Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30573 del 20/05/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 30573 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
– VASSALLO GINO, n. 3/12/1944 a PADOVA

avverso la sentenza della Corte d’appello di VENEZIA in data 12/11/2012;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. F. Baldi, che ha chiesto l’annullamento senza rinvio
dell’impugnata sentenza per estinzione del reato per prescrizione;
udite, per il ricorrente, le conclusioni dell’Avv. G. Castellani, che ha chiesto
accogliersi il ricorso;

Data Udienza: 20/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. VASSALLO GINO ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello
di VENEZIA, emessa in data 12/11/2012, depositata in data 26/11/2012, che, in
parziale riforma della sentenza del Tribunale di PADOVA del 22/07/2011, con cui
il ricorrente veniva condannato per il reato di cui all’art. 44, lett. b), d. P.R. n.

concorso di attenuanti generiche (fatto contestato come accertato il
28/08/2008), disponeva la revoca del disposto ordine di demolizione.

2. Con il ricorso, proposto dal difensore fiduciario cassazionista, vengono dedotti
complessivamente tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente
necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con un primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. c) c.p.p., in
relazione all’ordinanza dibattimentale emessa il 12/11/2012 dalla Corte d’appello
con cui è stata rigettata l’eccezione di nullità della notifica del decreto di
citazione per il giudizio di appello nonché la manifesta illogicità e
contraddittorietà della motivazione in relazione agli atti indicati.
La notifica di tale decreto per il giudizio di appello era stata eseguita ai sensi
dell’art. 161 c.p.p. presso il difensore attesa l’irreperibilità al domicilio di via
Beato Pellegrino n. 8 di Padova, domicilio indicato nell’atto di nomina del
difensore, depositata al GIP il 3/12/2008; sostiene la difesa la nullità di tale
notifica in quanto da almeno altri due atti cronologicamente successivi risultava
l’effettivo domicilio del ricorrente in Padova, Riviera San Benedetto n. 27 (il
riferimento è al verbale di spontanee dichiarazioni alla polizia municipale, datato
10/07/2009, nonché al verbale di sequestro preventivo dell’immobile, eseguito il
16/07/2009); in sede di appello, la difesa aveva altresì precisato che altri atti
attestavano la conoscenza da parte degli uffici procedenti dell’indirizzo del
ricorrente (il riferimento è al certificato di residenza del 27/07/2009 nonché
l’originale del decreto di citazione a giudizio per l’udienza davanti al primo
giudice del 18/03/2011, in cui era stato corretto a mano dal cancelliere l’indirizzo
con quello di Riv. S. Benedetto 27).
L’ordinanza impugnata, sarebbe errata sotto un duplice profilo: a) la
dichiarazione resa alla PG in sede di notifica del sequestro preventivo costituisce
certamente dichiarazione di domicilio, sicchè si doveva procedere alle notifiche
presso il domicilio dichiarato, donde solo dopo che tale domicilio non fosse
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380/2001 alla pena di mesi 1 di arresto ed C 9.000,00 di ammenda, con il

risultato più attuale o inesistente, poteva eseguirsi la notifica presso il difensore;
b) il richiamo contenuto nell’ordinanza all’art. 157, comma 8-bis c.p.p. è
improprio, non avendo la Corte territoriale nemmeno tentato di notificare il
decreto all’indirizzo successivamente indicato. Peraltro, si osserva, curiosa è la
circostanza che la notifica dell’estratto contumaciale della sentenza sia stato
notificato presso il difensore, senza tentare alcuna notifica all’indirizzo di Riv.

2.2. Deduce, con un secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. c) c.p.p., in
relazione alla nullità della sentenza di primo grado per difetto di correlazione con
la contestazione, ex art. 521 e 522 c.p.p.
La sentenza di primo grado avrebbe condannato il ricorrente per fatto diverso da
quello contestato (aver creato un’unità abitativa autonoma anziché per aver
realizzato nei locali una trasformazione dimensionale e distributiva con opere
strutturali e di finitura preordinata all’uso abitativo); la motivazione con cui la
Corte territoriale respinge l’eccezione sarebbe apparente e priva di contenuto
logico – giuridico.

