Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30569 del 16/05/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 3 Num. 30569 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
– ERROI FLAVIO BRUNO, n. 5/04/1970 a TUGLIE

avverso la sentenza della Corte d’appello di LECCE in data 11/12/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. S.Spinaci, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udite, per il ricorrente, le conclusioni dell’Avv. R. Bongianni che cha chiesto
accogliersi il ricorso;

Data Udienza: 16/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. ERROI FLAVIO BRUNO ha proposto separati ricorsi, a mezzo del difensore
fiduciario cassazionista Avv. L. Suez ed a mezzo dell’altro difensore fiduciario procuratore speciale cassazionista Avv. R. Bongianni, avverso la sentenza della

23/12/2013, confermativa della sentenza del Tribunale di LECCE, sez. dist.
CASARANO del 1/10/2012, con cui il ricorrente veniva condannato alla pena
sospesa di mesi 6 di reclusione ed € 600,00 di multa, riconosciutegli le
attenuanti generiche; l’imputazione ascritta è relativa al delitto di omesso
versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, perché, quale legale
rappresentante della società Erroi Costruzioni e Servizi s.r.I., ometteva
reiteratamente di versare all’INPS le ritenute previdenziali ed assistenziali
operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti nei periodi indicati
nell’imputazione (da gennaio ad aprile 2007), per un ammontare complessivo di
13.186,00 euro.

2. Con il primo ricorso, proposto dal difensore fiduciario cassazionista avv. L.
Suez, vengono dedotti quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente
necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. C), c.p.p.
In sintesi, si duole il ricorrente per l’omessa notifica dei verbali di rinvio
dell’udienza all’imputato rimasto contumace; sostiene il ricorrente che, dopo la
dichiarazione di contumacia alla prima udienza, avrebbero dovuto essergli
notificati i verbali di rinvio delle udienze; ciò avrebbe determinato la violazione
del diritto di difesa, impedendogli di espletare “quegli” atti personalissimi, non
rientranti nel potere di rappresentanza del difensore.

2.2. Deduce, con un secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e) c.p.p.
In sintesi, il ricorrente lamenta la contraddittorietà della motivazione per
travisamento delle risultanze probatorie; la sentenza si fonderebbe
esclusivamente sulle dichiarazioni di un teste del PM (M. Rocco), che ha riferito
di aver rilevato dai modelli DM/10 presentati dalla ditta di aver accertato
l’omesso versamento delle ritenute; nessun accertamento documentale sarebbe
stato espletato circa l’esistenza di un saldo attivo a favore del datore di lavoro a
seguito di conguaglio tra gli importi a carico del datore di lavoro e le somme
2

Corte d’appello di LECCE, emessa in data 11/12/2013, depositata in data

anticipate; la prova dell’avvenuta comunicazione dell’accertamento non può
essere fondata su prove dichiarative ma solo documentali, difettando anche
qualsiasi verifica sul metodo utilizzato dall’organo accertatore per ritenere violata
la norma de qua.

2.3. Deduce, con un terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e) c.p.p.

essendovi prova della sussistenza dell’elemento psicologico del reato; il
ricorrente all’epoca dei fatti era creditore di enti pubblici; l’inadempimento di
questi ultimi ha determinato una grave crisi finanziaria che non gli ha consentito
di svolgere la sua attività e che è successivamente sfociata in una dichiarazione
di fallimento (sentenza che il ricorrente allega al ricorso); le difficoltà
economiche e la circostanza di aver impegnato tutti i beni personali e familiari,
su cui è stata iscritta ipoteca dalle banche, al fine di garantire i flussi finanziari
per pagare i dipendenti anche quando non vi erano commesse per l’azienda,
escludevano il dolo richiesto per la sua punibilità, atteso che in quel periodo il
credito vantato era pari a 3 min. di euro ed era stato considerato incagliato e
che, nell’aprile 2007, il ricorrente aveva eseguito un concordato con l’INPS
versando 1 min. di euro; in definitiva, quindi, omettendo qualsiasi motivazione la
sentenza impugnata sul fallimento ed emergendo lo stato di impossibilità ad
adempiere, ricorrerebbe una causa di forza maggiore.

