Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30535 del 26/06/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 30535 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: DEMARCHI ALBENGO PAOLO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE MARCO MICHELE N. IL 01/01/1963
nei confronti di:
UGGINI ARTURO N. IL 23/11/1965
avverso la sentenza n. 48/2010 GIUDICE DI PACE di ROTONDELLA,
del 27/12/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PAOLO GIOVANNI DEMARCHI ALBENGO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Pciu

Data Udienza: 26/06/2014

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Oscar
Cedrangolo, ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso.
Per la parte civile è presente l’Avvocato Lacanna, la quale conclude
riportandosi ai motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

a.

– del reato di cui agli articoli 81, 612, 582 del codice penale
perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno
criminoso, si scagliava contro De Marco Michele e, colpendolo
con violenti pugni al viso, gli cagionava lesioni personali
giudicate guaribili in giorni 10; poi lo minacciava di mali
ingiusti;

b. – del reato di cui all’articolo 635 del codice penale perché,
durante l’aggressione di cui al capo A, danneggiava,
rendendole del tutto inservibili, la camicia e gli occhiali
indossati dalla vittima.
2. Il giudice di pace di Rotondella (Matera) a seguito della proposta di
risarcimento per totali C 2500 da parte dell’imputato, ha ritenuto equa la
somma proposta e, preso atto del parere favorevole del pubblico
ministero ed accertato l’avvenuto pagamento, ha dichiarato non doversi
procedere per estinzione del reato ai sensi dell’articolo 35 del decreto
legislativo 274-2000.
3. Propone ricorso per cassazione la parte civile De Marco Michele per
i seguenti motivi:
a. vizio di motivazione e violazione di legge con riferimento agli
articoli 6 e 21 del codice di procedura penale; sostiene il
ricorrente che il reato contestato al capo B integri il
danneggiamento aggravato, posto che il fatto è stato
commesso con violenza e minaccia (di cui al capo A). Ciò
avrebbe comportato la competenza per materia del tribunale
monocratico di Matera, sezione distaccata di Pisticci, ma,
nonostante l’eccezione preliminare, il giudice di pace l’aveva
ritenuta non tempestiva e comunque non influente.

2

1. Uggini Arturo è imputato:

b. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento
all’articolo 35 del decreto legislativo 274-2000, per avere il
giudice di pace emesso sentenza di non doversi procedere in
mancanza dei requisiti previsti dalla norma e cioè l’anteriorità
della riparazione del danno rispetto all’udienza di
comparizione e l’accertamento a cura del giudice dell’avvenuto
ristoro del danno.
4.

L’08/10/2012 il ricorrente ha presentato una memoria con motivi

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Posto che non vi è stato appello da parte del pubblico ministero,
occorre preliminarmente decidere se la parte civile possa proporre
ricorso ai fini penali. Ritiene il collegio che la domanda meriti una
risposta negativa; tra i diversi orientamenti espressi da questa stessa
sezione, appare preferibile il più recente (Sez. 5, Sentenza n. 50578
del 07/11/2013, Rv. 257841) secondo il quale nel procedimento
penale davanti al giudice di pace, avverso le sentenze di
proscioglimento la parte civile può proporre impugnazione, anche agli
effetti penali, a norma dell’art. 38 d.Ig. 28 agosto 2000 n. 274
limitatamente all’ipotesi in cui la citazione a giudizio dell’imputato sia
stata chiesta dalla persona offesa con ricorso immediato ai sensi
dell’art. 21 dello stesso decreto.
2. Il diverso orientamento – espresso dalla Sez. 5, Sentenza n. 40876
del 23/09/2010, Rv. 248657 – secondo cui il ricorso per cassazione
della persona offesa costituita parte civile, avverso la sentenza con la
quale il giudice di pace dichiari, ex art. 35, comma primo, D.Lgs. n.
274 del 2000, l’estinzione del reato per intervenuta riparazione del
danno, è ammissibile anche agli effetti penali – non merita adesione
in quanto non è fondato su una precisa interpretazione delle norme
coinvolte, quanto piuttosto su una generica affermazione di principio
(“… è ammissibile anche agli effetti penali, in quanto, in tal caso, il
ricorso li coinvolge per definizione in una con quelli civili”).
3. Al contrario, la tesi condivisa da questo collegio si fonda non solo sul
principio generale per il quale la parte civile può, di norma,
impugnare solo agli effetti della responsabilità civile (articolo 576 del
codice di procedura penale), ma altresì su un preciso dato normativo

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aggiunti, allegando documentazione relativa al risarcimento del danno.

e cioè sull’interpretazione a contrario dell’art. 38 d.Ig. 28 agosto
2000 n. 274, che limita l’impugnazione della parte civile, anche agli
effetti penali, all’ipotesi in cui la citazione a giudizio dell’imputato sia
stata chiesta dalla persona offesa con ricorso immediato ai sensi
dell’art. 21 dello stesso decreto.
4.

