Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30558 del 01/07/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 30558 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FICARA DOMENICO N. IL 13/02/1955
avverso l’ordinanza n. 5445/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di
NAPOLI, del 28/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO;
1

Data Udienza: 01/07/2014

Letta la requisitoria del PG che ha chiesto rigettarsi il ricorso
RITENUTO IN FATTO

2. Con ordinanza 21 giugno 2011, il tribunale di sorveglianza di Napoli ha dichiarato
inammissibile l’istanza proposta da Ficara, istanza rivolta ad ottenere la concessione del
beneficio della semilibertà. Il predetto organo giudicante ha rilevato che, dall’esame della
sentenza di condanna emessa dalla corte di assise di appello di Reggio Calabria in data 4
dicembre 1985, emerge che la vittima era persona inserita nella criminalità organizzata. Da ciò
il tribunale ha dedotto che l’omicidio fu perpetrato con le modalità di cui all’articolo 416 bis cp,
circostanza ostativa alla concessione della misura alternativa, ai sensi dell’articolo 4 bis OP.
3. La prima sezione di questa corte di legittimità, con sentenza del 6 giugno 2012, ha
annullato il provvedimento sopraindicato, con rinvio per nuovo esame medesimo tribunale.
4. Con il provvedimento in epigrafe indicato, il tribunale di sorveglianza di Napoli ha
nuovamente dichiarato inammissibile l’istanza di semilibertà proposta nell’interesse del Ficara
5. Ricorre per cassazione il difensore del predetto e deduce violazione e falsa
applicazione dell’articolo 627 del codice di rito, nonché carenza dell’apparato motivazionale in
relazione agli articoli 50 ter e 4 bis OP. Nuovamente il tribunale napoletano ha affermato che
l’omicidio per il quale il ricorrente è detenuto è stato effettuato avvalendosi delle condizioni di
cui all’articolo 416 bis cp. La difesa del Ficara, tuttavia, aveva ampiamente documentato come
lo stesso avesse ottenuto dal medesimo tribunale, in precedenza, la concessione di un
permesso premio, trascorso dall’interessato – per due giorni – a Reggio Calabria, presso la sua
famiglia, senza alcun incidente.
5.1. Ebbene, la corte di cassazione, prima sezione, con la sentenza di annullamento,
aveva affidato al giudice di rinvio il compito di giustificare il proprio convincimento in
considerazione del fatto che il medesimo organo giudicante, con riferimento al medesimo
soggetto, aveva, in due occasioni, espresso valutazioni completamente contrastanti. Il giudice
di rinvio avrebbe dovuto, dunque, rendere conoscibili le ragioni, tanto della decisione che
veniva annullata, quanto dei motivi per i quali non era stata condivisa la valutazione
precedentemente effettuata.
Il giudice del rinvio, tuttavia, non ha osservato le indicazioni vincolanti provenienti dalla corte
di legittimità ed ha ribadito il suo convincimento, semplicemente citando altri provvedimenti
giudiziari.
5.2. Va poi aggiunto che Ficara, durante il suo vissuto carcerario, ha goduto di altri
permessi premio, della durata di cinque o dieci giorni, in occasione dei quali non ha mai dato
adito ad alcun rilievo. Sostenere dunque la mafiosità del delitto in espiazione, al fine di negare
il beneficio della semilibertà al ricorrente, senza fornire puntuale, adeguata motivazione,
costituisce sostanzialmente violazione del vincolo di cui all’articolo 627 cpp. In ogni caso, la
presunzione di pericolosità del Ficara è stata superata in considerazione dell’esito dei numerosi
permessi premio.

1. Ficara Domenico è stato condannato all’ergastolo in quanto riconosciuto colpevole
dell’omicidio di Floccari Giuseppe e del tentato omicidio del tenente dei carabinieri Sementa
Luigi. Il Ficara trovasi in espiazione pena ed è detenuto da oltre 28 anni.

6. Con altra censura, si deduce violazione degli articoli 25 e 111 Cost., nonché 2 cp, 6 e
7 CEDU, atteso che le norme dell’ordinamento penitenziario sono, solo formalmente, norme, in
prevalenza, processuali, ma poiché esse incidono sulla durata e sulle modalità di esecuzione
della pena, devono essere considerate, di fatto, norme di diritto sostanziale. In quanto tali,
esse rientrano nell’altra categoria, in relazione alla quale la giurisprudenza europea ha ritenuto
(cfr. sentenza Scoppola vs Italia) il divieto di applicazione retroattiva della legge penale più
severa. Ebbene, il divieto di concessione della semilibertà ai detenuti, condannati per fatti di
mafia (e dunque anche per delitti aggravati ai sensi dell’articolo 7 legge 203/91) è stato posto
in epoca successiva a quella in cui Ficara commise il delitto e fu giudicato per lo stesso.