2.4. Deduce, con un quarto motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e) c.p.p.
In sintesi, il ricorrente lamenta la contraddittorietà della motivazione, con
riferimento alla pena irrogata; il giudice avrebbe individuato come pena base una
pena di mesi 9 di reclusione, superiore al minimo edittale (erroneamente indicato
dal ricorrente in giorni uno) senza spiegarne le ragioni; non sarebbero state
considerate le censure mosse nei motivi di appello sul punto; infine, la sentenza
avrebbe ritenuto rilevante il danno di 13.000,00 provocato all’INPS, che invece,
essendo modesto, avrebbe giustificato un trattamento sanzionatorio più mite.

3. Con il secondo ricorso, proposto dal difensore fiduciario – procuratore speciale
cassazionista avv. R. Bongianni, vengono dedotti due motivi, di seguito enunciati
nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod.
proc. pen.

3.1. Deduce, con il primo, articolato, motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed
e), c.p.p.
3

In sintesi, il ricorrente lamenta la contraddittorietà della motivazione, non

In sintesi, si duole la difesa per aver la Corte territoriale ritenuto responsabile il
ricorrente in difetto di prova sull’effettiva dazione delle somme ai dipendenti,
nonostante emergesse l’assoluta impossibilità di farvi fronte versando l’azienda
in stato di decozione; la motivazione sarebbe illogica laddove ritiene raggiunta la
prova del materiale esborso delle retribuzioni ai dipendenti desumendola dal
modello DM/10, non avendo la teste provveduto a recarsi in azienda per

prova alcuna di aver il ricorrente trattenuto tali somme e, quindi, di essersi
indebitamente appropriato di una parte delle stesse; ancora, la sentenza
traviserebbe i fatti laddove afferma non esservi alcun elemento contrario, non
avendo il ricorrente dedotto alcun fatto o circostanza contraria a quella
formalmente risultante dagli accertamenti INPS (tale affermazione non
risponderebbe al vero, risultando già dall’atto di appello la situazione di illiquidità
dell’azienda).
La sentenza sarebbe, inoltre, illegittima anche nella parte in cui ritiene sussistere
l’elemento soggettivo del reato ascritto al ricorrente; la coscienza e la volontà di
trattenere le somme e di non versarle all’ente previdenziale non potrebbe
desumersi solo dall’aver inviato i modelli DM/10; inoltre, non essendovi prova
delle retribuzioni erogate, sarebbe illogica la sentenza impugnata laddove
afferma che il ricorrente ben sapeva di dover versare all’INPS quanto dichiarato
nei modelli DM/10, non essendovi, come detto, prova del pagamento delle
retribuzioni ed, anzi, essendovi la prova contraria della situazione di illiquidità
aziendale che ciò escludeva; a comprova di quanto sostenuto, rileva come i
dipendenti si sarebbero insinuati al passivo fallimentare, essendo gli stessi i
promotori dell’istanza di fallimento della società amministrata dal ricorrente, a
seguito dei decreti ingiuntivi da lui non opposti in quanto consapevole di non
aver pagato le retribuzioni, ciò che confermerebbe sia la mancanza di prova del
pagamento delle retribuzioni sia la mancanza di dolo del ricorrente; infine,
sostiene il ricorrente che, non avendo potuto provvedere al versamento per
mancanza di liquidità provocata dall’inadempienza dei suoi debitori, ricorrerebbe
nel caso in esame una situazione di “stato di necessità”, che escluderebbe la
rilevanza penale del fatto.

3.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c.p.p.
In subordine, la difesa del ricorrente chiede che, ove si ritenesse di dover
confermare la sentenza sotto il profilo della sussistenza degli elementi oggettivo
e soggettivo del reato, la stessa debba essere “riformata” sotto il profilo
dell’entità della pena.
4

accertare il materiale esborso degli stipendi ai dipendenti; non vi sarebbe, poi,

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.