Qualora, come nel caso di specie, l’imputazione sia stata formulata
dal Pubblico Ministero, ai sensi degli artt. 15 e 20 del D.Igs.
274/2000, la parte civile non può impugnare agli effetti penali,

576 c.p.p., non potendosi applicare la disposizione di cui all’articolo
428 cod. proc. pen., relativa all’udienza preliminare (nel caso di
specie, la sentenza di non luogo a procedere fu emessa all’esito del
giudizio).
5. Ciò premesso, occorre ancora valutare se sia possibile, per la
persona offesa costituita parte civile, ricorrere ai fini civili; a tal fine
si deve preliminarmente valutare se sussista o meno un interesse in
tal senso. Difatti, l’interesse alla proposizione dell’impugnazione non
è costituito soltanto dalla discordanza tra la decisione impugnata e la
pronuncia cui si tende mediante il gravame, occorrendo ancora che
l’eliminazione del provvedimento ritenuto pregiudizievole comporti
una situazione pratica più vantaggiosa rispetto a quella esistente
(Sez. 5, n. 4405 del 04/03/1999, Rossini, Rv. 213110).
6. Questo collegio – pur consapevole del diverso orientamento espresso
da Sez. 4, n. 23527 del 14/05/2008, Di Martino, Rv. 240939: “In
tema di reati di competenza del giudice di pace, sussiste l’interesse
della parte civile ad impugnare la sentenza dichiarativa
dell’estinzione del reato per intervenuto risarcimento dei danni,
atteso che detta pronuncia contiene valutazioni incidenti nel merito
della pretesa civilistica e potenzialmente pregiudizievoli per gli
interessi della parte” – ritiene di dover rispondere ancora
negativamente; la sentenza del Giudice di pace, accertando la
congruità del risarcimento offerto ai soli fini dell’estinzione del reato
ai sensi dell’art. 35 d. Igs. 274/2000 – con valutazione operata allo
stato degli atti, senza alcuna istruttoria – non produce invero alcun
effetto pregiudizievole nei confronti della parte civile ricorrente (in
argomento si veda anche la recentissima sentenza di questa sezione,
15.04.2014, ric. Chiosi); tanto più che la sentenza non contiene
alcun capo di carattere civile sull’esistenza del danno e sulla sua
4

perché la disciplina dell’impugnazione è quella ordinaria di cui all’art.

entità. Il giudice di pace si limita a verificare la congruità del
risarcimento con valutazione sommaria ed incidentale, senza efficacia
ulteriore rispetto a quella prevista dall’articolo 35 del decreto
legislativo 274-2000, sicchè nell’eventuale giudizio civile di danno la
parte civile non risente alcun pregiudizio dalla sentenza di
proscioglimento predetta (cfr. Sez. 5, n. 27392 del 06/06/2008, Di
Rienzo, Rv. 241173). Peraltro, nel giudizio civile di responsabilità, è
solo la sentenza di assoluzione – pronunciata in giudizio per

dell’imputato o ricorrenza di un’esimente – che ha efficacia preclusiva
di giudicato; le sentenze di proscioglimento per estinzione del reato
non statuiscono sulla responsabilità dell’imputato e pertanto non
possono avere alcun effetto negativo per la parte civile (se non
contengono, come nel caso di specie, alcun capo del dispositivo
relativo all’accertamento ed alla quantificazione del danno, che
rimane sommariamente delibato solo ai fini di cui all’articolo 35 della
legge sul procedimento davanti al giudice di pace). La facoltà per la
parte civile di impugnare le sentenze di assoluzione risiede nel fatto
che esse, giudicando sulla responsabilità penale, contengono
normalmente un espresso rigetto della domanda civile e compiono,
comunque, una valutazione in fatto che ha effetti pregiudizievoli sulla
richiesta di risarcimento; è per questo che le sentenze di assoluzione
possono essere impugnate. Nel caso di sentenza di proscioglimento
di natura “processuale” (mancanza di querela, prescrizione,
estinzione del reato ai sensi dell’articolo 35 …) emessa all’esito del
giudizio, il provvedimento, ove non vi sia un capo civile da impugnare
(come nel caso di specie), rimane privo di alcuna efficacia preclusiva
in sede civile in ordine al richiesto risarcimento. Non c’è, dunque,
motivo per consentire l’impugnazione alla parte civile, che può essere
riconosciuta solo nei casi eccezionali previsti dalla legge (ad es.
articolo 38 del decreto legislativo 274-2000; articolo 428 cod. proc.
pen. in sede di udienza preliminare. In questi casi, il legislatore ha
voluto eccezionalmente accordare tutela alle ragioni di segno penale
del titolare dell’interesse protetto dal precetto penale, cioè della
vittima del reato che patisce il “danno criminale”; cfr. Sez. 6,
Sentenza n. 22019 del 22/11/2011, Rv. 252774; Cass. Sez. 5,
16.4.2009 n. 37114, De Rosa, rv. 244601; Cass. Sez. 6, 21.1.2010
n. 16528, Mazza, rv. 246997).

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insussistenza del fatto, mancata commissione dello stesso da parte

7. Consegue a quanto detto che il ricorso proposto dalla parte civile
debba ritenersi inammissibile; alla declaratoria di inammissibilità
segue, per legge (art. 616 c.p.p.), la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali. Trattandosi di causa di
inammissibilità non determinata da profili di colpa, in quanto sul
punto non esisteva fino ad ora un orientamento chiaro della
giurisprudenza di legittimità (il che può aver confuso la parte circa il
diritto a ricorrere per cassazione), non si fa luogo alla condanna a

p.q.m.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 26/06/2014

favore della cassa delle ammende.

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