammissibile con la conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa
insiti nella proposizione di impugnazione di tale tenore, della somma che si stima
equa di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2015.

aspetti da soli insufficienti ad offrire dimostrazione dell’esistenza di quell’unico

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