Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3059 del 27/11/2012


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3059 Anno 2013
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: FRANCO AMEDEO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da Carbone Angela, nata a Taurianova 1’11.1.1971,
Larosa Antonio, nato a Taurianova il 19.6.1982, e da Larosa Giuseppe, nato a
Taurianova il 15.4.1978;
avverso la sentenza emessa il 20 dicembre 2011 dalla corte d’appello di
Reggio Calabria;
udita nella pubblica udienza del 27 novembre 2012 la relazione fatta dal
Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale
dott. Mario Fraticelli, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
Svolgimento de/processo
Con sentenza 7.2.2011 il Gup del tribunale di Palmi dichiarò Carbone
Angela, Larosa Antonio e Larosa Giuseppe colpevoli di alcuni reati di cui
all’art. 73, quinto comma, d.p.R. 309 del 1990, per spaccio e detenzione a fine
di spaccio di sostanze stupefacenti ed i primi due anche dei reati di lesioni personali e di resistenza a pubblico ufficiale, condannandoli alle pene ritenute di
giustizia.
A seguito di appello del PG e degli imputati, la corte d’appello di Reggio
Calabria, assolse gli imputati dal reato di cui al capo V) perché il fatto non sussiste; confermò la dichiarazione di responsabilità per i reati di cui ai capi Q),
A4), A5), A6), A8) nonché ai capi A) e B) del decreto di giudizio immediato del
5,8,2010; escluse l’attenuante del fatto lieve di cui all’art. 73, quinto comma,
d.p.R. 309 del 1990; concesse le attenuanti generiche a Carbone Angela e Larosa Giuseppe, e rideterminò la pena in anni 5 di reclusione ed € 20.000,00 di
multa per Larosa Antonio, in anni 3 e mesi 4 di reclusione ed € 16.000,00 di
multa per Carbone Angela; e in anni 3 di reclusione ed E 14.000,00 di multa pe

Ajur

Data Udienza: 27/11/2012

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Larosa Giuseppe, oltre pene accessorie.
Carbone Angela propone personalmente ricorso per cassazione deducendo:
1) erronea applicazione dell’art. 73, quinto comma, d.p.R. 309 del 1990.
Osserva che mentre il giudice di primo grado aveva riconosciuto l’attenuante attraverso una valutazione del fatto nella sua complessità e non limitandosi ad una
valutazione atomistica, la corte d’appello ha erroneamente parcellizzato le emergenze.
2) mancanza di motivazione in relazione ai capi A4) e A5) della imputazione. Lamenta che la corte d’appello non ha dato nessuna risposta alle specifiche censure proposte con la impugnazione in ordine a detti capi, accumulando
in motivazione tutti i capi da A4) a A8). Manca quindi la motivazione relativamente ai singoli episodi contestati di acquisto di sostanza stupefacente.
3) manifesta illogicità della motivazione in ordine al capo Q). Osserva che
l’accusa è fondata su intercettazioni ambientali, il cui contenuto però non ha i
necessari connotati di chiarezza, decifrabilità dei significati, assenza di ambiguità. Inoltre, proprio dal contenuto di una frase riportata dalla sentenza impugnata
si evince chiaramente semmai che la droga era destinata ad uso di gruppo o alla
codetenzione con altri soggetti in vista di successiva assunzione comune.
L’avv. Guido Contestabile, per conto degli imputati Larosa Antonio e
Larosa Giuseppe, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
Lamenta, in particolare, che in relazione al capo Q) la corte d’appello non ha in
sostanza motivato sulla eccezione secondo cui in realtà si trattava di uso di
gruppo e di codetenzione della sostanza stupefacente. La corte d’appello, attraverso un travisamento del fatto, ha in maniera manifestamente illogica escluso
la codetenzione per la ragione che il soggetto terzo non era menzionato al momento dell’acquisto. Al contrario dalle conversazioni emergeva che gli intercettati erano consapevoli dell’identità del soggetto terzo e presunto detentore della
droga appena acquistata. Lamenta poi che la sentenza impugnata ha totalmente
ignorato le argomentazioni difensive in ordine ai reati di cui ai capi da A4) ad
A8), limitandosi a riportare ampi stralci della sentenza di primo grado e ad offrire poche e generiche considerazioni sebbene si tratti di ben cinque capi di imputazione. In particolare sono state ignorate le censure relative alla mancanza di
prova di incontri realmente avvenuti con il fornitore di droga, al fatto che non si
facesse mai cenno al prezzo pattuito, alla possibilità che si trattasse di acquisti a
titolo personale. Fra l’altro, è stato omesso di esaminare le eccezioni di Larosa
Giuseppe sulla sua responsabilità per i capi A6) ed A7), sicché la sentenza impugnata incorre sul punto in palese mancanza di motivazione. Lamenta inoltre
vizio di motivazione sulla esclusione della attenuante di cui all’art. 73, quinto
comma, d.p.R. 309 del 1990, che invece il giudice di primo grado aveva riconosciuto anche perché si trattava al massimo di droga a mezzo tra l’uso personale e
la destinazione allo spaccio. La corte d’appello ha escluso l’ipotesi attenuata per
la sussistenza in capo a Larosa Antonio di diversi precedenti penali, senza però
considerare la incensuratezza degli altri imputati. Inoltre la quantità era modesitv
a
e la qualità scadente.