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7. Sono pervenute – tramite fax memorie e contestuali note di udienza, con le quali il
difensore del ricorrente, ribadito il contenuto del ricorso, fa riferimento anche alla recente
sentenza (9 luglio 2013) della corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Vinter vs Regno
Unito. Con detta sentenza, è stato affermato il principio secondo cui l’ergastolano, dopo un
considerevole periodo di detenzione, pari ad almeno 25 anni, ha diritto a veder verificata la sua
posizione e, in particolare, ha diritto ad un accertamento in ordine al percorso rieducativo.
Ebbene, con il ricorso era stato fatto rilevare come il tribunale di sorveglianza non avesse
speso nemmeno una parola sulla circostanza che Ficara, già dal 2008, era stato ammesso al
beneficio dei permessi premio e degli ulteriori permessi fruibili (anche più recentemente). Egli
dunque godeva di un trattamento penitenziario migliore, in ragione del grado di rieducazione
raggiunto, come positivamente valutato dal medesimo tribunale di sorveglianza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Come lo stesso ricorrente ricorda, questa corte di legittimità ha ritenuto (ASN
200632000-RV 234381) che, in materia di ordinamento penitenziario, le disposizioni legislative
che individuano i delitti ostativi ai benefici penitenziari, in quanto attinenti alle sole modalità di
esecuzione della pena, sono di immediata applicazione anche ai fatti ed alle condanne
pregresse (nel caso allora in esame, si trattava di diniego di permesso premio in relazione a un
reato commesso anteriormente all’introduzione dell’art. 4 bis OP).
1.1. D’altra parte le SS.UU. (sent. n. 24561 del 2006, ric. PM in proc. Aloi, RV 233976)
hanno avuto modo di chiarire che le disposizioni concernenti l’esecuzione delle pene detentive
e le misure alternative alla detenzione, non riguardando l’accertamento del reato e
l’irrogazione della pena, ma – appunto – soltanto le modalità esecutive della stessa; esse invero
non hanno carattere di norme penali sostanziali e pertanto (in assenza di una specifica
disciplina transitoria), soggiacciono al principio tempus regit actum, e non alle regole dettate in
materia di successione di norme penali nel tempo dall’art. 2 cp e dall’art. 25 della Costituzione.
Né, d’altra parte, può ravvisarsi contrasto di tale orientamento giurisprudenziale con le
direttrici costituzionali. Invero, con riferimento ad altro beneficio (ma accomunato dalla eadem
ratio), la detenzione domiciliare, è stato chiarito (ASN 200818386-RV 240305) che è
manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 25 e 27 Cost., la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 47 ter, L. 26 luglio 1975, n. 354 e succ. modd., nella parte in cui
ricollega il divieto di concessione della detenzione domiciliare a determinati titoli di reato,
prescindendo da qualsiasi valutazione sulla persona del condannato.
1.2. Infine: la citata (nel ricorso e nella memoria) giurisprudenza comunitaria non
sembra poter incidere nella materia oggi all’attenzione di questa corte. Invero la sentenza
CEDU del 19 settembre 2009 (Scoppola vs Italia) si limita a precisare, da un lato, che
costituisce violazione dell’art. 6 par. 1 CEDU – relativo al diritto a un processo equo l’applicazione retroattiva delle nuove regole di determinazione della pena (introdotte dal DL
341/2000) per il giudizio abbreviato, perché rimarrebbe frustrato il legittimo affidamento che
l’imputato aveva riposto su una riduzione di pena in sede di scelta del rito speciale, dall’altro,
che l’art. 7, par. 1, della Convenzione non garantisce solamente il principio di non retroattività
delle leggi penali più severe, ma impone anche che, nel caso in cui la legge penale in vigore al
momento della commissione del reato e quelle successive adottate prima della condanna
definitiva siano differenti, il giudice applichi quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo.
Nell’ipotesi – pertanto – di successione di leggi penali nel tempo, costituisce violazione dell’art.
7, par. 1, CEDU l’applicazione della pena più sfavorevole al reo.
1.3. Ebbene, come chiarito dalla ricordata sentenza delle SS.UU., nei casi dei quali si
occupa la giurisprudenza comunitaria citata dal ricorrente, di determinazione della pena si
trattava e non di mera esecuzione della stessa.
Invero la esecuzione della pena risponde (può rispondere) anche a criteri contingenti, nonché
alla soddisfazione di necessità che si manifestino nel corso stesso dell’esecuzione. La
esecuzione della pena, dunque, costituisce – inevitabilmente – una variabile, per così dire, del
momento sanzionatorio, tanto che si parla (in termini penitenziaristici) di “trattamento”, vale
a dire di procedure e modalità che devono necessariamente adattarsi al mutare (eventuale)
delle situazioni soggettive e oggettive che accompagnano le vicende detentive conseguenti alla
condanna.

