Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30549 del 26/06/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 30549 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: FUMO MAURIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GALLI MARIO N. IL 09/12/1940
avverso la sentenza n. 13/2012 TRIBUNALE di TIVOLI, del
31/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO

Udito, per la arte civile, l’Avv

Data Udienza: 26/06/2014

udito il PG in persona del sost.proc. gen. dott. G. D’Angelo che ha chiesto annullamento senza
rinvio per prescrizione,
udito il difensore, avv. G. Rapisarda, in sost. avv. T. Orati

1. Con la sentenza di cui in epigrafe, il tribunale di Tivoli, in funzione di giudice di
appello, ha confermato la pronuncia di primo grado con la quale Galli Mario fu condannato a
pena di giustizia perché riconosciuto responsabile del delitto di lesioni in danno di Rosetti
Maura
2. Ricorre per cassazione il difensore e deduce violazione di legge processuale in quanto
non gli è stato notificato il decreto di citazione innanzi al giudice di pace. L’imputato aveva
eletto domicilio in Tivoli, ma l’ufficiale giudiziario addetto alla notifica si era limitato a rilevare
che all’indirizzo segnalato non esisteva alcun citofono con l’indicazione del nome “Galli”. In
presenza di tale situazione, ai sensi dell’ottavo comma dell’articolo 157 del codice di rito, l’atto
andava depositato presso la casa del Comune di Tivoli e, ai sensi del primo comma dell’articolo
159 del medesimo codice, il giudice avrebbe dovuto disporre nuove ricerche.
2.1. Deduce poi in osservanza della norma sulla valutazione della prova, atteso che
tutto si basa unicamente sulla parola della Rosetti, la quale peraltro dichiarava di aver dato un
morso al Galli. Si tratta dunque di una persona mossa da evidente animosità nei confronti
dell’imputato e le cui dichiarazioni non possono essere assunte senza un vaglio critico.
2.2. Deduce ancora erronea applicazione di legge penale perché al Galli andavano
concesse le attenuanti di cui all’articolo 62 nn. 2 e 5 cp, ed anche la sospensione condizione
della pena data la sua incensuratezza; in merito manca qualsiasi motivazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La prima censura rappresenta l’esatta riproposizione di analogo rilievo sottoposto al
giudice di appello e motivatamente respinto. Nel caso in esame, deve trovare applicazione
l’articolo 161 cpp e non certo l’articolo 157 o l’articolo 159. Invero il GaIlli aveva, come si legge
in sentenze e come non si nega nel ricorso, eletto domicilio. Essendo l’elezione di domicilio
risultata non corrispondente al vero (si legge oltretutto in sentenza che Galli in realtà abitava
al civico 7 e non, come dichiarato, al civico 18, stessa via), correttamente non sono state
disposte nuove ricerche, né è stato depositato l’atto presso la casa comunale, ma la notifica è
avvenuta presso il difensore.
Detta censura è dunque inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
2. Manifestamente infondata è anche la seconda censura: Quale che sia stata la
condotta della Rosetti, le eventuali lesioni causate al Gallo non giustificano certo le lesioni che
il Gallo ha causato alla donna, lesioni attestate, oltre che dalle dichiarazioni della persona
offesa, anche, come si legge in sentenza, dai referti ospedalieri.
3. Le attenuanti ex art. 62 nn. 2 e 5 cp non sono state richieste con l’atto di appello.
Quanto alla sospensione condizionale della pena, basterà ricordare che si tratta, nel caso in
esame, di procedimento di competenza del giudice di pace.
Anche l’ultima censura, pertanto, è inammissibile.
4. La dichiarazione di inammissibilità, da un lato, determina la non operatività della
prescrizione maturata dopo la sentenza di appello, dall’altro, determina la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del grado e al versamento di somma (che si stima equo
determinare in euro 1000) a favore della cassa ammende.

RITENUTO IN FATTO

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e al versamento della somma di 1000 euro alla cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, in data 26 giugno 2014.-

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