Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30533 del 03/06/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 30533 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
STEFANUTO BARBARA N. IL 12/01/1977
avverso la sentenza n. 1470/2010 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
28/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GERARDO SABEONE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. f
Sttit41/4′
che ha concluso per -t, ik
o étAl Z . 1.2 1,20

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udilt ildifensorQAvv.

`14.4.

Put,1

Data Udienza: 03/06/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Trieste, con la sentenza del 28 novembre 2012,
ha parzialmente confermato la sentenza del Tribunale di Pordenone, Sezione
Distaccata di San Vito al Tagliamento dell’8 aprile 2010 ed ha mantenuto ferma

cod.pen, per aver alterato il contenuto di una ricetta medica modificando il nome
del farmaco indicato e apponendo un codice di esenzione non inerente al
paziente.
Sono state conseguenzialmente ridotte la pena irrogata, la somma
liquidata a titolo di provvisionale e quella a titolo di rifusione delle spese del
giudizio di primo grado in favore della costituita parte civile.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Stefanuto,
a mezzo del proprio difensore, lamentando:
a) una violazione di legge e un difetto di motivazione circa l’affermata
sussistenza dell’ascritto reato pur in presenza di un errore sul fatto ai sensi del
primo comma dell’articolo 47 cod.pen. in merito al tipo di medicinale indicato
nella prescrizione medica nonché al codice di esenzione apposto alla medesima
ricetta;
b) una violazione di legge e un difetto di motivazione con riferimento ai
criteri valutativi della prova;
c) la mancata assunzione di una prova decisiva e cioè di una consulenza
tecnica d’ufficio;
d) una violazione della legge penale e un difetto di motivazione in merito
al mancato rigetto della domanda risarcitoria in presenza del proscioglimento per
il concorrente reato di appropriazione indebita e non potendo considerarsi la
parte civile come parte offesa dell’ascritto reato di falso;
e) una violazione della legge e un difetto di motivazione in merito alla
mancata ulteriore riduzione delle spese del giudizio di primo grado, liquidate in
favore della parte civile.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è da accogliere parzialmente e solo con riferimento alla
liquidazione delle spese processuali in favore della parte civile costituita.
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la condanna di Stefanuto Barbara per il solo delitto di cui agli articoli 482 e 477

2. Nel merito, infatti, la ricorrente, mediante la doglianza di erronea
applicazione di legge con riferimento all’individuazione del suo apporto
consapevole al reato ascritto, vorrebbe in questa sede che si procedesse ad una
rinnovata valutazione della ricostruzione fattuale della vicenda operata dai
Giudici di merito, con motivazione giuridicamente corretta ed indenne da vizi
logici.
Viceversa, il compito del Giudice di legittimità è quello di stabilire se il

loro corretta interpretazione, ed abbia reso esaustiva e convincente risposta alle
deduzioni delle parti applicando esattamente le regole della logica per giustificare
la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
Esula, infatti, dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa
lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui
valutazione è riservata in via esclusiva al Giudice di merito senza che possa
integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione
delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (v. Cass. Sez.Un.
30 aprile 1997 n. 6402)
A fronte di ciò, la ricorrente, quale primo motivo, ripropone la tesi
dell’errore sul fatto, cui adeguatamente ha dato risposta il Giudice distrettuale
(v. pagine 7 e 11 della impugnata decisione).
Appare opportuno ribadire che l’errore sul fatto che, ai sensi dell’articolo
47 cod.pen., esime dalla punibilità è quello che cade su un elemento materiale
del reato e che consiste in una difettosa percezione o in una difettosa
ricognizione della percezione che alteri il presupposto del processo volitivo,
indirizzandolo verso una condotta viziata alla base; mentre, se la realtà è stata
esattamente percepita nel suo concreto essere, non v’è errore sul fatto, bensì
errore sulla interpretazione tecnica della realtà percepita e sulle norme che la
disciplinano, ininfluente ai fini dell’applicazione della citata disposizione (v. Cass.
Sez. VI 25 giugno 2010 n. 32329).
3. Quanto al secondo motivo che ha attinenza ai fatti della contestazione,
giova premettere come al Giudice di legittimità resti tuttora preclusa, in sede di
controllo della motivazione, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice del
merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa: un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte
nell’ennesimo Giudice del fatto.
2