2.3. Deduce, con un terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e) c.p.p., sotto
il profilo della mancanza e contraddittorietà della motivazione.
I giudici avrebbero valutato in maniera “ostile” il quadro probatorio, non
fornendo alcuna motivazione che consenta, ad oggi, di individuare quale sarebbe
stata la trasformazione dimensionale e distributiva né le opere strutturali
attraverso cui sarebbe stata edificata un’unità abitativa autonoma, con violazione
delle norme urbanistiche; la Corte territoriale si sarebbe limitata a ribadire
quanto affermato dal primo giudice, incorrendo nel medesimo travisamento di
fatto, qualificando come istanza di sanatoria ciò che in realtà era un’autonoma
domanda di p.d.c. sul preesistente; il procedimento logico – giuridico che ha
indotto la Corte a ritenere l’autonomia dei locali sottotetto il giudice non darebbe
contezza, se non un generico riferimento al grado di finitura dei locali stessi, ciò
contrastando con quanto risultante dal catasto, in cui i locali sono censiti come
accessori dell’appartamento sottostante; non essendovi stato alcun uso
autonomo di detti locali, il processo si sarebbe risolto in un “processo alle
intenzioni”, in quanto solo l’aumento del carico urbanistico avrebbe potuto
impedire la successiva regolarizzazione, ma tale aumento non si sarebbe mai
verificato non essendovi prova in atti che consenta di ritenere che un soggetto si
sia insediato nei locali sottotetto; il successivo rilascio della concessione edilizia,
intervenuta prima del processo avrebbe determinato il venir meno dei reati
3

San Benedetto 27 in Padova.

stessi; inoltre, il successivo accorpamento con atto notarile non sarebbe stato
necessario perché lo status giuridico degli spazi realizzati era pacificamente
residenziale, come l’appartamento sottostante di cui erano ab origine accessori.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Ed invero, quanto al primo motivo di ordine processuale, l’ordinanza emessa il
12 novembre 2012 da atto della ritualità della notifica del decreto di citazione
per il giudizio di appello eseguita nelle forme dell’art. 161, comma quarto, cod.
proc. pen.

resso il difensore, ciò a seguito dell’irreperibilità nel domicilio

dichiarato nell’atto di nomina del 3 dicembre 2008.
La decisione assunta dalla Corte territoriale è pienamente legittima, atteso che,
come già affermato da questa Corte, è legittima la notifica del decreto di
citazione per il giudizio d’appello presso il difensore in ragione dell’impossibilità
di procedere presso il domicilio dichiarato, pur se agli atti risulti la nuova
residenza indicata dallo stesso imputato, nel caso in cui questi non ne abbia fatto
oggetto di espressa comunicazione per la variazione del domicilio (Sez. 2, n.
31056 del 13/05/2011 – dep. 04/08/2011, Baku, Rv. 251022, relativa a
fattispecie, assimilabile a quella in esame, nella quale è stata ritenuta legittima
la notifica presso il difensore, pur avendo l’imputato, nella nomina di un nuovo
difensore, dichiarato di risiedere in altro luogo, senza, però, manifestare la
volontà di variare il domicilio precedentemente indicato ai fini delle notificazioni;
conforme: Sez. 6, n. 9723 del 17/01/2013 – dep. 28/02/2013, Serafino, Rv.
254693).

5. Quanto, poi, al secondo motivo di ricorso, con cui si deduce la nullità della
sentenza per difetto di contestazione, la Corte d’appello rigetta l’eccezione con
motivazione del tutto congrua e condivisibile. Ed invero, sia la decisione che
l’imputazione riguardano l’esecuzione di opere edilizie, nello stato accertato con
sopralluogo in data 25 agosto 2008, sotto il profilo della realizzazione di unità ad
uso abitativo, laddove il titolo autorizzativo riguardava la realizzazione di locali
accessori. Del resto, osserva il Collegio, la contestazione mossa ricomprendeva
in sé l’asserito mutamento del titolo, trattandosi di modifica di destinazione
d’uso, per la quale pacificamente è necessario il preventivo rilascio del permesso
di costruire.