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2. Fondata viceversa è la prima censura, atteso che la sentenza di annullamento della
prima sezione di questa corte di legittimità imponeva al giudice di rinvio “un preciso obbligo di
motivare.., al fine di dare ragione, non solo dell’assunto sostenuto dall’ordinanza impugnata,
ma anche dei motivi per i quali non era condivisa la valutazione precedentemente eseguita sul
medesimo presupposto: la mafiosità del delitto in espiazione, e in considerazione del giusto
affidamento fatto dall’interessato al momento della proposizione della domanda, dichiarata
inammissibile e della relativa allegazione difensiva”.
Ebbene, il giudice del rinvio si è limitato a sostenere che non risponde al vero il fatto che vi sia
stata una precedente valutazione, eseguita sul medesimo presupposto (ma giunta a
conclusioni opposte), rispetto a quella enunciata nel provvedimento a suo tempo annullato.
A riscontro di ciò, il predetto giudice di rinvio cita altre ordinanze del tribunale di sorveglianza
con le quali era stata negata la concessione di benefici penitenziari, sempre sul presupposto
della natura mafiosa dell’omicidio per il quale il Ficara ha riportato condanna.
2.1. E tuttavia la allegazione di altri provvedimenti non scioglie il contrasto con il fatto
che, al medesimo detenuto, fu concesso permesso premio (anzi, secondo quanto riportato dal
ricorrente, più permessi premio). E invero, l’articolo 4 bis OP prevede, come è noto, che anche
il permesso premio non può essere concesso a colui il quale si trovi in espiazione di pena per
reati di stampo mafioso. Avrebbe allora il giudice del rinvio dovuto chiarire, innanzitutto,
l’epoca in cui detti permessi premio furono concessi (se anteriore o posteriore all’introduzione
dell’aggravante di cui all’articolo 7 della legge 203/1991), e, in secondo luogo, la ragione per
cui, in alcuni casi, la natura dell’omicidio commesso dal Ficara è stata ritenuta non ostativa a
tale specifica modalità di trattamento, mentre in altri casi lo è stata.
Ed è ovvio poi che tale (forse apparente) contrasto logico non può essere risolto con la mera
elencazione dei provvedimenti che, in un senso dell’altro, si sono orientati.
3. Si impone pertanto ulteriore annullamento con rinvio al tribunale di sorveglianza di
Napoli per nuovo esame.
PQM
annulla il provvedimento impugnato, con rinvio, per nuovo esame, al tribunale di sorveglianza
di Napoli.

Così deciso in Roma, camera di consiglio, in data 1 luglio 2014..-

1.4. Le norme che inibiscono alle persone condannate per taluni gravi delitti la fruizione
di rilevanti benefici penitenziari (a meno che non si verifichino determinate situazioni, previste,
in linea astratta e generale, dal legislatore), attengono, evidentemente, ad una valutazione di
pericolosità presunta (juris et de jure) di determinati soggetti, come manifestatasi attraverso
la commissione di determinati delitti. Ebbene, il concetto stesso di pericolosità è concetto che
ha senso solo se riferito all’attualità e, dunque, alla valutazione (attuale appunto) della
personalità del detenuto.
Appare allora del tutto logico, congruente e razionale il fatto che il legislatore possa disporre,
re melius perpensa, la non applicabilità di taluni benefici penitenziari a chi non abbia intrapreso
ben precisi percorsi di risocializzazione.
Quanto alla revisione della posizione detentiva delle persone condannate all’ergastolo dopo 25
anni di reclusione, si tratta evidentemente di principio generale che non incide direttamente
sulla vicenda sottoposta all’attenzione di questo collegio, ma che potrebbe essere fatta valere
nell’ambito di nuovo e separato procedimento che, nell’interesse del Ficara, dovesse essere
promosso.
1.5. La seconda censura, pertanto, per le regioni sopra specificate, è infondata.

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