4. Muovendo dall’analisi dei motivi di cui al ricorso proposto dall’Avv. Suez,
evidente è l’infondatezza manifesta del primo motivo, atteso che, una volta

rinvio non devono essere notificati all’imputato contumace; come chiarito
dall’impugnata sentenza (pag . 2), all’udienza del 31 ottobre 2011, verificata la
regolarità della citazione, in assenza di qualsiasi legittimo impedimento a
comparire, l’imputato venne dichiarato contumace nel contraddittorio delle parti.
I rinvii successivi vennero comunicati oralmente al difensore presente in udienza
(che rappresenta l’imputato contumace in base al combinato disposto degli artt.
420-quater e 48, comma 2-bs, c.p.p.), donde nessuna notifica doveva essere
eseguita al contumace. Sul punto, del tutto corretta, dunque, è la soluzione
offerta dalla Corte territoriale, soluzione rispetto alla quale il ricorrente non
svolge alcuna critica, limitandosi a replicare le medesime doglianze,
giuridicamente rigettate con motivazione giuridicamente ineccepibile dalla Corte
d’appello.
Il motivo, pertanto, oltre ad essere giuridicamente privo di qualsiasi pregio (v.,
sul punto: Sez. 3, n. 24240 del 24/03/2010 – dep. 24/06/2010, Romano, Rv.
247689), è altresì generico, atteso che, come già chiarito da questa Corte, è
inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia
generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e
ritenute infondate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano
carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla
decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n.
18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).

5. Passando ad esaminare il secondo ed il terzo motivo di ricorso dell’Avv. Suez,
unitamente al primo motivo di ricorso dell’Avv. Bongianni, che possono essere
congiuntamente trattati per l’omogeneità delle censure rivolte all’impugnata
sentenza, gli stessi non meritano miglior sorte.
Ed infatti, la prova, dal punto di vista oggettivo, della configurabilità dell’illecito
de quo è

basata dalla Corte territoriale e dalla prima sentenza (le cui

motivazioni, attesa la natura di doppia conforme, si saldano reciprocamente,
diventando un unicum inscindibile) non solo sulla deposizione del teste Rocco,
ma soprattutto sulla certificazione documentale costituita dai cc.dd. Modelli
5

ritualmente dichiarata la contumacia dell’imputato, i verbali delle udienze di

DM110, indicanti l’individuazione dei periodi cui si riferiscono le omissioni
contributive ma anche la quantificazione del loro complessivo ammontare.
Ciò è sufficiente, come più volte ribadito da questa Corte, per ritenere provato
l’illecito in esame. E’ stato, infatti, recentemente ribadito da questa stessa
Sezione che in materia di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed
assistenziali operate dal datore di lavoro, l’onere incombente sul pubblico

dipendenti è assolto con la produzione del modello DM 10, con la conseguenza
che grava sull’imputato il compito di provare, in difformità dalla situazione
rappresentata nelle denunce retributive inoltrate, l’assenza del materiale esborso
delle somme (Sez. 3, n. 7772 del 05/12/2013 – dep. 19/02/2014, Di Gianvito,
Rv. 258851).
Diversamente, rispetto alla prova fornita dal PM, la difesa del ricorrente si limita
a prospettare – in relazione al motivo di doglianza con cui si sostiene l’assenza
del dolo normativamente richiesto per la punibilità dell’agente – l’esistenza di
una crisi di liquidità; ma è la stessa Corte territoriale (pag. 3) a chiarire che il
ricorrente non ha nemmeno dedotto, ancor prima che documentato, alcun fatto
od alcuna circostanza (sospensione dell’attività lavorativa, differimento della
corresponsione delle retribuzioni ai dipendenti loro spettanti per momentanea il
liquidità, erronea compilazione dei fogli paga, etc.), indicativi di una realtà
effettiva, in punto di materiale pagamento delle retribuzioni, contraria a quella
formalmente risultante dai documenti inviati all’INPS.
Per tale ragione, chiariscono i giudici di appello, l’affermazione del ricorrente che questi si limita a replicare in questa sede di legittimità, senza operare alcun
vaglio critico alla risposta puntuale dei giudici di appello – dell’esistenza di un
conguaglio tra anticipazioni e versamenti dovuti con un saldo attivo in favore del
datore di lavoro, è da relegare a mera ipotesi astratta, priva del benché minimo
riscontro concreto, assolutamente inidonea a scalfire il quadro probatorio in atti.
Analogamente, quanto al dedotto stato di necessità od all’esistenza di una causa
di forza maggiore, la Corte territoriale chiarisce come la c.d. crisi di liquidità
dovuta all’altrui inadempimento sia rimasta solo alla stregua di una labiale
enunciazione, sfornita della seppur minima dimostrazione. Ciò appare
assolutamente in linea con la giurisprudenza, anche recente di questa Suprema
Corte, che ha infatti ribadito come il reato di omesso versamento delle ritenute
previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti
(art. 2 D.L. n. 463 del 1983, conv. in I. n. 638 del 1983) è integrato, siccome è a
dolo generico, dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, sicchè
non rileva, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, la circostanza che il datore di
6

