Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30495 del 12/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 30495 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Manno Enzo n. il 14.2.1971
nei confronti di:
Ministero dell’Economia e delle Finanze
avverso l’ordinanza n. 54/2012 pronunciata dalla Corte d’appello di
Reggio Calabria il 5.7.2013;
sentita nella camera di consiglio del 12.6.2014 la relazione fatta dal
Cons. dott. Marco Dell’Utri;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. F.
Salzano, che ha richiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

Data Udienza: 12/06/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con ordinanza resa in data 5.7.2013, la Corte d’appello di
Reggio Calabria ha rigettato la domanda proposta da Enzo Manno
per la riparazione dell’asserita ingiusta detenzione dallo stesso subita
in relazione al prospettato reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti (nel corso del procedimento di merito derubricato come violazione dell’art. 73 d.p.r. n. 309/90) dalla cui
imputazione il Manno era stato assolto nel merito.
Con il provvedimento impugnato, la corte reggina ha ritenuto
il comportamento del Manno idoneo a dar causa al provvedimento
restrittivo della sua libertà personale, per avere lo stesso, in modo
gravemente imprudente, coltivato frequentazioni con soggetti coinvolti nel medesimo reato associativo, con forme e modalità tali da risultare oggettivamente e gravemente indizianti in relazione alla specifica imputazione sollevata nei relativi confronti.
Avverso il provvedimento della corte d’appello di Reggio
Calabria, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione il Manno, censurando il provvedimento impugnato per violazione di legge e vizio di motivazione.
In particolare, si duole il ricorrente che la corte territoriale dopo aver illegittimamente richiamato il contenuto di conversazioni
intercettate già dichiarate inutilizzabili in sede di merito – abbia ritenuto causalmente rilevante e gravemente colpevole il complessivo
comportamento del ricorrente nel provocare l’adozione del provvedimento restrittivo dallo stesso sofferto, in assenza di alcun concreto
elemento probatorio di riscontro in tal senso utilizzabile, avuto particolare riguardo all’insussistenza, nel comportamento ascritto
all’istante, di alcuna forma di evidente e macroscopica imprudenza o
trascuratezza, suscettibile di integrare una causa ostativa al riconoscimento della riparazione invocata.
Con nota depositata in data 12.11.2013, il procuratore generale
presso la corte di cassazione ha concluso, in accoglimento del ricorso,
per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
Con memoria depositata in data 26.5.2014, il Mistero
dell’Economia e delle Finanze ha concluso per il rigetto del ricorso.
2. –

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Considerato in diritto
3. – Il ricorso è fondato.
Secondo il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione subita, le frequentazioni ambigue, ossia quelle che si prestano oggettivamente ad
essere interpretate come indizi di complicità, possono dar luogo ad
un comportamento gravemente colposo, idoneo a escludere la riparazione stessa, quando non siano giustificate da significativi rapporti
affettivi e siano poste in essere con la consapevolezza che trattasi di
soggetti coinvolti in traffici illeciti (cfr. Cass., Sez. 3, n. 363/2007, Rv.
238782).
In particolare, nei reati contestati in concorso, così come in
quelli associativi, la condotta di chi abbia tenuto comportamenti idonei ad essere percepiti come indicativi di una sua contiguità all’attività criminale altrui, integra gli estremi della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, purché l’agente fosse consapevole di detta attività illecita (Cass., Sez. 4, n. 45418/2010, Rv.
249237; Cass., Sez. 4, n. 37528/2008, Rv. 241218).
Sotto altro profilo — e in coerenza con tali principi — si è ritenuto che la colpa grave rilevante ai fini della riparazione per l’ingiusta
detenzione subita, pur potendo essere ravvisata anche in relazione a
un atteggiamento di connivenza passiva (allorché esso risulti aver rafforzato la volontà criminosa dell’agente), richiede, tuttavia, per essere
accertata, la prova positiva che il connivente fosse a conoscenza
dell’attività criminosa dell’agente medesimo (Cass., Sez. 4, n.
6878/2011, Rv. 252725; Cass., Sez. 4, n. 42039/2006, Rv. 235397).
Nel caso di specie, le argomentazioni indicate dalla corte reggina a sostegno del rigetto della domanda di riparazione avanzata dal
ricorrente devono ritenersi del tutto inadeguate sul piano logico.
In particolare, non può essere ascritto, nel caso di specie, alcun
valore alle ritenute frequentazioni sospette del Manno indicate nel
provvedimento impugnato, non avendo la corte territoriale evidenziato (di là dall’ancora equivoca e incerta prova dell’effettiva presenza
del Manno nelle circostanze di tempo e di luogo indicate nella motivazione dell’ordinanza della corte reggina) quali sarebbero stati gli
indici di obiettiva riconoscibilità ‘esterna’ dell’illecita condotta dei
soggetti asseritamente frequentati dal ricorrente, né adeguatamente
specificato l’origine, le ragioni e le forme di tali frequentazioni idonee