Giudice di merito abbia nell’esame degli elementi a sua disposizione fornito una

Pertanto la Corte, anche nel quadro nella nuova disciplina, è e resta
Giudice della motivazione.
Nel caso di specie, va anche ricordato che ci si trova dinanzi ad una
“doppia conforme” e cioè ad una doppia pronuncia di eguale segno, per cui il
vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo
nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento
probatorio asseritamente travisato sia stato per la prima volta introdotto come

Invero, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella
dell’articolo 606 cod.proc.pen., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del
2006, sia ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando
nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel
processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può
essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella
di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite
del “devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il Giudice
d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti
a contenuto probatorio non esaminati dal primo Giudice (v. Cass. Sez. IV 3
febbraio 2009 n. 19710).
Nel previo giudizio, invece, il Giudice di appello ha riesaminato lo stesso
materiale probatorio già sottoposto al Tribunale e, dopo avere preso atto delle
censure dell’appellante, è giunto alla medesima conclusione della responsabilità
dell’imputata.
Per inciso, le dichiarazioni della parte lesa, pienamente utilizzabili per
quanto dianzi esposto, possono essere sicuramente poste a fondamento
dell’affermazione della penale responsabilità dell’imputato anche da sole,
allorquando sia stato effettuato il relativo vaglio di attendibilità (più rigoroso
nell’ipotesi di costituzione di parte civile) e senza necessità dell’applicabilità delle
regole probatorie di cui all’articolo 192, commi 3 e 4 cod.proc.pen. (v. Cass. Sez.
I 24 giugno 2010 n. 29372 e da ultimo, Cass. Sez. Un. 19 luglio 2012 n. 41461);
la Corte territoriale, di converso, ha logicamente espresso il suo convincimento
anche sulla base delle ulteriori emergenze istruttorie, tra cui le stesse
dichiarazioni dell’imputata (v. pagina 10 della motivazione).
4. Quanto al terzo motivo, la mancata assunzione di una prova decisiva,
quale motivo di impugnazione per cassazione, può essere dedotta solo in
relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l’ammissione a norma
dell’articolo 495 cod.proc.pen., comma 2, sicché il motivo non potrà essere
3

oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado.

validamente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla
parte attraverso l’invito al Giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali
di integrazione probatoria di cui all’articolo 507 cod.proc.pen. e da questi sia
stato ritenuto non necessario ai fini della decisione (v. di recente Cass. Sez. I 15
aprile 2010 n.16772).
Inoltre, si osserva come l’articolo 507 cod.proc.pen. (e l’articolo 603
cod.proc.pen. per il grado d’appello) conferisca al Giudice un potere e non un

sussistenza dell’assoluta necessità del nuovo mezzo di prova e postula
l’apprezzamento e la valutazione al riguardo da parte del Giudice, il quale, ove
non eserciti tale potere, non è tenuto a darne espressamente conto, evincendosi
implicitamente dall’effettuata valutazione, adeguata e logica, delle risultanze
probatorie già acquisite la superfluità di una eventuale integrazione istruttoria (v.
Cass. Sez.VI 16 febbraio 2010 n. 24430); l’iniziativa deve essere, pertanto,
“assolutamente necessaria” (sia l’articolo 507 che il 603 del codice di rito per
l’appello usano questa espressione) e la prova deve avere carattere di decisività
(altrimenti non sarebbe “assolutamente necessaria”), diversamente da quanto
avviene nell’esercizio ordinario del potere dispositivo delle parti in cui si richiede
soltanto che le prove siano ammissibili e rilevanti; nella specie, in fatto questa
volta, il Giudice di fronte alla richiesta della difesa dell’imputata, ha chiaramente
motivato non solo il diniego dell’ammissione della prova ma, altresì, il suo
carattere di inammissibilità.
È appena il caso di rilevare, peraltro, come secondo l’insegnamento di
questa giurisprudenza di legittimità (da ultimo Cass. Sez. IV 17 gennaio 2013 n.
7444), deve ritenersi “prova decisiva”, ai sensi dell’articolo 606 cod.proc.pen.,
lett. d), quella prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella
motivazione, si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente
determinato una diversa pronuncia (v. Cass. Sez. VI n. 25 marzo 2010 n.
14916), ovvero quella prova che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza
intaccandone la struttura portante (v. Cass. Sez. III 15 giugno 2010 n. 27581).
Con riguardo al procedimento peritale, peraltro, questa stessa Corte di
legittimità ha già statuito il principio, consolidatosi nel tempo, in forza del quale
la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, giacché la sua
disposizione, da parte del Giudice, in quanto legata alla manifestazione di un
giudizio di fatto, ove assistito da adeguata motivazione, è insindacabile ai sensi
dell’articolo 606 cod.proc.pen., lett. d) (v. da Cass. Sez. V 6 aprile 1999 n. 12027
e successive conformi fino a Cass. Sez. IV 22 gennaio 2007 n. 14130).
4

dovere di integrazione probatoria; l’esercizio di tale potere presuppone, poi, la