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2) mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla determinazione della pena ed alla mancata concessione delle attenuanti generiche a
Larosa Antonio.
Motivi della decisione
Ritiene il Collegio che i ricorsi si risolvono in censure in punto di fatto
della decisione impugnata, con le quali si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità, e sono comunque manifestamente infondati in
quanto la sentenza impugnata ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulla responsabilità degli imputati per i reati in questione e sulla qualificazione giuridica dei fatti.
Ed invero, quanto al reato di cui al capo Q), la corte d’appello ha motivatamente osservato che dalla conversazione intercettata in questione si evinceva
con assoluta chiarezza che Antonio Larosa aveva ricevuto da Rocco Carbone
due distinti involucri, uno dei quali era destinato ad una terza persona, che sia il
Larosa sia il Carbone pensavano di poter ulteriormente rifornire già l’indomani,
mentre Angela Carbone suggeriva di tenere per sé la droga da consegnare.
E’ sufficiente sul punto ricordare che, secondo la costante giurisprudenza
di questa Corte, «In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni,
l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche
quando sia criptico o cifrato, è questione di fatto rimessa all’apprezzamento del
giudice di merito e si sottrae al giudizio di legittimità se la valutazione risulta
logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate» (Sez. VI, 8.1.2008, n.
17619, Gionta, m. 239724); e «In sede di legittimità è possibile prospettare una
interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero
nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo dif:
forme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile» (Sez.
VI, 8.3.2012, n. 11189, Asaro, m. 252190).
La sentenza impugnata ha poi motivatamente ritenuto che nel caso in esame doveva escludersi qualsiasi ipotesi di uso di gruppo perché mancava qualsiasi informazione sia sull’identità del mandante (sicché non vi era la prova che
vi fosse un mandante), sia sui termini dell’accordo intercorso, sia sulla fornitura
della relativa provvista, sia sulle modalità dell’assunzione. Da ciò la corte ha
logicamente desunto che non vi era la prova della omogeneità teleologica della
condotta del procacciatore rispetto allo scopo degli altri componenti del gruppo,
tale da impedire che il primo si ponesse in rapporto di estraneità e quindi di diversità rispetto ai secondi, con conseguente impossibilità di connotare la sua
condotta come cessione.
Quanto ai reati di cui ai capi da A4) ad A8), relativi al reiterato e continuativo acquisto da parte degli odierni ricorrenti di marijuana fornita da Martino Rettura tra il 7 e il 25 aprile 2010, oltre alla attività di spaccio compiuta nei
mesi di marzo e aprile, la corte d’appello ha osservato che era stata fornita la
prova certa: – che Larosa Antonio e Carbone Angela si erano recati più volte
presso l’abitazione del Rettura per prelevare stupefacente per circa un chilogrammo a settimana; – che in tutti questi reati vi era stato il concorso anche di

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Larosa Giuseppe, perché lo stupefacente veniva confezionato in piccole dosi
presso la casa paterna dei Larosa e poi avviato allo spaccio grazie alla fattiva
collaborazione di Larosa Giuseppe, incaricato, tra l’altro, della consegna agli
acquirenti e della riscossione del prezzo; – che in ordine a questi episodi erano
particolarmente significative le intercettazioni ambientali del 13 e del 25 aprile
2010. La corte d’appello ha altresì osservato: – che dal complesso degli elementi
di prova ed indiziari, considerati unitariamente, era risultato provato, al di là di
ogni ragionevole dubbio, che i contatti con il Rettura erano funzionali ad operazioni di fornitura realmente verificatesi; – che la droga di cui i primi due erano
venuti in possgsso era stata di volta in volta destinata allo spaccio grazie anche
alla costante, consapevole ed utile collaborazione di Giuseppe Larosa; – che anche il ruolo svolto da Angela Carbone era stato tutt’altro che marginale, avendo
la stessa offerto un notevolissimo supporto sia sul piano materiale sia su quello
morale; – che le modalità operative ed i legami anche familiari fra i tre consentivano di ascrivere a tutti e tre la responsabilità per i singoli reati di acquisto,
detenzione e cessione delle sostanze stupefacenti e che comunque gli altri due
avevano anche rafforzato il proposito criminoso di Antonio Larosa.
Quanto infine alla attenuante di cui all’art. 73, quinto comma, d.p.R. 309
del 1990, la corte d’appello ha congruamente ritenuto che la stessa doveva essere esclusa innanzitutto in considerazione del dato obiettivo della droga sequestrata il 25 aprile 2010 (che, per la quantità di principio attivo contenuto nella
marijuana, sufficiente alla confezione di 206 dosi singole, era incompatibile con
l’attribuzione al fatto di una ridotta offensività) nonché del fatto che gli imputati avevano dato vita ad un commercio abbastanza intenso, anche se
dall’altalenante andamento economico, tanto da divenire nel bimestre punto di
riferimento di numerosi consumatori, occupando una significativa porzione del
mercato locale e stabilendo contatti con più fornitori e per sostanze di tipo diverso. Inoltre, mentre gli acquisti di cocaina erano almeno in parte destinati ad
un uso personale, quelli di marijuana avevano uno scopo propriamente commerciale.
In conclusione, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili per manifesta infondatezza dei motivi.
In applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna di ciascun
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che
possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in 1.000,00.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 27
novembre 2012.

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