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a evidenziare gli eventuali profili d’imprudenza o l’indole incauta del
comportamento in tale contesto osservato dal Manno, eventualmente
idonei a giustificare l’adozione del provvedimento restrittivo dello
stesso sofferto.
Nella specie, il giudice a quo si è limitato a evidenziare unicamente gli aspetti di rapporti di frequentazione di per sé privi di alcun
obiettivo elemento di ambiguità, siccome non corroborati
dall’eventuale indicazione di indici probatori suscettibili di giustificarne un’interpretazione ragionevolmente sostenibile in termini di
prospettabile illiceità, avendo peraltro la stessa corte territoriale evidenziato la riconducibilità di taluni dei rapporti di frequentazione
pretesamente sospetti del Manno all’ambito delle proprie relazioni
affettive.
La stessa corte territoriale, peraltro, ha sottolineato come parte rilevante degli originari elementi indiziari utilizzati ai fini dell’accusa sollevata nei confronti del Manno consistessero nel contenuto di
conversazioni intercettate successivamente dichiarate inutilizzabili.
Sul punto, è appena il caso di richiamare l’insegnamento delle
sezioni unite di questa corte di legittimità, ai sensi del quale l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni di conversazioni, accertata
nel giudizio penale di cognizione, ha effetti anche nel giudizio promosso per ottenere la riparazione per ingiusta detenzione (v. Cass.,
Sez. Un., n. 1153/2008, Rv. 241667).
Tale principio riposa sulla premessa in forza della quale, al cospetto di intercettazioni eseguite fuori dei casi previsti dalla legge ovvero in violazione degli artt. 267 e 268 co. i e 3, c.p.p., si versa in ipotesi di palese “illegalità”: conseguenza che va al di là della sanzione
che il legislatore assume nei termini della “inutilizzabilità” e che fonda l’asserzione per cui, costituendo la disciplina delle intercettazioni
la concreta attuazione del precetto costituzionale, in quanto attuativa
delle garanzie da esso richieste a presidio della libertà e della segretezza delle comunicazioni, la sua inosservanza deve determinare la
totale “espunzione” del materiale processuale delle intercettazioni illegittime, che si concreta nella loro giuridica inutilizzabilità e nella
“fisica eliminazione” (Corte Cost. sent. n. 720/75; Cass., Sez. Un., n.
3/96). Eliminazione ora esplicitamente codificata, attraverso la modificazione dell’art. 240 c.p.p., che, predisponendo un’apposita disciplina in materia di “atti relativi a intercettazioni illegali”, e, più in

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particolare, di “atti concernenti dati e contenuti di conversazioni o
comunicazioni, relativi al traffico telefonico e telematico, illegalmente
formati o acquisiti”, ne ha sancito la “distruzione”, ossia l’eliminazione irreversibile da ogni protocollo giudiziario (Cass., Sez. Un., n.
1153/2008, cit.).
Del pari inidoneo ai fini del rigetto dell’istanza riparatoria
avanzata dal Manno deve ritenersi il riferimento, operata nell’ordinanza impugnata, a conversazioni intercettate intercorse tra terzi,
non valendo tali occorrenze a identificare alcuna forma di comportamento oggettivamente rimproverabile a carico del ricorrente, per
l’evidente totale estraneità dello stesso Manno allo scambio di tali
comunicazioni.
Sulla base di tali premesse, riconosciuta la fondatezza dei motivi di censura illustrati dall’odierno ricorrente, dev’essere pronunciato l’annullamento del provvedimento impugnato, con il conseguente
rinvio per nuovo esame alla corte territoriale competente, cui rimette
altresì le parti per la regolamentazione delle spese del presente giudizio.

Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Reggio Calabria cui rimette anche
il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12.6.2014.

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