Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30494 del 12/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 30494 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Rinella Giuseppe n. il 12.10.1978
nei confronti di:
Ministero dell’Economia e delle Finanze
avverso l’ordinanza n. 13/2012 pronunciata dalla Corte d’appello di
Palermo il 13.5.2013;
sentita nella camera di consiglio del 12.6.2014 la relazione fatta dal
Cons. dott. Marco Dell’Utri;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. E.
Delehaye, che ha richiesto il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 12/06/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con ordinanza resa in data 13.5.2013, la Corte d’appello di
Palermo ha rigettato la domanda proposta da Giuseppe Rinella per la
riparazione dell’asserita ingiusta detenzione dallo stesso subita in relazione al prospettato reato di associazione per delinquere di stampo
mafioso dalla cui imputazione il Rinella era stato assolto nel merito.
Con il provvedimento impugnato, la corte palermitana ha ritenuto il comportamento del Rinella idoneo a dar causa al provvedimento restrittivo della sua libertà personale, per avere lo stesso, in
modo gravemente imprudente, coltivato frequentazioni con soggetti
coinvolti nel medesimo reato associativo, con forme e modalità tali da
risultare oggettivamente e gravemente indizianti in relazione alla
specifica imputazione sollevata nei relativi confronti.
Avverso il provvedimento della corte d’appello di Palermo,
a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione il
Rinella, censurando il provvedimento impugnato per violazione di
legge e vizio di motivazione.
In particolare, si duole il ricorrente che la corte territoriale dopo aver illegittimamente acquisito d’ufficio la prova dell’eventuale
colpa grave ostativa al riconoscimento dell’indennità riparatoria rivendicata – abbia ritenuto causalmente rilevante e gravemente colpevole il complessivo comportamento del ricorrente nel provocare
l’adozione del provvedimento restrittivo dallo stesso sofferto, in assenza di alcun concreto elemento probatorio di riscontro in tal senso
utilizzabile, avuto particolare riguardo all’insussistenza, nel comportamento ascritto all’istante, di alcuna forma di evidente e macroscopica imprudenza o trascuratezza, suscettibile di integrare una causa
ostativa al riconoscimento della riparazione invocata.
Con nota depositata in data 7.11.2013, il procuratore generale
presso la corte di cassazione ha concluso per il rigetto del ricorso.
Con memoria depositata in data 15.5.2014, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha concluso per il rigetto del ricorso.
Con memoria di replica depositata in data 6.6.2014, il ricorrente ha insistito per raccoglimento del ricorso.
2. –

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Considerato in diritto
3. – Preliminarmente, dev’essere disattesa la doglianza sollevata dal Rinella con riguardo alla pretesa illegittimità dell’impulso
istruttorio d’ufficio seguito dalla corte territoriale nella decisione
sull’istanza di riparazione avanzata dal ricorrente.
Al riguardo, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale il procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione, pur presentando indubbie connotazioni civilistiche, riguarda pur sempre un rapporto obbligatorio di diritto pubblico, con incidenza sul principio civilistico dell’esclusiva disponibilità delle prove in capo alle parti; pertanto il giudice della riparazione ben può procedere ad attività integrativa di ufficio ovvero invitare le parti a integrare la documentazione presentata (Cass., Sez. 4, n. 3042/2000, Rv. 216735).
In particolare, in tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, costituisce causa impeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione l’avere l’interessato dato causa, per dolo o per colpa grave,
all’instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare (art. 314,
comma i, ultima parte, cod. proc. pen.); l’assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all’equa riparazione, deve essere accertata d’ufficio dal giudice, indipendentemente
dalla deduzione della parte (Cass., Sez. 4, n. 34181/2002, Rv.
226004).
Nel merito, il ricorso è fondato.
Secondo il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione subita, le frequentazioni ambigue, ossia quelle che si prestano oggettivamente a
essere interpretate come indizi di complicità, possono dar luogo a un
comportamento gravemente colposo, idoneo a escludere la riparazione stessa, quando non siano giustificate da significativi rapporti affettivi e siano poste in essere con la consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti (cfr. Cass., Sez. 3, n. 363/2007, Rv.
238782).
In particolare, nei reati contestati in concorso, così come in
quelli associativi, la condotta di chi abbia tenuto comportamenti idonei a essere percepiti come indicativi di una sua contiguità all’attività
criminale altrui, integra gli estremi della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, purché l’agente fosse consape-

