Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30492 del 12/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 30492 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Dispensa Gaetano n. il 25.5.1951
nei confronti di:
Ministero dell’Economia e delle Finanze
avverso l’ordinanza n. 104/2012 pronunciata dalla Corte d’appello di
Palermo il 20.5.2013;
sentita nella camera di consiglio del 12.6.2014 la relazione fatta dal
Cons. dott. Marco Dell’Utri;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. A.
Policastro, che ha richiesto il rigetto del ricorso.

Data Udienza: 12/06/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con ordinanza in data 20.5.2013, la corte d’appello di Palermo ha rigettato l’istanza avanzata da Gaetano Dispensa diretta alla
riparazione dell’asserita ingiusta detenzione dallo stesso subita a seguito dell’emissione, da parte della procura generale presso la corte
d’appello di Palermo, dell’ordine di esecuzione relativo alla condanna
definitiva dallo stesso subita in relazione alla commissione del reato
(permanente) di associazione per delinquere pronunciata dal tribunale di Agrigento in data 12.1.2007; ordine di esecuzione emesso dal
pubblico ministero senza tener conto dell’incidenza estintiva della
pena esercitata dal beneficio dell’indulto del quale il Dispensa aveva
diritto a godere, come peraltro successivamente accertato, in sede di
esecuzione, dallo stesso tribunale di Agrigento (con provvedimento
del 21.12.2011), ch’ebbe a determinare la data di cessazione della
permanenza del reato ascritto al Dispensa in epoca anteriore
all’introduzione legislativa del provvedimento di indulto.
A sostegno della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato l’infondatezza della pretesa indennitaria del Dispensa, tenuto
conto che l’ordine di esecuzione emesso dalla procura generale presso
la corte d’appello di Palermo (che aveva individuato, quale data di
cessione della permanenza del reato associativo, quella di emissione
della sentenza di primo grado, successiva all’entrata in vigore della
legge sull’indulto) doveva ritenersi del tutto legittimo al momento
della sua emissione, attesa l’avvenuta applicazione dell’indulto, in favore dell’interessato, solo in epoca successiva in sede di esecuzione.
Avverso il provvedimento della corte d’appello di Palermo,
a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione il
Dispensa, censurando l’ordinanza impugnata per violazione di legge e
vizio di motivazione.
In particolare, il ricorrente si duole dell’erroneità del provvedimento della corte territoriale nella parte in cui ha omesso di rilevare l’illegittimità dell’ordine di esecuzione emesso dalla procura generale presso la corte di appello di Palermo, avendo quest’ultima illegittimamente negato il riconoscimento dell’estinzione dell’intera pena
inflitta a carico del Dispensa per effetto dell’indulto introdotto sulla
base di una legge entrata in vigore successivamente alla cessazione
della permanenza del reato associativo allo stesso ascritto, come peraltro successivamente riconosciuto dallo stesso giudice
dell’esecuzione.
2. –

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3

Considerato in diritto
3. – Il ricorso è fondato.
Secondo il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità, il pubblico ministero che procede all’emissione dell’ordine di
esecuzione, è obbligatoriamente chiamato a tener conto dell’eventuale incidenza dell’indulto sull’entità della pena da eseguire anche nel
caso in cui detto indulto non fosse stato ancora applicato dal giudice
dell’esecuzione; con la conseguenza che il pubblico ministero deve ritenersi vincolato a disporre la sospensione provvisoria dell’esecuzione qualora, all’esito del calcolo così effettuato, la pena residua non
superi i limiti previsti dall’art. 656, co. 5, c.p.p., ovvero, a fortiori
(come nel caso di specie), del tutto estinta (cfr. Cass., Sez. i, n.
39285/2010, Rv. 248840; Cass., Sez. i, n. 40548/2009, Rv. 245357;
Cass., Sez. 1, n. 8430/2008, Rv. 243195).
Al riguardo, occorre rilevare come, se è indubbio che spetti al
giudice dell’esecuzione la valutazione dell’eventuale applicabilità o
meno del provvedimento di clemenza ed eventualmente la statuizione
sull’estinzione della pena, non può per ciò solo escludersi
un’anticipata incidenza del provvedimento contemplante il beneficio
anche – e soprattutto – ai fini di cui all’art. 656, co. 5, c.p.p..
Una siffatta interpretazione s’impone, non solo per esigenze di
razionalità del sistema (che tende ad evitare la carcerazione di soggetti condannati a pene detentive brevi e a privilegiare, ove possibile,
l’espiazione delle pene mediante ricorso a misure alternative alla detenzione), ma anche in ragione del disposto di cui all’art. 672, co. 3,
c.p.p., che consente al pubblico ministero che cura l’esecuzione della
sentenza di condanna di disporre provvisoriamente la liberazione del
condannato detenuto prima che essa sia definitivamente ordinata con
il provvedimento che applica l’amnistia o l’indulto, dovendosi ritenere che quanto previsto in relazione al condannato detenuto sia, a
maggior ragione, applicabile allorquando il possibile fruitore del beneficio si trovi in stato di libertà (cfr. sul punto, Cass., Sez. 1, n.
8430/2008, cit.).
Sulla base di tali premesse, deve pertanto ritenersi, con riguardo al caso di specie, che la procura generale presso la corte
d’appello di Palermo, nel procedere erroneamente alla determinazio-

Ha depositato memoria il procuratore generale presso la corte
di cassazione, concludendo per il rigetto del ricorso.
Con memoria depositata in data 28.5.2014, il Ministero
dell’Economia e delle Finanze ha concluso per il rigetto del ricorso.

ne della cessazione della permanenza del reato associativo ascritto al
Dispensa in corrispondenza con l’emissione della sentenza di condanna di primo grado (con la conseguente omessa considerazione
dell’incidenza dell’indulto medio tempore introdotto per via legislativa), ha emesso un ordine di esecuzione illegittimo (o, quantomeno,
erroneo), avendo trascurato di accertare che, in concreto, la cessazione della permanenza del reato associativo de quo doveva individuarsi
in corrispondenza di una data anteriore all’entrata in vigore della legge introduttiva dell’indulto (come peraltro successivamente riconosciuto dal giudice dell’esecuzione); beneficio alla cui applicazione,
pertanto, il Dispensa aveva pieno diritto, con il conseguente diritto di
vedersi riconoscere — già da parte del pubblico ministero responsabile per l’esecuzione della pena – l’estinzione dell’intera pena allo stesso
irrogata.
L’avvenuta sottoposizione del ricorrente alla restrizione della
propria libertà personale sulla base di un ordine di esecuzione illegittimo (o erroneo) deve ritenersi pertanto tale da legittimare l’interessato alla rivendicazione dell’indennità per la riparazione dell’ingiusta
detenzione subita, in conformità ai principi desumibili dalla giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte Cost. sentenza n. 310/1996), alla
cui stregua deve ritenersi illegittimo l’art. 314 del codice di procedura
penale, nella parte in cui non prevede il diritto all’equa riparazione
anche per la detenzione ingiustamente patita a causa di un erroneo
ordine di esecuzione.
Il complesso delle argomentazioni che precede impone l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio per nuovo
esame alla corte d’appello di Palermo, cui è altresì rimessa la regolazione delle spese del presente giudizio.
Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Palermo cui rimette il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12.6.2014.

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