Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30568 del 16/05/2014

Penale Sent. Sez. 3 Num. 30568 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
– AA

avverso la sentenza della Corte d’appello di L’AQUILA in data 8/01/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. S. Spinaci, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
udite, per il ricorrente, le conclusioni dell’Avv. G. Carlone – non comparso;

Data Udienza: 16/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. AA ha proposto ricorso, a mezzo del difensore fiduciario
cassazionista, avverso la sentenza della Corte d’appello di L’AQUILA, emessa in
data 8/01/2014, depositata in pari data, che, in parziale riforma della sentenza

limitatamente alla violazione relativa al mese di febbraio 2008, rideterminando la
pena per il resto in mesi 3 di reclusione ed C 300,00 di multa; l’imputazione
ascritta è relativa al delitto di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed
assistenziali, perché, quale titolare della ditta omonima e datore di lavoro,
ometteva reiteratamente di versare all’INPS le ritenute previdenziali ed
assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti nei periodi indicati
nell’imputazione (novembre 2006; da gennaio a marzo 2007; dicembre 2007;
gennaio 2008).

2. Con il ricorso, proposto dal difensore fiduciario cassazionista, vengono dedotti
due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la
motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. C), D) ed E)
c.p.p.
In sintesi, si censura l’impugnata sentenza sotto il profilo del travisamento della
prova e l’illogicità della motivazione con violazione del principio dell’ogni oltre
ragionevole dubbio; rileva la difesa come, nell’atto di appello, fosse stata
rappresentata alla Corte territoriale un’ipotesi di ricostruzione dell’accaduto
difforme rispetto a quella valorizzata in sentenza dal primo giudice, comunque
parimenti e non maggiormente plausibile; si censura la sentenza per non aver i
giudici di appello dato risposta alle prospettazioni alternative della vicenda
proposte dall’imputato, essendosi in realtà limitati i giudici aquilani a confermare
sbrigativamente il

decisum del primo giudice ed altrettanto sbrigativamente a

liquidare la ricostruzione differente dei fatti operata dalla difesa, così prestando il
fianco ad un vizio motivazionale.
Nello specifico, la difesa contesta che l’imputato abbia avuto alcuna effettiva
conoscenza dell’accertamento INPS, in quanto l’avviso di ricevimento depositato
(non dal PM ma dal teste) non mostrerebbe alcun dato che possa farlo risalire
alla contestazione in esame, essendo invece verosimile che possa riferirsi ad
altra corrispondenza intercorsa tra il ricorrente e l’INPS di Chieti (ciò risulterebbe
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del Tribunale di CHIETI del 4/03/2013, assolveva il ricorrente dal reato ascrittogli

dalla discrasia tra quanto risultante dall’imputazione e dalla sentenza, ove il
ricorrente viene indicato, rispettivamente, come titolare dell’omonima ditta e
come legale rappresentante della F. s.p.a., circostanza rispondente
effettivamente al vero in quanto, in tale periodo, il ricorrente rivestiva ambedue
le qualità). In definitiva, quindi, l’omessa notifica dell’avviso di accertamento ed
il mancato decorso del termine, determinerebbero l’improcedibilità dell’azione

sottolinea la difesa, alla data della notifica del d.c. la F s.p.a. era stata
già dichiarata fallita, con sentenza del 24/02/2009, sicchè il ricorrente non
avrebbe potuto onorare alcun debito societario).

2.2. Deduce, con un secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e) c.p.p.
In sintesi, il ricorrente lamenta l’omessa motivazione riguardo le circostanze
attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.

4. Ed invero, quanto al primo motivo, con cui, in estrema sintesi, il ricorrente si
duole per l’omessa notifica dell’avviso di accertamento ed il mancato decorso del
termine trimestrale previsto dall’art. 2, comma 1-quater, legge n. 638/1983, con
conseguente l’improcedibilità dell’azione penale per non essere fungibile il
decreto di citazione a giudizio rispetto all’avviso di accertamento dell’Istituto
previdenziale, è sufficiente richiamare, al fine di evidenziarne l’infondatezza
manifesta, quanto precisato a pag. 2 dell’impugnata sentenza.
In particolare, i giudici aquilani fanno coerente applicazione al caso in esame
dell’arresto di questa Corte, a Sezioni Unite, secondo cui in tema di omesso
versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, ai fini della causa di non
punibilità del pagamento tempestivo di quanto dovuto, il decreto di citazione a
giudizio è equivalente alla notifica dell’avviso di accertamento solo se, al pari di
qualsiasi altro atto processuale indirizzato all’imputato, contenga gli elementi
essenziali del predetto avviso, costituiti dall’indicazione del periodo di omesso
versamento e dell’importo, la indicazione della sede dell’ente presso cui
effettuare il versamento entro il termine di tre mesi concesso dalla legge e
l’avviso che il pagamento consente di fruire della causa di non punibilità (Sez. U,
n. 1855 del 24/11/2011 – dep. 18/01/2012, Sodde, Rv. 251268).