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vole di detta attività illecita (Cass., Sez. 4, n. 45418/2010, Rv.
249237; Cass., Sez. 4, n. 37528/2008, Rv. 241218).
Sotto altro profilo — e in coerenza con tali principi — si è ritenuto che la colpa grave rilevante ai fini della riparazione per l’ingiusta
detenzione subita, pur potendo essere ravvisata anche in relazione a
un atteggiamento di connivenza passiva (allorché esso risulti aver rafforzato la volontà criminosa dell’agente), richiede, tuttavia, per essere
accertata, la prova positiva che il connivente fosse a conoscenza
dell’attività criminosa dell’agente medesimo (Cass., Sez. 4, n.
6878/2011, Rv. 252725; Cass., Sez. 4, n. 42039/2006, Rv. 235397).
Nel caso di specie, le argomentazioni indicate dalla corte palermitana a sostegno del rigetto della domanda di riparazione avanzata dal ricorrente devono ritenersi del tutto inadeguate sul piano logico.
In particolare, non può essere ascritto, nel caso di specie, alcun
valore alle ritenute frequentazioni sospette del Rinella indicate nel
provvedimento impugnato, non avendo la corte territoriale evidenziato quali sarebbero stati gli indici di obiettiva riconoscibilità ‘esterna’ dell’illecita condotta dei soggetti frequentati dal ricorrente, né
adeguatamente specificato l’origine, le ragioni e le forme di tali frequentazioni idonee a evidenziare gli eventuali profili d’imprudenza o
l’indole incauta del comportamento in tale contesto osservato dal Rinella eventualmente idonei a giustificare l’adozione del provvedimento restrittivo dello stesso sofferto.
Nella specie, il giudice a quo si è limitato a evidenziare unicamente gli aspetti di rapporti di frequentazione di per sé privi di alcun
obiettivo elemento di ambiguità, siccome non corroborati
dall’eventuale indicazione di indici probatori suscettibili di giustificarne un’interpretazione ragionevolmente sostenibile in termini di
prospettabile illiceità, avendo peraltro la stessa corte territoriale evidenziato la riconducibilità di taluni dei rapporti di frequentazione
pretesamente sospetti del Rinella al proprio ambito familiare.
La stessa corte territoriale, peraltro, ha sottolineato come gli
originari elementi indiziari utilizzati ai fini dell’accusa sollevata nei
confronti del Rinella fossero venuti meno a seguito dell’accertamento
della totale estraneità dello stesso a talune delle conversazioni intercettate, oltre che dell’impossibile imputabilità al medesimo Rinella di
altri dialoghi captati nel corso delle indagini.

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Del pari inidoneo ai fini del rigetto dell’istanza riparatoria
avanzata dal Rinella deve ritenersi il riferimento, operata nell’ordinanza impugnata, a conversazioni intercettate intercorse tra terzi, o
alla missiva scambiata tra tali Bernardo Provenzano e Salvatore Lo
Piccolo, non valendo tali circostanze a identificare alcuna forma di
comportamento oggettivamente rimproverabile a carico del ricorrente, per l’evidente totale estraneità dello stesso Rinella allo scambio di
tali comunicazioni.
Sulla base di tali premesse, riconosciuta la fondatezza dei motivi di censura illustrati dall’odierno ricorrente, dev’essere pronunciato l’annullamento del provvedimento impugnato, con il conseguente
rinvio alla corte territoriale competente per nuovo esame.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Palermo cui rimette anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12.6.2014.

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