5. Con riferimento al quarto motivo del ricorso si osserva come lo stesso
sia manifestamente infondato.
Invero, i delitti contro la fede pubblica tutelano direttamente non solo
l’interesse pubblico alla genuinità materiale e alla veridicità ideologica di
determinati atti, ma anche quello del soggetto privato sulla cui sfera giuridica
l’atto sia destinato a incidere concretamente, con la conseguenza che egli, in tal
caso, riveste la qualità di persona offesa dal reato (v. da Cass. Sez. Un. 25

Perfettamente coerente con il sistema dianzi evidenziato è, quindi, la
condanna al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile e cioè
della Farmacia presso la quale svolgeva la propria attività lavorativa l’odierna
ricorrente.
Si osserva, inoltre, come nell’ipotesi in cui il Giudice di appello modifichi la
decisione di primo grado in senso più favorevole all’imputato, non possa essere
pronunziata condanna alle spese processuali, giacché tale condanna consegue
esclusivamente e senza possibilità di deroghe, al rigetto dell’impugnazione o alla
declaratoria della sua inammissibilità (v. Cass. Sez. III 17 novembre 2004 n.
49701).
In ordine, invece, alla condanna alle spese della parte civile nel grado
dell’appello, non vi è motivo di discostarsi dall’insegnamento delle Sezioni Unite,
secondo cui il parziale accoglimento dell’impugnazione dell’imputato non elimina
la condanna sicché, pur impedita la sua condanna al pagamento delle spese
processuali, è, di converso, consentita la condanna dello stesso alla rifusione
delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di impugnazione, in base alla
decisiva circostanza della mancata esclusione del diritto della parte civile, salvo
che il Giudice non ritenga di disporne, per giusti motivi, la compensazione totale
o parziale, sulla base di un potere discrezionale attribuito dalla legge e il cui
esercizio non è censurabile in sede di legittimità, se congruamente motivato (v.
Cass. Sez. V 21 ottobre 2008 n. 46453 e la citata Sez. Un. 21 gennaio 2010 n.
12822).
Nella specie, in fatto, l’impugnata sentenza del tutto correttamente non
ha, da un lato, condannato l’imputato al pagamento delle spese del secondo
grado, a cagione del parziale accoglimento dell’impugnazione e, d’altra parte, lo
ha condannato alla rifusione delle spese in favore della costituita parte civile
sulla base delle norme in tema di soccombenza.
6. Quanto al quinto ed ultimo motivo, che invece merita accoglimento, la
ricorrente si duole della minima decurtazione delle spese liquidate dal Giudice
5

ottobre 2007 n. 46982 nonché Sez. V 5 dicembre 2008 n. 2076).

dell’impugnazione rispetto a quelle liquidate in prime cure (6.000,00 euro in
luogo di 7.000,00 euro) e pur in presenza del parziale accoglimento dell’appello e
alla contestazione puntuale delle singole voci non dovute.
A tal proposito, va tenuto fermo il principio che in tema di spese
processuali possono essere denunciate in sede di legittimità solo violazioni del
criterio della soccombenza o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali
(v. da ultimo Cass. Sez. I Civ. Sentenza n. 14542 depositata il 4 luglio 2011).

specifica doglianza circa la violazione delle tariffe professionali e circa la
eccessività delle spese liquidate dal Giudice di primo grado mentre, di converso
con ciò evidenziando una mancanza di motivazione, la Corte territoriale ha
operato la minima riduzione forfetaria delle spese di prime cure dianzi
evidenziata e senza neppure rispondere alle precise contestazioni dell’appellante.
Sarà, di conseguenza, onere del Giudice di rinvio, che si designa in altra
Sezione della Corte di appello di Trieste, dare una precisa e puntuale risposta alle
contestazioni circa la quantificazione delle spese processuali da liquidare in
favore della parte civile per il giudizio d’appello.
P.T.M.
La Corte, annulla la sentenza impugnata limitatamente alla liquidazione
delle spese in favore della parte civile con rinvio per nuovo esame ad altra
Sezione della Corte di appello di Trieste, rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 3 giugno 2014.

Nella specie, con i motivi dell’appello (v. pagina 65) era stata sollevata

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