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penale non essendo fungibile il decreto di citazione a giudizio (tra l’altro,

Sul punto, nello specifico, danno atto, da un lato, come il ricorrente sia stato
messo nelle condizioni di fruire della causa estintiva del reato, avendo il
medesimo ricevuto regolare notifica del verbale di accertamento da parte
dell’INPS relativamente alle violazioni interessanti il periodo contestato;
dall’altro, che il predetto verbale di accertamento era stato regolarmente
notificato a mani proprie del ricorrente in data 14 luglio 2009. A comprova di ciò,

della documentazione attestante la notifica all’ud. 4 marzo 2013, avendo peraltro
chiarito il teste sentito in dibattimento (teste C, funzionario INPS) che,
dopo una prima relata di notifica negativa, quest’ultima era stata ripetuta,
riscontrandosi la rituale ricezione da parte del ricorrente nella data suindicata.
Quanto, poi, alla causale di detta ultima notifica – su cui il ricorrente fonda anche
uno dei profili di doglianza di cui al primo motivo – è la stessa Corte territoriale a
chiarire che, sia in base alle precisazioni fornite in udienza da parte del predetto
teste, sia in base all’annotazione contenuta nella stessa ricevuta della
raccomandata, non vi sono dubbi di sorta. Infine, a comprova della rigorosa
valutazione degli elementi probatori da parte della Corte territoriale, si osserva
come gli stessi giudici di appello sono pervenuti all’adozione della pronuncia
assolutoria quanto al periodo febbraio 2008, in base proprio alla considerazione,
oggettiva, per la quale la contestazione relativa a tale mensilità non risultava nel
verbale di accertamento notificato al ricorrente, avendo peraltro chiarito lo
stesso teste che, in ordine alla mensilità in questione, era stato notificato altro
verbale al nuovo legale rappresentante.
Per il resto, le deduzioni difensive di cui al primo motivo, si risolvono nel
tentativo, non consentito in questa sede, di rilettura del materiale probatorio,
che, com’è noto, sfugge al sindacato di questa Corte. Non va dimenticato, infatti,
che eventuali prospettazioni alternative, pur plausibili, degli atti processuali, non
sono consentite nella sede di legittimità. La verifica che la Corte di cassazione è
abilitata a compiere sulla completezza e sulla correttezza della motivazione di
una sentenza non può essere confusa con una rinnovata valutazione delle
risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito. Nè la
Corte suprema può esprimere alcun giudizio sulla rilevanza e sull’attendibilità
delle fonti di prova, giacché esso, anche in base all’ordinamento processuale
preesistente all’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale – nel
quale non esistevano i limiti preclusivi che un’avvertita esigenza di maggior
razionalizzazione del sistema ha introdotto con l’art. 606, primo comma, lett. e)
-, del codice di procedura vigente – era attribuito al giudice di merito, con la
conseguenza che le scelte da questo compiute, se coerenti, sul piano logico, con
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si precisa in sentenza, il tribunale ebbe a procedere alla materiale acquisizione

una esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al
sindacato di legittimità, una volta accertato che il processo formativo del libero
convincimento del giudice non ha subito il condizionamento di una riduttiva
indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi di un’imprecisa ricostruzione
del contenuto di una prova (v., per tutte: Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995 – dep.

5. Quanto, infine, al secondo motivo di ricorso, con cui il ricorrente si duole per il
mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la Corte
territoriale giustifica il diniego in relazione all’esistenza di un precedente penale,
di una certa consistenza, ostativo al riconoscimento dell’art. 62 bis c.p.
Quanto sopra è sufficiente al fine di ritenere corretto il percorso logico argomentativo della Corte territoriale. Ed infatti, è stato già affermato da questa
Corte che, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al
diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a
prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo
sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli
dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle
circostanze ritenute di preponderante rilievo (v., sul punto: Sez. 1, n. 3772 del
11/01/1994 – dep. 31/03/1994, Spallina, Rv. 196880).

6. Solo per completezza, dev’essere in questa sede rilevato che nessuna delle
violazioni è prescritta, ivi compresa quella relativa alla prima mensilità
contestata, novembre 2006, per la quale la prescrizione maturerà alla data del
16 settembre 2014, in quanto al dies a quo, individuato il 16 dicembre 2006,
devono essere aggiunti i tre mesi previsti dall’art. 2, comma 1-quater, legge n.
638/1983, oltre il periodo di anni 7 e mesi 6).

7. Il ricorso dev’essere, dunque, dichiarato inammissibile. Segue, a norma
dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della
Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di una somma che si stima
equo fissare, in euro 1000,00 (mille/00).

P.Q.M.

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23/02/1996, P.G. in proc. Fachini, Fachini e altri, Rv. 203767).

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 16 maggio 2014

Il Presidente

Il Consigliere est.

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