Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30499 del 17/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 30499 Anno 2014
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
NAVE SALVATORE N. IL 02/09/1959
avverso l’ordinanza n. 2653/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 23/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO;
lette
• le conclusioni del PG Dott.
Mario Fraticelli, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso in
quanto manifestamente infondato;

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Data Udienza: 17/06/2014

RITENUTO IN FATTO

1. In data 23/05/2013 il Tribunale di Sorveglianza di Roma in composizione
monocratica, in persona del magistrato delegato, ha respinto il ricorso proposto
da Nave Salvatore avverso il decreto emesso 14/03/2012 dal medesimo
Tribunale, con il quale era stata dichiarata inammissibile l’istanza di ammissione
al patrocinio a spese dello Stato.

Ricorre per cassazione Salvatore Nave, con atto sottoscritto

personalmente, censurando l’ordinanza impugnata in quanto genericamente
motivata e viziata da palese violazione di legge per avere il magistrato adottato
tale decisione basandosi su semplici presunzioni senza svolgere accertamenti.
Secondo il ricorrente, in presenza di reati risalenti nel tempo e di un periodo di
detenzione intramuraria in regime di alta sorveglianza di oltre 11 anni, a fronte
di un’istanza in cui il condannato abbia attestato di non avere familiari
conviventi, né proprietà di beni mobili e immobili, e di disporre dei soli modesti
redditi derivanti dall’attività lavorativa svolta in carcere, il magistrato non
potrebbe limitarsi a svolgere il ragionamento presuntivo, essendo tenuto a
condurre una valutazione rigorosa avvalendosi di tutti gli strumenti di verifica a
sua disposizione e, in particolare, di quelli indicati dall’art.96, comma 3, d.P.R.
30 maggio 2002, n.115 per verificare l’attualità dello stato di povertà dell’istante
e i collegamenti con contesti delinquenziali.

3. Il Procuratore Generale, in persona del dott. Mario Fraticelli, nella sua
requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso in quanto
manifestamente infondato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. A norma dell’art.76, comma 4-bis d.P.R. n.115/2002, ai soggetti già
condannati, per quanto qui rileva, con sentenza definitiva per il reato di cui
all’art.74, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, si applica la presunzione di
superamento dei limiti reddituali previsti dal medesimo Testo Unico per
beneficiare del patrocinio a spese dello Stato.
2.1. È necessario richiamare, in sintesi, la motivazione della sentenza
additiva n.139 emessa dalla Corte Costituzionale il 14 aprile 2010, con cui è
stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art.76, comma
2

4-bis, d.P.R.

2.

n.115/2002 nella parte in cui, stabilendo che per i soggetti già condannati con
sentenza definitiva per i reati indicati nella stessa norma il reddito si ritiene
superiore ai limiti previsti per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, non
ammette la prova contraria. Nella pronuncia, la norma censurata è stata ritenuta
irragionevole in quanto statuiva una presunzione assoluta di ‘possesso di un
reddito superiore a quello minimo previsto dalla legge per coloro che fossero
stati condannati con sentenza irrevocabile per reati di criminalità organizzata
specificamente indicati. La Corte ha, in particolare, evidenziato come la
previsione della presunzione assoluta non ammettesse la prova contraria e

rendesse inutili ed irrilevanti eventuali indagini del giudice volte ad accertare le
effettive condizioni economiche dell’imputato, ritenendo irragionevole precludere
a soggetti condannati per reati commessi in un contesto di criminalità
organizzata la possibilità di accedere al patrocinio a spese dello Stato, ferma
restando la legittimità della presunzione circa la loro condizione reddituale
superiore ai limiti previsti per l’ammissione al beneficio, risultando in definitiva
che la compressione del diritto di difesa in successivi procedimenti, anche civili,
amministrativi, contabili e tributari si atteggiasse alla stregua di una sanzione.
Significativa appare l’indicazione fornita dalla Consulta in merito alla necessità di
dare ingresso nel giudizio ad elementi idonei ad illustrare percorsi individuali
successivi alla condanna definitiva per un reato che, in ragione dell’illimitata
durata della preclusione all’accertamento dell’effettiva situazione economica,
potrebbe essere molto risalente nel tempo, ad accertare l’allontanamento del
soggetto istante dal contesto criminale in cui è maturato il reato, a verificare le
conseguenze personali, economiche e sociali alle quali va incontro chi, partecipe
di un’associazione di stampo mafioso, tenti il reinserimento nella società, incontri
difficoltà a trovare lavoro e sconti, in vari campi della vita di relazione, la sua
pregressa appartenenza. Con specifico riferimento alle modalità attraverso le
quali deve essere dato ingresso nel giudizio a tali elementi, la Consulta ha
specificato come spetti al richiedente dimostrare, con allegazioni adeguate, il suo
stato di non abbienza ma, al contempo, come spetti al giudice verificare
l’attendibilità di tali allegazioni avvalendosi di ogni specie di strumento di
indagine; la semplice autocertificazione dell’interessato non costituisce, dunque,
elemento sufficiente e idoneo a superare la presunzione stabilita dalla legge,
essendo necessario che vengano indicati e documentati concreti elementi di
fatto, dai quali possa desumersi in modo chiaro e univoco l’effettiva situazione
economico-patrimoniale dell’imputato.
2.2. Corollario di tale lettura della norma è che solo in caso di allegazione di
concreti elementi di prova possa ritenersi sussistente l’obbligo per il giudice di
condurre una valutazione rigorosa, anche avvalendosi degli strumenti di verifica
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che la legge mette a sua disposizione, come ad esempio le informazioni che
possono essere acquisite ai sensi dell’art.96, comma 3, d.P.R. n.115/2002.