ministero di dimostrare l’avvenuta corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori

lavoro attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte a
debiti ritenuti più urgenti (Sez. 3, n. 3705 del 19/12/2013 – dep. 28/01/2014,
P.G. in proc. Casella, Rv. 258056, relativa a fattispecie in cui questa Corte ha
annullato la sentenza impugnata, che aveva escluso il dolo per le difficoltà
economiche della società amministrata dall’imputato, desunte dai decreti
ingiuntivi e dai protesti ai quali aveva fatto seguito la dichiarazione di fallimento;

Né, osserva il Collegio, rileva quanto dedotto in sede di ricorso proposto davanti
a questa Corte. Ed invero, il richiamo alla dichiarazione di fallimento (sentenza di
cui viene allegata copia), le documentate difficoltà economiche e la circostanza
che i dipendenti siano stati i promotori del fallimento (ciò che escluderebbe
anche che le retribuzioni fossero state pagate) rappresentano, tutti, elementi che
presuppongono un accertamenti di merito, inibito in questa sede e, peraltro, per
la prima volta dedotti in sede di legittimità.
La sussistenza

di difficoltà finanziarie, il difetto della loro imputabilità

all’imprenditore, l’impossibilità di essere altrimenti fronteggiate con idonee
misure – anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale -, l’incidenza di una
dichiarazione di fallimento sull’impossibilità di adempiere all’obbligo di
versamento come anche le ragioni che indussero i dipendenti a promuovere
istanza di alimenta, sono circostanze che non possono essere dedotte per la
prima volta in sede di legittimità, poiché il loro accertamento involge un’indagine
e un apprezzamento di fatto che esulano dai compiti istituzionali della Corte di
Cassazione.

6. Quanto, poi, al quarto motivo di ricorso dell’Avv. Suez ed al secondo motivo di
ricorso dell’Avv. Bongianni, da trattarsi congiuntamente per l’identità del profilo
di censura, muovendosi con gli stessi doglianze relative al trattamento
sanzionatorio, l’infondatezza manifesta dei motivi emerge dalla stessa
motivazione dell’impugnata sentenza, in cui si da puntualmente atto che la pena
inflitta sia proporzionata e rispettosa dei criteri di cui all’art. 133 c.p., alla luce
del danno cagionato all’INPS (valutazione discrezionale rispetto alla quale,
inammissibilmente, il ricorrente chiede a questa Corte di operare un sindacato di
merito) e soprattutto dei plurimi ed anche specifici precedenti penali del reo,
oltre che del numero delle violazioni commesse.
A ciò si aggiunga, del resto, che la pena indicata come pena base, tenuto conto
dei limiti minimo e massimo previsti dalla legge, non supera il medio edittale.
Ed è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che solo l’irrogazione di una
pena base pari o superiore al medio edittale richiede una specifica motivazione in
7

conf. n. 5755/2014, non massimata).

ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall’art. 133 cod. pen., valutati ed
apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva
della pena (Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013 – dep. 04/03/2013, Monterosso,
Rv. 255153).

7. I ricorsi proposti nell’interesse dell’ERROI devono essere, dunque, dichiarati

al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di
esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione
pecuniaria, di una somma che si stima equo fissare, in euro 1000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 16 maggio 2014

Il Consigliere est.

Il Presidente

inammissibili. Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA