Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30550 del 26/06/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 30550 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PINTALDI ALENIA N. IL 11/05/1980
avverso la sentenza n. 8863/2008 CORTE APPELLO di ROMA, del
04/05/2009
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO
che ha concluso per

Udito, per la

e civile, l’Avv

Data Udienza: 26/06/2014

udito il PG in persona del sost.proc. gen. dott. G. D’Angelo che ha chiesto annullamento senza
rinvio per prescrizione,
udito il difensore di parte civile, avv. E. Martusciello che si è riportato alle conclusioni scritte e
ha depositato nota spese,
udito il difensore della imputata, avv. L. Pucci che si è riportato al ricorso e ne ha chiesto
raccoglimento.

1. Pintaldi Alenia è imputata: A) del delitto di cui agli articoli 81 cpv, 476, 482, 468 cp
per avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, contraffatto
integralmente due diplomi di specializzazione polivalente, apparentemente rilasciati dalla
(regolarmente
cooperativa scolastica socioculturale “Ricerca Educativa” Srl di Fondi
autorizzata dal Ministero competente a tenere i relativi corsi), a mezzo di riproduzione dello
stampato originale, apposizione dei timbri falsi della summenzionata cooperativa e del
Provveditorato agli studi di Latina, con le relative firme dei funzionari autorizzati al rilascio, B)
del delitto di cui all’articolo 483 cp per avere dichiarato, con modalità di autocertificazione
(DPR 445/2000), in sede di presentazione di domanda di inclusione nelle graduatorie di circolo
e di istituto di seconda e terza fascia del personale docente ed educativo per l’anno 20022003, presentata presso l’Istituto comprensivo Anna Frank di Roccagorga, di essere in
possesso del diploma di specializzazione polivalente di cui al capo precedente, nella
consapevolezza di non averlo mai conseguito.
2. Con la sentenza di cui in epigrafe, la corte di appello di Roma, in parziale riforma
della sentenza di primo grado, ha ridotto la pena a mesi nove di reclusione ed euro 110 di
multa, ha disposto la sospensione dell’esecuzione della condanna al pagamento della
provvisionale, ha eliminato la clausola apposta alla concessione della sospensione condizionale
della pena, ha concesso il beneficio della non menzione. Nel resto la sentenza di primo grado di
condanna è stata confermata (anche per quel che riguarda le statuizioni civili) e l’imputata è
stata condannata a rimborsare alla parte civile le spese sostenute nel secondo grado di
giudizio.
3. Con il ricorso per cassazione, il difensore articola sette censure.
3.1. Con la prima censura, deduce inosservanza delle norme processuali e conseguente
nullità dell’ordinanza di remissione in termini della persona offesa per la costituzione di parte
civile. Detta costituzione è stata consentita all’udienza di rinvio dopo che il giudice aveva
ammesso le prove, rinviando il processo per la sola istruzione dibattimentale. È dunque
evidente che la costituzione è tardiva e che la parte non poteva essere rimessa in termini,
pena la violazione degli articoli 484 e 79 comma secondo cpp.
3.2. Con la seconda censura, si deduce erronea applicazione dell’articolo 468 cp, atteso
che nessuna rilevanza può avere l’uso che successivamente viene fatto del documento sul
quale è stata apposta l’impronta del sigillo contraffatto. La ricorrente è accusata di aver
concorso nella contraffazione del sigillo del Provveditorato agli studi, ma i giudici di merito non
chiariscono affatto donde abbiano tratto simile convincimento.
3.3. Con la terza censura, si deduce erronea applicazione degli articoli 476 e 482 cp,
atteso che la stessa corte d’appello afferma che è incontestabile che i falsi diplomi fossero
profondamente diversi da quelli rilasciati dalla scuola di Fondi. I documenti falsificati dunque
sono privi di credibilità, sia formale, perché hanno una veste grafica obsoleta e timbri diversi
da quelli autentici, sia sostanziale, perché manca la corrispondenza tra il contenuto materiale
dei titoli e l’attività didattica realmente svolta. E inoltre l’imputata è accusata di aver
confezionato i falsi nell’anno 2002, ma il falso documento aveva una veste grafica risalente ad
almeno 10 anni prima. Ne consegue che delle sue, luna: o la Pintaldi ha costruito il falso
quando aveva 12 anni, ovvero ha rubato dell’istituto scolastico alcuni moduli “vecchi di 10
anni”. D’altra parte, uno dei due diplomi riporta una data di rilascio nettamente anteriore
all’epoca dell’asserito falso, epoca in cui l’imputata non era nemmeno maggiorenne (1998).
Dalla istruzione dibattimentale, in base alle dichiarazioni del maresciallo Barbagallo, è emerso
che la Pintaldi non aveva l’attitudine e l’abilità per contraffare documenti sequestrati.