3. Questa Corte ha già espresso il proprio orientamento interpretativo a
seguito della citata dichiarazione d’incostituzionalità, affermando che sia compito
del richiedente dimostrare il suo stato di non abbienza, allegando concreti
elementi di fatto dai quali possa desumersi in modo chiaro ed univoco l’effettiva
situazione economico-patrimoniale in cui versa (Sez.4, n.21230 del 14/03/2012,

3.1. Nel caso in esame, il Tribunale ha ritenuto non sufficienti a dimostrare
lo stato di non abbienza le considerazioni, ritenute generiche, relative al lungo
periodo di sottoposizione alla detenzione intramuraria (dal giugno 2002) ove
confrontate con le numerose condanne riportate dall’istante per delitti relativi al
traffico di sostanze stupefacenti, anche di ingente quantità e in un lungo arco
temporale, e con la tendenza dell’istante all’associazionismo criminoso, valutato
recentemente dal Tribunale nell’ordinanza del 30/03/2012, con cui è stato
rigettato il reclamo avverso una richiesta di permesso premio.
3.2. Va, poi, considerato che il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza
emessa ai sensi dell’articolo 99 d.P.R. n.115/2002 è ammesso esclusivamente
per violazione di legge. Ed è pacifico che nel concetto di violazione di legge possa
comprendersi la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione
meramente apparente in quanto correlate all’inosservanza di precise norme
processuali, quali ad esempio l’art. 125 cod.proc.pen., secondo cui la
motivazione è prevista a pena di nullità. L’apparenza della motivazione del
provvedimento impugnato non consente, invero, il controllo del procedimento
logico seguito dal giudice. Non può invece ricomprendervisi la contraddittorietà o
la manifesta illogicità della motivazione, previste come autonomo motivo di
annullamento dall’art. 606 lett. e) cod.proc.pen., ne’ il travisamento del fatto
non risultante dal testo del provvedimento. Nella violazione di legge debbono,
quindi, intendersi inclusi sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi
della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a
sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di
coerenza, completezza e ragionevolezza.

4. L’ordinanza impugnata, letta alla luce della pronuncia del giudice delle
leggi, risulta esente dai suddetti vizi in quanto ha specificamente esaminato
l’elemento allegato dall’istante, consistente nel lungo periodo di detenzione
intramuraria, pari ad oltre 11 anni, ritenendo tuttavia che tale allegazione non
avesse introdotto nel giudizio un concreto elemento di prova contraria, sia in
4

Villano, Rv.252962; Sez.4, n.3372 del 1/12/2009, Pesce, Rv.246416).

ragione delle numerose condanne per delitti relativi al traffico di sostanze
stupefacenti, anche di ingente quantità e in un lungo arco temporale, sia per la
persistente tendenza all’associazionismo criminoso, risultante dal testo di
un’ordinanza emessa in data 30 marzo 2012 dal medesimo Tribunale; da tali
elementi il Tribunale ha desunto che l’istante non avesse maturato una
condizione di allontanamento dal contesto criminale di provenienza.
4.1. Nè può condividersi l’assunto del ricorrente secondo il quale il Tribunale
avrebbe avuto l’obbligo di chiedere le informazioni necessarie e utili relative alle

n.115/2002, posto che tale norma prevede che il magistrato richieda
preventivamente informazioni al questore, alla direzione investigativa
antimafia (DIA) ed alla direzione nazionale antimafia (DNA) nel caso in cui
l’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato sia stata formulata nel
corso di un procedimento relativo ad uno dei delitti previsti dall’art.51, comma 3bis, cod.proc.pen., con l’evidente finalità di escludere che sia in tali ipotesi

sufficiente l’autocertificazione, ossia in un’ipotesi diversa e per fini diversi
rispetto a quelli in cui opera la presunzione qui in esame, che presuppone che in
ordine ad alcuni dei sopra indicati delitti sia già intervenuta sentenza di
condanna irrevocabile.
4.2. In quest’ultima ipotesi può ritenersi, comunque, che il giudice proceda
ad accertamenti sulle condizioni economico-patrimoniali dell’istante anche alla
luce dell’interpretazione ampia riconosciuta dalla Corte di Strasburgo al concetto
di ‘insufficienza dei mezzi economici’, che costituisce la

ratio

del diritto

fondamentale dell’accusato all’assistenza gratuita riconosciuto dall’art.6, par.3,
lett c) CEDU (Corte EDU 25/04/1983, Pakelli c. Germania), senza ricorrere ad
affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative, a condizione che il
richiedente abbia introdotto nel giudizio, mediante allegazione di fatti concreti,
elementi di prova idonei a fondare la prova contraria richiesta per superare la
presunzione di legge.

5. Il ricorso deve, in definitiva, essere rigettato, affermandosi il seguente
principio di diritto: il compito del giudice di condurre accertamenti in merito alle
condizioni economico-patrimoniali dell’istante, anche ai sensi dell’art.96, comma
3, d.P.R. n.115/2002, è escluso qualora colui che chiede l’ammissione al
patrocinio a spese dello Stato versi in una delle condizioni previste dall’art.76,
comma 4-bis, d.P.R. n.115/2002 e non abbia allegato concreti elementi di fatto
tali da fondare la prova contraria idonea a superare la presunzione stabilita dal ,
citato art.76, comma 4-bis, d.P.R. n.115/2002.

5

sue condizioni economico-patrimoniali a norma dell’art.96, comma 3, d.P.R.

6. Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell’art.616 cod.proc.pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali

Così deciso il 17/06/2014

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