4

3. Il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.

E’ stato infatti più volte, ed anche di recente ribadito, da questa stessa Sezione
che la destinazione abitativa di un sottotetto, che secondo gli strumenti
urbanistici aveva soltanto una funzione tecnica, costituisce mutamento di
destinazione d’uso per il quale è necessario il rilascio preventivo del permesso di
costruire, atteso che la variazione avviene tra categorie non omogenee (Sez. 3,
n. 17359 del 08/03/2007 – dep. 08/05/2007, P.M. in proc. Vazza, Rv. 236493).

Ed invero, non è ravvisabile alcun vizio motivazionale nell’impugnata sentenza,
avendo chiarito la Corte territoriale le ragioni per le quali le opere edilizie fossero
state eseguite in violazione del titolo abilitativo originario (v., in particolare, le
pagg. 6/7 dell’impugnata sentenza). Si evidenzia, in particolare, che i lavori
compiuti sono consistiti nel dotare il piano sottotetto di tutti i servizi idonei a
renderlo unità immobiliare abitativa autonoma; la realizzazione della cucina e dei
servizi igienici, con la relativa impiantistica, integrava la realizzazione di un’unità
abitativa autonoma e, quindi, una ristrutturazione edilizia, in difformità dal
contenuto del permesso di costruire. Né, peraltro, si sottolinea in sentenza,
rileva l’avvenuta presa d’atto da parte del Comune del fatto che il piano
sottotetto era stato oggetto di vincolo di pertinenzialità all’alloggio posto al piano
inferiore. L’atto di vincolo redatto con atto pubblico e, quindi, iscritto al Catasto,
rende il sottotetto parte dell’alloggio sottostante, ciò impedendo in radice la
trasformazione in abitazione autonoma, con esclusione pertanto di qualsiasi
sanatoria dell’intervento edilizio che aveva reso il sottotetto un’abitazione
autonoma.
Deve qui essere ricordato che il mutamento di destinazione d’uso realizzato
attraverso l’esecuzione di lavori, anche di modesta entità, configura una ipotesi
di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3, comma primo lett. d), d.P.R. 6
giugno 2001 n. 380, atteso che comporta la creazione di un organismo edilizio in
tutto o in parte diverso dal precedente (Sez. 3, n. 39860 del 17/10/2006 – dep.
01/12/2006, Pompili, Rv. 235404).
In definitiva, dunque, le censure mosse con il terzo motivo si risolvono
nella manifestazione di un dissenso del ricorrente sulla valutazione della prove
operata dalla Corte d’appello. Nemmeno il riferimento al carico urbanistico è
pertinente, atteso che ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 44, lett.
b), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 in caso di mutamento di destinazione d’uso
edilizio per difformità totale delle opere rispetto al titolo abilitativo,
l’individuazione della precedente destinazione d’uso non si identifica con l’uso
fattone in concreto dal soggetto utilizzatore, ma con quella impressa dal titolo
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6. Parimenti inammissibile, infine, è il terzo motivo.

abilitativo assentito, in quanto il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente
rilevante è solo quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista
urbanistico (Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009 – dep. 05/03/2009, Tarallo, Rv.
243100).

7. Solo per completezza, attesa la richiesta del Procuratore Generale di udienza,
va in questa sede precisato che la prescrizione si è effettivamente maturata alla

impedisce a questa Corte di rilevare detta causa di estinzione del reato, essendo
la prescrizione maturata in data successiva alla sentenza d’appello, emessa,
come detto, in data 12 novembre 2012.
L’accertata inammissibilità del ricorso, dovuta alla manifesta infondatezza dei
motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e
preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità
a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (per tutte, v. Sez. U, n. 32 del 22/11/2000
– dep. 21/12/2000, De Luca, Rv. 217266).

8.

Il ricorso dev’essere, dunque, dichiarato inammissibile. Segue, a norma

dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della
Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma che si stima
equo fissare, in euro 1000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 20 maggio 2014

Il C siglie

est.

Il Presidente

data del 28 agosto 2013; tuttavia, la manifesta infondatezza del ricorso,

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