Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30525 del 21/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 30525 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: LAPALORCIA GRAZIA

Data Udienza: 21/05/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE ZEN CRISTINA BARBARA N. IL 17/08/1967
nei confronti di:
ZANI RUDINA N. IL 05/11/1974
avverso la sentenza n. 11/2011 TRIBUNALE di FERRARA, del
15/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA LAPALORCIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.. 0_5,\t. f‘ 2- 2.-03,:i
che ha concluso per
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RITENUTO IN FATTO

1. Rudina ZANI, imputata del reato di lesioni personali e di minaccia in danno della vicina
di casa Cristina Barbara DE ZEN, è stata assolta dal Giudice di pace di Ferrara dal
secondo reato e condannata per il primo (pronuncia in data 1-12-2010).
2. Con sentenza del Tribunale di Ferrara del 15-2-2012 è stata assolta anche dal reato di
lesioni con la formula ‘perché il fatto non costituisce reato’ nel dubbio circa la

3. I fatti avvenivano sulle scale dell’immobile di cui le due donne erano condomine e
consistevano in una colluttazione che determinava lesioni ad entrambe (per quelle in
danno della Zani la De Zen è stata già giudicata).
4.

Il ricorso è proposto dalla parte civile De Zen che deduce erronea applicazione della
legge penale e contraddittorietà e carenza di motivazione.

5. La ricorrente evidenzia contraddittorietà tra l’affermazione del giudice di appello circa
l’inattendibilità, dati i loro cattivi rapporti, di entrambe le protagoniste e la successiva
asserzione della credibilità dell’imputata laddove la stessa aveva riferito di aver
provocato lesioni alla De Zen a scopo di difesa, nonché vizio di motivazione per
mancata considerazione del fatto che, nonostante il contrasto tra le due versioni, nulla
era emerso dall’istruttoria dibattimentale a sostegno della non veridicità della versione
della parte civile e per omessa motivazione della non credibilità intrinseca ed estrinseca
della stessa essendo mancato in toto il relativo vaglio, imposto dalla mancanza di
conferme esterne.
6. Quanto alla scriminante, la ricorrente deduce violazione dell’art. 530, comma 3, cod.
proc. pen. rilevando non solo l’assenza anche di un principio di prova in ordine alla
sussistenza di essa, ma anche la non configurabilità di un’obiettiva incertezza al
riguardo.
7.

Lamenta inoltre il mancato assolvimento dell’obbligo che incombe al giudice di secondo
grado il quale riformi le decisione di primo grado, di dimostrare in modo specifico
l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della prima
pronuncia dando conto dei dati fattuali a sostegno dell’opposto convincimento e delle
ragioni della maggior considerazione accordata ad elementi di prova diversi o
diversamente valutati.

8.

Inoltre il tribunale non aveva fornito alcuna motivazione in ordine ai rilievi contenuti
nell’atto di appello della parte civile.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei limiti e per le ragioni oltre precisati.

2

sussistenza della scriminante della legittima difesa.

2. La sentenza impugnata presenta profili di manifesta illogicità laddove, dopo aver
correttamente postulato la totale inattendibilità delle versioni di entrambe le
protagoniste della vicenda -che non aveva avuto testimoni- per una serie di ragioni
puntualmente ricordate e aver aggiunto che le più gravi lesioni riportate dalla Zani
militavano per il comportamento tutt’altro che inerte della De Zen, conclude, in
contraddizione con il primo assunto e stabilendo un illogico collegamento con la
constatazione della condotta attiva della De Zen, per la ragionevolezza e logicità delle

scopo difensivo.
3. Per effetto di tale argomentare manifestamente privo di logicità la versione
dell’imputata (Zani) è stata privilegiata rispetto a quella della parte civile (De Zen), con
la conseguenza di ravvisare un principio di prova della legittima difesa o il dubbio sulla
sua sussistenza -senza neppure confutare la sentenza di primo grado laddove il giudice
di pace aveva affermato che, ove pure la Zani fosse stata costretta a difendersi, la sua
reazione avrebbe comunque ecceduto i limiti della legittima difesa (avendo ammesso di
aver dato un morso all’antagonista alla fine del litigio)- solo perché le lesioni riportate
dalla prima erano più gravi di quelle della seconda, trascurando che ciò può avvenire
anche in caso di colluttazione tra due persone, il cui rapporto di forza non è paritario,
animate dallo stesso intento offensivo, senza che ciò significhi, di per sé, che la più
debole, la quale ha subito conseguenze maggiori, abbia agito per legittima difesa.
4. Segue l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente
per valore in grado di appello per gli opportuni accertamenti, con percorso
argomentativo esente da vizi, sulla ricorrenza o meno della scriminante della legittima
difesa.

P. Q. M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di
appello.

dichiarazioni della Zani secondo le quali essa aveva cagionato lesioni all’avversaria a

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