Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30552 del 01/07/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 30552 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: FUMO MAURIZIO

Data Udienza: 01/07/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VANNINI LUIGI N. IL 03/05/1958
avverso la sentenza n. 5777/2010 CORTE APPELLO di MILANO, del
21/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 01/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO
che ha concluso per

Udito, per 1 arte civile, l’Avv

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udito il PG in persona del sost.proc.gen.dott. E. Selvaggi, che ha chiesto il rigetto del ricorso,
udito il difensore, avv.ti G. Vella, sostituito dall’avv. C. Castro, che, in parte, ha illustrato il
ricorso, in parte, si è ad esso riportato, chiedendone comunque raccoglimento.

1. Con la sentenza di cui in epigrafe, la corte di appello di Milano, in parziale riforma
della pronuncia di primo grado ha revocato l’indulto applicato a Vannini Luigi e gli ha
concesso i benefici della sospensione condizionale della pena della non menzione, confermando
nel resto e dunque confermando la affermazione di colpevolezza del predetto in ordine al
delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, con riferimento al fallimento della WELCOME
SERVICE soc.coop. arl, dichiarato con sentenza del 17 gennaio 2005.
Vannini è stato anche condannato al rimborso delle spese sostenute in appello dalla PC.
2. Ricorre per cassazione il difensore ed articola due censure.
2.1. Con la prima censura, deduce travisamento dei fatti di causa e ricorso a petizione
di principio dell’apparato argomentativo della sentenza di appello, cui consegue manifesta
illogicità della motivazione stessa “nella parte che concerne la metodica di acquisizione della
prova e il criterio di interpolazione della medesima, con sostituzione arbitraria di riferimenti”
(testuale).
2.2. Al Vannini è contestato di aver distratto, attraverso la emissione di numerosissimi
assegni, rilevanti somme dalle casse della società fallita. Il Vannini, è stato socio lavoratore
nell’ambito della predetta società dal primo febbraio al 30 giugno 1998. Successivamente a
tale data, egli apprese che erano stati emessi una serie di assegni privi di copertura sui conti
correnti della WELCOME, assegni apparentemente recanti la sua firma di traenza. Avendo
disconosciuto la sottoscrizione, l’imputato presentò denuncia-querela in due occasioni.
Nell’ambito del procedimento a suo carico, è stata esperita consulenza tecnica grafica, che ha
permesso di accertare che le firme oggetto di verifica non possono riferirsi all’imputato. Tali
conclusioni il consulente ha ribadito in udienza, nel contraddittorio delle parti. Nonostante ciò,
la corte d’appello sostiene – anzi ipotizza – che l’imputato abbia dissimulato, nelle scritture di
comparazione, il suo reale grafismo. L’assunto è apodittico e oltretutto non tiene conto del
fatto che le scritture di comparazione sono state rilasciate a distanza di ben 11 anni dalla
sottoscrizione degli assegni. Si sostiene che comunque almeno un assegno (erroneamente
indicato per € 17.000, ma in realtà per lire 17 milioni) sarebbe stato certamente sottoscritto
dal Vannini, ma la mancanza in atti dello specimen di firma, non consente alcun serio riscontro
dell’affermazione. La corte di merito poi prosegue affermando che non si vede perché
l’imputato (che in dibattimento si è avvalso della facoltà di non rispondere) avesse conservato
il potere di firma sui conti di competenza della società. Nel far ciò, i giudici del merito
sembrano dimenticare che Vannini ha disconosciuto le sue firme in calce agli assegni. Né la
qualifica rivestita dall’imputato – per un qualche periodo – di sindaco supplente lo poneva,
come erroneamente ritengono i giudici del merito, in una posizione che gli permetteva di
cogliere l’anomalia della gestione. Invero, i sindaci supplenti partecipano solamente in caso di
impedimento dei sindaci effettivi, mentre l’imputato, in qualità di socio lavoratore, aveva diritto
a partecipare solamente all’assemblea che viene convocata una volta all’anno per
l’approvazione del bilancio. Poiché, come premesso, Vannini è stato socio lavoratore per soli
cinque mesi, egli non ha partecipato neanche a tale assemblea.
2.2. Con la seconda censura, deduce carenza dell’apparato motivazionale ed erronea
applicazione dell’articolo 216 LF. Se anche il Vannini emise e incassò l’assegno di lire 17
milioni, cioè gli fece in quanto socio lavoratore e creditore della società, per il periodo
lavorativo febbraio, marzo, aprile 1998. A tutto voler concedere, dunque, si tratterebbe di
bancarotta preferenziale, ampiamente prescritta alla data del giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La prima censura è fondata, essendo incongrua e contraddittoria la motivazione
esibita dal giudice di appello. Lo stesso prende atto del fatto che una consulenza tecnica (sia
pure di parte) ha affermato che tutti gli assegni, tranne uno, recavano una firma di traenza