RITENUTO IN FATTO

3.7. Con la settima censura, si lamenta la mancata assunzione di prova decisiva, vale a
dire la testimonianza del signor Altobelli, appartenente al sindacato CISL-scuola, il quale aveva
fornito rassicurazioni in senso positivo sulla validità dei diplomi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La prima censura (che rappresenta la esatta riproposizione di censura già vagliata dal
giudice di appello) è manifestamente infondata, atteso che, evidentemente, l’istituto della
riammissione nei termini ha esattamente la funzione di rimettere “in termini” un soggetto che,
per motivi indipendenti dalla sua volontà, non ha potuto rispettare le cadenze temporali
previste, in via generale ed astratta, dalla legge. Peraltro, a quanto è dato comprendere dalla
sentenza impugnata, il dibattimento non era stato ancora aperto quando fu consentita la
costituzione di parte civile.
2. La seconda, la terza e la sesta censura sono fondate, dovendo essere lette
congiuntamente come censure attinenti tanto alla logicità dell’apparato argomentativo, quanto
alla corretta applicazione della legge penale.
3. La sentenza impugnata riporta la versione dei fatti come riferita dall’imputata, la
quale ha sostenuto che i due diplomi le furono di fatto offerti da persone che si spacciano per il
direttore della scuola “Ricerca Educativa”, e da una donna, non meglio identificata. La stessa
imputata ha poi affermato che, avendo incontrato in aula di udienza il (vero) direttore della
scuola, ella non lo ha riconosciuto nella persona che le aveva offerto i diplomi. Sempre secondo
il suo racconto, ella avrebbe di fatto “acquistato” i due diplomi versando 12 milioni di lire in
contanti.
3.1. Ebbene, tale versione viene asetticamente riportata nella sentenza di secondo
grado, in quanto il giudicante non la sottopone ad un esame critico, ne afferma di condividerla
o rifiutarla, ma si limita a registrarla, affermando che, se anche le cose stessero come
l’imputata riferisce, nondimeno, sarebbero integrati i reati per i quali la stessa era stata
condannata in primo grado.
L’assunto non può essere condiviso, atteso che il delitto di cui all’articolo 468 cp 3.2. descrive
la condotta di chi confeziona o altera il sigillo di un ente pubblico o di un altro pubblico ufficio,
ovvero di chi, non essendo concorso nella contraffazione, faccia uso di tale sigillo contraffatto.
Per uso del sigillo si intende, ovviamente, non l’uso del documento sul quale appare l’impronta
del sigillo stesso, ma l’atto dell’apporre il sigillo per ricavarne l’impronta.
Ebbene, la sentenza ricorsa non afferma né che la Pintaldi abbia confezionato o alterato un
sigillo del Provveditorato, né che la stessa, essendone entrata in possesso, ne abbia fatto uso
“timbrando” i due falsi attestati. Il capo d’imputazione sopra riportato addebita alla ricorrente
la falsità materiale di cui all’articolo 482 cp, facendole carico anche di aver concorso nella
apposizione delle impronte derivanti dalla falsificazione dei sigilli o dalla creazione di sigilli
originariamente falsi. Ma tale condotta, come premesso, non si concilia con la ricostruzione dei
fatti offerta dall’imputata, ricostruzione che il giudice di secondo grado non accetta, né
contesta.

3.4. Con la quarta censura, si deduce violazione dell’articolo 483 cp per mancanza
dell’elemento psicologico, atteso che la non veritiera dichiarazione di cui al capo B) fu rilasciata
dall’imputata nell’intima convinzione che i documenti fossero validi. In tal senso, era stata
rassicurata da esponenti sindacali che ella aveva consultato.
3.5. Con la quinta censura, si deduce errata applicazione dell’articolo 49 cpv cp, in
quanto per le ragioni sopra illustrate, ci si trova al cospetto del cosiddetto reato impossibile,
attesa la riconoscibile difformità dei timbri e l’altrettanto riconoscibile vetustà dei moduli
utilizzati per i diplomi. Tanto ciò è vero che, per accertare la falsificazione dei predetti
documenti, non è si reso necessario ricorrere ad alcun esperto o tecnico. Si tratta dunque di
falsi assolutamente grossolani.
3.6. Con la sesta censura, si deduce carenza dell’apparato motivazionale per sua
contraddittorietà, atteso che la corte d’appello, da un lato, afferma che l’imputata concorse con
ignoti nella contraffazione dei due diplomi, dall’altro, si assume che la stessa ha peccato di
leggerezza nell’acquistare i titoli predetti.

4. Tutto ciò premesso, la sentenza impugnata andrebbe annullata con rinvio per nuovo
esame ad altra sezione della corte d’appello di Roma. Tuttavia per i reati addebitati alla
ricorrente risulta maturato il termine di prescrizione (in data 27 ottobre 2010 a seguito della
sospensione intervenuta in primo grado). Si tratta di data posteriore a quella della sentenza di
secondo grado, ma che – tuttavia – non rende inoperativa la prescrizione stessa, in presenza di
ricorso certamente non inammissibile.
5. In applicazione della giurisprudenza di questa corte (da ultimo cfr. ASN 201200594RV 252665), dunque, la sentenza va annullata senza rinvio per essere i reati estinti per
prescrizione, ma tale annullamento (senza rinvio) deve, tuttavia, essere disposto ai soli fini
penali, mentre, per quel che riguarda gli interessi civili, il rinvio va effettuato al giudice (civile,
ovviamente), competente per valore in grado di appello.
6. Le spese sostenute dalla parte civile potranno eventualmente essere liquidate “al
definitivo”.
PQM
annulla senza rinvio agli effetti penali la sentenza impugnata per essere i reati estinti per
prescrizione e con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, con
riferimento alle statuizioni civili.
Così deciso in Roma, in data 26 giugno 2014.-

3.2. Non è dunque dato comprendere se, in realtà, la condotta concretamente
addebitata a Pintaldi sia da ricondurre, più correttamente, all’ipotesi di cui all’articolo 489 cp.
Cosa certa è che, per le modalità dalla stessa descritte (e, si ripete, meramente registrate dalla
corte territoriale), modalità con le quali la ricorrente venne in possesso dei due attestati,
difficilmente si può credere – sostiene la corte romana -alla sua buona fede, quando l’imputata
afferma di avere ingenuamente ritenuto che si trattasse di diplomi correttamente ottenuti è
validamente spendibili. Ma, anche sotto tale angolo visuale, la sentenza impugnata pecca di
genericità e di scarsa coerenza, come correttamente messo in evidenza dal ricorso con la sesta
censura.

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