Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30551 del 26/06/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 30551 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MONINI GENNY N. IL 21/02/1975
avverso la sentenza n. 1076/2012 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
16/07/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO

Udito, per parte civile, l’Avv

Data Udienza: 26/06/2014

udito il PG in persona del sost.proc. gen. dott. G. D’Angelo che ha chiesto dichiararsi
inammissibile il ricorso,
RITENUTO IN FATTO

2. Ricorre per cassazione il difensore e deduce erronea applicazione dell’articolo 216 LF
e carenze dell’apparato argomentativo. Rispondendo ad una specifica censura dell’atto
d’appello, il giudice di secondo grado ha affermato che non poteva esservi dubbio che i beni
sottratti appartenevano al fallimento, in quanto essi furono rinvenuti nella sede della società
fallita. L’argomentazione è fallace in quanto era stato rappresentato che la s.a.s. era nata dalle
ceneri della S.r.l. ZETA COSTRUZIONI e che a tale ultima società appartenevano i beni.
Secondo la corte d’appello, poi, l’imputata avrebbe ammesso che i predetti beni facevano parte
del fallimento della società della quale ella era socio accomandatario. Ciò non risponde al vero
perché la Monini è sempre rimasta contumace e non ha quindi rilasciato alcuna dichiarazione.
D’altra parte, la curatrice fallimentare si limita a ipotizzare che i beni facessero parte del
patrimonio strumentale della società fallita, mentre dal verbale di pignoramento si deduce che i
beni erano sottoposti ad esecuzione forzata nell’ambito di altro procedimento. Si tratta dunque
di un dato sintomaticamente rilevante per ritenere che i beni non facessero parte della massa
fallimentare.
2.1. Con una altra censura si lamenta la erronea applicazione dell’articolo 388 cp, atteso
che, per la ragione sopra illustrata, i beni sottratti erano inerenti ad una procedura singola e
non alla procedura concorsuale conseguente al fallimento. Né poteva ritenersi applicabile
l’articolo 51 LF, atteso che la procedura esecutiva che ha sottoposto a pignoramento dei beni si
era ormai conclusa quando si era aperto il fallimento. D’altra parte, la giurisprudenza di
legittimità ha adeguatamente chiarito quali sono i rapporti tra la fattispecie incriminatrice di cui
all’articolo 216 LE è quella di cui all’articolo 388 cp.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Le doglianze proposte con il ricorso per cassazione sono fondate sotto l’aspetto della
illogicità e incompletezza dell’apparato motivazionale. E invero la corte d’appello sostiene non
esservi dubbio che i beni sottratti fossero di pertinenza della società fallita per il solo fatto che
detti beni furono rinvenuti dall’ufficiale giudiziario che procedete al pignoramento nella sede
della s.a.s. Il dato, sia pur non privo di significato, non può essere ritenuto concludente, anche
in considerazione del fatto che la nuova società subentrò alla vecchia; è dunque più che
probabile che abbia avuto la medesima sede “fisica”. Né in sentenza si legge che i beni della
prima siano stati acquisti dalla (o comunque trasmessi alla) seconda. La corte d’appello poi
sostiene che l’imputata avrebbe ammesso che i mobili predetti appartenevano alla società
fallita, ma non chiarisce in quale sede avrebbe affermato ciò. Effettivamente dalla lettura della
sentenza di primo e secondo grado, si rileva la contumacia della imputata in entrambi i gradi di
giudizio. Sarebbe dunque stato necessario che fosse chiarito se, ad esempio, la stessa avesse
fatto tali ammissioni alla curatrice. Ma di tale indicazione non è traccia nella sentenza ricorsa.
1.1. Così stando le cose, per esclusione, dovrebbe ritenersi che, allo stato, il solo
tagliaerba sicuramente possa essere attribuito alla società fallita, ma il valore di tale attrezzo
(usato) è stato dalla stessa corte d’appello giudicato “risibile” (testuale). Ebbene la sottrazione
di beni fallimentare di nessun valore economico evidentemente non integra certamente reato
di cui all’articolo 216 LE, in quanto su di essi i creditori non avrebbero mai potuto soddisfarsi.
2. Con riferimento dunque alla sottrazione della fotocopiatrice, del computer e della
macchina per scrivere, dovrebbe essere disposto l’annullamento con rinvio per nuovo esame

1. Con la sentenza di cui in epigrafe, la corte di appello di Firenze, in parziale riforma
della pronunzia di primo grado, ha rideterminato in melius la pena nei confronti di Monini
Genny, ritenuta responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione in relazione
al fallimento della s.a.s. LA NUOVA ZETA COSTRUZIONI di Monini Genny, dichiarato con
sentenza del 4 marzo 2000. La distrazione ha avuto ad oggetto una fotocopiatrice, un
computer, una macchina per scrivere ed un tagliaerba. Dei primi tre oggetti, sottoposti al
pignoramento, era stata nominata custode giudiziale la stessa Monini.

ad altra sezione della corte d’appello di Firenze; tuttavia, essendo maturato, sia pure dopo la
pronuncia della sentenza di secondo grado, il termine di prescrizione, la sentenza impugnata
va annullata senza rinvio, come più volte ha chiarito la giurisprudenza di questa corte (ASN
200914450- RV 244002).
PQM
annulla la sentenza impugnata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione

Così deciso in Roma, in data 26 giugno 2014.-

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