RITENUTO IN FATTO

2. Certo permangono tratti di anomalia, giustamente messi in evidenza dalla corte
d’appello, vale a dire: innanzitutto il fatto che Vannini, che sembrava non avere alcun titolo
specifico, avesse la firma per disporre dei fondi di pertinenza della società, e, ancora di più, il
fatto che lo stesso avesse conservato tale potere, nonostante la sua fuoriuscita dalla
WELCOME.
2.1. D’altro canto, neanche può trascurarsi la circostanza, di cui – per altro – si dà atto
nella stessa sentenza, che l’imputato aveva comunque denunciato l’indebita messa in
circolazione di assegni, la cui firma di traenza egli disconosceva.
3. Impregiudicata rimanendo, quindi, allo stato, la questione sulla rilevanza penale sulla
corretta eventuale qualificazione giuridica del prelievo effettuato tramite l’assegno per lire 17
milioni, la sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della
corte d’appello di Milano, la quale valuterà la necessità di un (ulteriore) contributo tecnico di
conoscenza in ordine alla grafia che compare sui titoli utilizzati per distrarre il patrimonio
sociale.
PQM
annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte
d’appello di Milano.
Così deciso in Roma in data 1- VII – 2014.

non riferibile all’imputato, ma, da un lato, in considerazione del fatto che almeno un assegno
era certamente stato sottoscritto dalla Vannini, ne riafferma la responsabilità, dall’altro,
contrappone una sua valutazione dei tratti grafici e giunge a conclusioni contrarie a quelle del
consulente tecnico.
1.1. Ebbene, il fatto che un solo assegno sia stato certamente ricondotto alla mano del
Vannini non si comprende come possa esplicare “effetto estensivo” verso gli altri.
Sotto altro aspetto, va poi osservato che non è certamente dubbio che, in tema di valutazione
della prova, atteso il principio della libertà di convincimento del giudice e della insussistenza di
un regime di prova legale, il presupposto della decisione è costituito dalla motivazione che la
giustifica. Ne consegue che il giudice può scegliere, tra le varie tesi prospettate dai periti e dai
consulenti di parte, quella che maggiormente ritiene condivisibile, purché illustri le ragioni
della scelta operata (anche per rapporto alle altre prospettazioni che ha ritenuto di
disattendere) in modo accurato attraverso un percorso logico congruo che il giudice di
legittimità non può sindacare nel merito (ASN 200746359-RV 239021).
1.2. In particolare, poi, in tema di perizia grafologica, si è ritenuto che (ASN
201223613-RV 252904), la presenza di pareri discordanti impone al giudice, tenuto conto che
un tale accertamento è fortemente condizionato dalla valutazione soggettiva del suo autore
piuttosto che da leggi scientifiche universali, di fornire autonoma, accurata e rigorosa
giustificazione delle ragioni di adesione all’una piuttosto che all’altra valutazione.
Si tratta comunque di opzioni che il giudicante ha a disposizione, essendo stato destinatario di
più contributi tecnici, provenienti da esperti della materia. Nel caso in esame, viceversa, il
giudice sembra far ricorso alla sua scienza privata, condensando in poche righe alcune
riflessioni che, nella suo intendimento, dovrebbero contrastare il parere di una persona
esperta. Il principio del libero convincimento del giudice non può, ovviamente, essere inteso
nel senso che lo stesso possa sostituirsi al consulente o al perito, i quali, in quanto depositari di
un sapere scientifico o tecnico, possono essere contrastati solo da soggetti aventi le medesime
competenze. Il giudicante, viceversa, come premesso, può – adeguatamente motivando chiarire per qual motivo il contributo conoscitivo di un consulente (o perito) debba prevalere su
quello di un altro.

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