Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30572 del 20/05/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 30572 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
– DE MARCO MICHELE, n. 1/09/1951 a TRENTOLA DUCENTA

avverso la sentenza del tribunale di SANTA MARIA CAPUA VETERE, sez. dist.
AVERSA in data 27/03/2012;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. F. Baldi, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;

Data Udienza: 20/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. DE MARCO MICHELE ha proposto ricorso avverso la sentenza del tribunale di
SANTA MARIA CAPUA VETERE, sez. dist. AVERSA, emessa in data 27/03/2012,
depositata in data 18/09/2012, con cui il ricorrente veniva condannato per il
reato di cui all’art. 5, lett. b) e d), legge n. 283/1962 alla pena di C 1.000,00 di

2. Con il ricorso, proposto personalmente dall’imputato, vengono dedotti tre
motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione
ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c) ed e)
c.p.p., in relazione all’art. 192 c.p.p., all’art. 5 ed all’art. 6, legge n. 283/1962.
La censura investe l’impugnata sentenza per aver ritenuto il ricorrente
responsabile del reato ascritto in base alle dichiarazioni dell’unico teste escusso
in dibattimento; il giudice di merito avrebbe omesso di valutare gli elementi
emersi nel corso dell’istruttoria, incorrendo in difetto di motivazione per
omissione; dall’istruttoria è emerso che le carni erano state trovate in un
laboratorio di sezionamento e non in un locale commerciale per essere vendute;
difetterebbe la prova che le carni fossero vendute o detenute per la vendita, in
quanto si trovavano in luogo diverso dall’esercizio commerciale adibito alla
vendita di carne; la circostanza che il ricorrente svolgesse l’attività di macellaio
non costituiva elemento da cui desumersi inequivocabilmente che le carni suine
ritrovare nel laboratorio fossero destinate alla vendita; le carni ben potevano
costituire semplici avanzi, di cui il ricorrente intendeva disfarsi.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c.p.p., in
relazione all’art. 157 c.p.
Si eccepisce, in ogni caso, l’intervenuta estinzione per prescrizione del reato,
maturata il 29/06/2012.

2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c) ed e)
c.p.p., in relazione all’art. 163 c.p., all’art. 5 e all’art. 6, legge n. 283/1962.
La censura investe infine la sentenza impugnata per aver il giudice irrogato una
pena eccessivamente severa; il giudice avrebbe dovuto concedere le attenuanti
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ammenda (fatto contestato come commesso il 29/06/2007).

generiche, ma non ha spiegato le ragioni per cui non potessero essere
riconosciute dette attenuanti o i benefici di legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.

4. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Ed invero, la sentenza impugnata spiega adeguatamente perché era evidente
che la cerne fosse detenuta per la vendita; il ricorrente svolge l’attività di
macellaio, e la carne era stata rinvenuta nel laboratorio di sezionamento annesso
all’esercizio commerciale.
E’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che l’art. 5 lett. b) della legge 30
aprile 1962 n. 283 sancisce il divieto di detenere per la vendita o comunque
distribuire per il consumo prodotti destinati ad uso alimentare che si trovino in
cattivo stato di conservazione. Ai fini della sussistenza del reato, la “destinazione
per la vendita” significa non soltanto il possesso di prodotti destinati
immediatamente alla vendita, ma anche il possesso di prodotti da vendersi
successivamente. Essa indica, cioè, una relazione di fatto fra il soggetto e il
prodotto, caratterizzata semplicemente dal fine della vendita stessa, senza che
sia necessario che la merce si trovi in luoghi destinati ai consumatori. Ne
consegue che integra l’elemento materiale del reato la detenzione anche in locali
adibiti a deposito, siano essi contigui o meno a quelli di vendita, di prodotti
alimentari in cattivo stato di conservazione, destinati per la vendita o comunque
per il consumo (Sez. 6, n. 6325 del 24/02/1994 – dep. 30/05/1994, Franchini,
Rv. 198986). In altri termini, dunque, nel reato di cui agli artt. 5 e 6 legge n.
283 del 1962 la destinazione alla vendita sussiste anche nel possesso di prodotti
da vendersi successivamente e cioè, in definitiva, in una relazione di fatto tra il
soggetto ed il prodotto, caratterizzata semplicemente dal fine della vendita
stessa, senza la necessità che la merce si trovi in luoghi destinati
immediatamente alla vendita ai consumatori (Sez. 3, n. 6266 del 17/05/1996 dep. 22/06/1996, Ghigo, Rv. 205817).

5. Anche il terzo motivo di ricorso – che per priorità logica dev’essere anteposto
al secondo – si appalesa manifestamente infondato.
Ed invero, con riferimento alle invocate attenuanti generiche ed ai benefici di
legge, non risulta che il ricorrente avesse formulato apposita richiesta davanti al
giudice di merito, essendosi limitato a richiedere unicamente l’assoluzione
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k

dell’imputato (v. verbale udienza 27 marzo 2012, in cui è stata verbalizzata solo
la richiesta di assoluzione).
E’ stato, sul punto, affermato da questa Corte che il giudice di merito non è
tenuto a riconoscere le circostanze attenuanti generiche, né è obbligato a
motivarne il diniego (valendo ciò anche per la richiesta dei benefici di legge),
qualora in sede di conclusioni non sia stata formulata specifica istanza, non
potendo equivalere la generica richiesta di assoluzione o di condanna al minimo

3, n. 11539 del 08/01/2014 – dep. 11/03/2014, Mammola, Rv. 258696).

6. Quanto, infine, al secondo motivo di ricorso, va in questa sede precisato che
la prescrizione si è effettivamente maturata alla data del 14 giugno 2013 (al
termine di prescrizione massima, individuato alla data del 29 giugno 2012, va,
infatti, aggiunto il periodo di sospensione dal 12 aprile 2011 al 27 marzo 2012
per rinvio richiesto dal difensore); tuttavia, la manifesta infondatezza del ricorso,
impedisce a questa Corte di rilevare detta causa di estinzione del reato, essendo
la prescrizione maturata in data successiva alla sentenza d’appello, emessa,
come detto, in data 27 marzo 2012, dunque in data antecedente anche al
termine di prescrizione massima, pur prescindendosi dal predetto periodo di
sospensione.
L’accertata inammissibilità del ricorso, dovuta alla manifesta infondatezza dei
motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e
preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità
a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. (per tutte, v. Sez. U, n. 32 del 22/11/2000
– dep. 21/12/2000, De Luca, Rv. 217266).

7. Il ricorso dev’essere, dunque, dichiarato inammissibile. Segue, a norma
dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della
Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma che si stima
equo fissare, in euro 1000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 20 maggio 2014
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della pena a quella di concessione delle predette attenuanti o dei benefici (Sez.

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