Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30505 del 24/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 30505 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TABIBLHAY MERYEM N. IL 16/05/1973
avverso l’ordinanza n. 9945/2013 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
13/01/2014
relazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;
seni.t
1 e/sentite le conclusioni del PG Dott. I tv -1 -~-0 ,
C.,j
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Data Udienza: 24/06/2014

Ritenuto in fatto

TABIBLHAY MERYEM ricorre avverso l’ordinanza di cui in epigrafe che ha rigettato
l’istanza di riesame avverso l’ordinanza che le ha applicato la misura degli arresti
domiciliari [pur riducendo la contestazione] in relazione alle plurime condotte violative

Con il ricorso ripropone doglianze già rigettate dal giudice del riesame.

Si duole della mancata traduzione dell’ordinanza cautelare: questione che il tribunale ha
risolto evidenziandosi che emergevano dati di fatto tali da confortare che l’indagata, pur
assistita da interprete anche durante l’udienza, conosceva la lingua italiana, risultando
fotosegnalata in Italia più volte a partire dal 2003 [ergo, è da ritenere, secondo il
ragionamento del giudicante, da anni viveva in Italia e doveva conoscere la lingua
italiana]; inoltre lo stesso tribunale richiamava la giurisprudenza della Cassazione
secondo cui la proposizione del riesame ha comunque effetto sanante dell’eventuale
nullità conseguente alla omessa traduzione dell’ordinanza cautelare.

Si lamenta della motivazione dell’ordinanza cautelare che, si assume, non conterrebbe
una chiara contestazione degli episodi sub iudice: questione che il tribunale ha ritenuto
infondata apprezzando come invece risultassero puntualmente descritte le condotte
contestate, sostanziatesi nell’avere l’indagata trasportato la droga da Napoli a Porto San
Giorgio; ciò che, per vero, era confermato dal fatto che per lo stesso tribunale, per uno
dei capi in contestazione, evidentemente ben descritto nei suoi elementi oggettivi e
soggettivi, doveva escludersi l’applicabilità della misura in quanto per tale episodio aveva
proceduto altra AG.

dell’articolo 73 del dpr n. 309 del 1990 oggetto di indagine.

Si duole, ancora, dell’omesso avviso della data dell’interrogatorio al difensore di fiducia:
questione che il tribunale parimenti ha rigettato, evidenziando che la documentazione
prodotta a supporto non dimostrava l’avvenuta nomina in data precedente al decreto di
fissazione dell’interrogatorio.

Si contesta l’inutilizzabilità delle intercettazioni per carenza di proroga: questione risolta
dal tribunale evidenziando la genericità della doglianza e, comunque, la presenza in atti
di tutti i decreti autorizzativi e delle successive proroghe.

Infine, si contesta l’affermata sussistenza dell’esigenza cautelare del rischio di recidiva,
che il tribunale fondava sulla gravità delle condotte, reiterate, in un breve arco

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temporale, oltre che sulla personalità dell’indagata [gravata da precedente penale;
condannata di recente proprio per l’episodio escluso della misura cautelare; più volte
foto segnalata; recentemente evasa dagli arresti domiciliari].

Considerato in diritto

Il ricorso è manifestamente infondato, a fronte di una decisione satisfattivamente

generiche contestazioni di fatto o prospettandosi violazioni solo assente e non supportate
da adeguato riscontro documentale.

Ciò vale per il motivo relativo alla mancata traduzione dell’ordinanza cautelare, rispetto
al quale è sufficiente ricordare che il riconoscimento del diritto all’assistenza
dell’interprete ed alla traduzione non discende automaticamente, come atto dovuto e
imprescindibile, dal mero status di straniero, ma richiede l’ulteriore presupposto, in capo
a quest’ultimo, dell’accertata ignoranza della lingua italiana (cfr. Sezioni unite, 29 maggio
2008, Ivanov). Situazione immutata anche dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo
4 marzo 2014 n. 32.

Sul punto della ritenuta conoscenza della lingua si è espresso in termini inequivoci il
tribunale.

Assertiva è la doglianza relativa alla contestazione e relativamente a questa il tribunale
ha corrisposto in fatto in modo esaustivo. Non risulta del resto alcun concreto pregiudizio
difensivo, ove si consideri che l’indagata non solo ha risposto in sede di interrogatorio,
ma anche ammesso le sue responsabilità. La chiarezza della contestazione è del resto
implicitamente attestata dalla stessa decisione del tribunale di espungere dalla
contestazione uno degli episodi, perché già separatamente giudicato da altra AG.

motivata, attraverso una adeguata disamina degli atti, evocandosi con il gravame o

Analogamente, del tutto generica è la doglianza sulla prospettata inutilizzabilità delle
intercettazioni.

Vale il principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, in forza della regola della
“autosufficienza” del ricorso, operante anche in sede penale, è onere del ricorrente, che
lamenti l’omessa o travisata valutazione di specifici atti processuali, provvedere alla
trascrizione nel ricorso dell’integrale contenuto degli atti medesimi ovvero alla allegazione
di tali atti al ricorso ovvero, ancora, alla loro specifica indicazione, nei limiti in cui il
relativo contenuto sia ritenuto idoneo a “scardinare” l’impianto motivazionale della
decisione contestata. Ciò in quanto il giudice di legittimità non deve essere costretto alla

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”ricerca” di quegli atti che confermerebbero la tesi del ricorrente, essendo piuttosto onere
di chi impugna e dispone dell’intero incarto processuale mettere la Corte di legittimità in
grado valutare la fondatezza della doglianza (Sezione VI, 11 dicembre 2012, Proc. Rep.
Trib. Roma in proc. Montenero ed altro).

E ciò tacendo dal rilievo che neppure è stato spiegato in che termini la pretesa
inutilizzabilità si riverberebbe sulla tenuta della misura cautelare sotto il profilo della

Gli stessi argomenti valgono relativamente al mancato avviso al difensore: il tribunale ha
esaminato la documentazione escludendone la rilevanza e, per vero, quella prodotta, non
risultando chiaro se e a chi inviata, non soddisfa il rilevato onere di allegazione.

Inaccoglibile è anche la doglianza sulle esigenze cautelari.

E’ pacifico, in proposito, che, in

materia di misure cautelari personali, la Corte di

cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle
vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, ne’ di rivalutazione delle
condizioni soggettive dell’indagato, in relazione alle esigenze cautelari ed alla
adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti di merito rientranti nel compito
esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato la misura e del tribunale del
riesame. Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame del contenuto dell’atto
impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e,
dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto
al fine giustificativo del provvedimento (Sezione V, 2 ottobre 2013, R.).

Nella specie, come rappresentato, il giudice della cautela ha ampiamente motivato sul
rischio di recidiva, in termini attualmente non rivisitabili, e in linea, peraltro, con la
lettera dell’articolo 274, lettera c),

c.p.p., in forza della quale la pericolosità sociale

dell’indagato deve risultare congiuntamente dalle specifiche modalità e circostanze del
fatto e dalla sua personalità.

Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa della ricorrente (Corte Cost., sent. 713 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna della ricorrente medesima al pagamento
delle spese processuali e di una somma, che congruamente si determina in mille euro, in
favore della cassa delle ammende.

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carenza degli elementi indiziari.

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso nella camera di consiglio in data 24 giugno 2014

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