Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30471 del 17/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 30471 Anno 2014
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: SERRAO EUGENIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COSENTINO DOMENICO N. IL 30/09/1984
avverso la sentenza n. 4217/2011 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
24/09/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EUGENIA SERRAO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
Aldo Policastro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore, Avv. Sofia Cavini, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;

Data Udienza: 17/06/2014

RITENUTO IN FATTO

1. In data 24/09/2012 la Corte di Appello di Firenze ha confermato la
sentenza emessa il 31/05/2011 dal Tribunale di Pistoia, che aveva dichiarato
Cosentino Domenico colpevole del reato di cui all’art. 589, comma 2, cod.pen.
perchè, in qualità di datore di lavoro e legale rappresentante della Fi.Edil s.r.I.,
per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, nonché in violazione
della normativa antinfortunistica, aveva cagionato la morte del lavoratore

2. Il giudice di primo grado aveva così ricostruito la dinamica dell’infortunio:
Francesco Lanciano lavorava presso il cantiere edile sito in Serravalle Pistoiese,
via Catavoli 74 quale dipendente della Fi.Edil s.r.I., che stava eseguendo in
appalto opere di carpenteria, lavorazione e posa in ferro e cemento armato per
la realizzazione di due abitazioni bifamiliari; il lavoratore era intento a disarmare
dalle tavole di legno la parte esterna di un muro in cemento armato realizzato il
giorno prima e si trovava nello spazio compreso tra tale manufatto e il ciglio
dello scavo eseguito in precedenza da altra ditta, che non era munito di alcuna
opera di protezione; a causa di infiltrazioni da una pregressa perdita di acqua da
un tubo sotterraneo, si era prodotta un’improvvisa frana che aveva travolto il
lavoratore, seppellendolo.
2.1. In particolare, Lanciano Francesco stava lavorando sul fronte nord dello
scavo di fondazione, che aveva una profondità di 5,70 metri ed un’inclinazione
vicina ai 90 gradi; tale inclinazione era stata voluta dal committente, in
difformità rispetto al progetto originario, e nel Piano di Sicurezza e
Coordinamento (PSC) era stato disposto, proprio in ragione della creazione di
tale parete verticale, che fosse eseguita un’opera provvisionale detta
‘sbadacchiatura’. Ritenendo che non fossero rimproverabili all’imputato i profili di
colpa specifica contestatigli, in particolare l’omessa realizzazione della
sbadacchiatura e l’omessa attuazione di quanto previsto in proposito nel PSC,
trattandosi di opera di esclusiva competenza di chi aveva eseguito lo scavo, il
Tribunale aveva ravvisato nella condotta del Cosentino la colpa generica,
consistita nell’aver scelto di far eseguire ai propri operai un lavoro ai piedi di uno
scavo non messo in sicurezza, come invece previsto nel PSC.

3. Ricorre per cassazione Domenico Cosentino, con atto sottoscritto dal
difensore, censurando la sentenza impugnata per i seguenti motivi:
a) violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c) in relazione agli artt.178,
comma 1, lett. c) e 180 cod. proc.pen. con riferimento agli artt.157,comma 8-bis
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Lanciano Francesco.

e 148, comma 2 bis, cod. proc.pen., ossia di norme processuali stabilite a pena

di nullità. Il ricorrente deduce di aver eccepito dinanzi al Giudice dell’udienza
preliminare, al Giudice monocratico del Tribunale di Pistoia ed alla Corte di
Appello di Firenze la nullità della notificazione all’imputato della richiesta di rinvio
a giudizio con contestuale avviso di udienza preliminare a mezzo fax presso i
difensori nonché della notificazione, con le stesse modalità, dell’avviso di udienza
preliminare ai difensori, in quanto effettuate senza un formale provvedimento
autorizzatorio dell’autorità giudiziaria. I giudici di merito avrebbero respinto tale

b) violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c) in relazione agli artt. 178,
comma 1, lett.c) e 180 cod. proc.pen. in riferimento all’art. 161, comma 4, cod.
proc.pen., ossia di norme processuali stabilite a pena di nullità. Il ricorrente
deduce di aver eccepito all’udienza del 24 settembre 2012 la nullità della
notificazione del decreto di citazione per l’udienza di appello all’imputato in
quanto eseguita ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod.proc.pen. ai difensori a
seguito di un precedente tentativo effettuato nella residenza dell’imputato, in
occasione del quale l’ufficiale giudiziario non aveva reperito alcuna persona in
grado di ricevere l’atto. La Corte territoriale, si assume, avrebbe respinto
l’eccezione sul presupposto che l’imputato avesse eletto domicilio nel luogo di
residenza, laddove non risulta che egli abbia mai eletto o dichiarato domicilio in
alcun atto processuale; all’epoca della notifica del decreto di citazione per
l’udienza d’appello, in ogni caso, la notificazione presso la residenza era del tutto
possibile, con conseguente nullità della notificazione effettuata ai sensi
dell’art.161, comma 4, cod. proc.pen.;
c) violazione dell’art. 606, comma 1, lett.b) in relazione agli artt. 589,
comma 2, cod.pen. e degli artt. 110 (rectius 100) e 118 d.lgs. 9 aprile 2008,
n.81 nonché vizio di motivazione in relazione alla qualificazione del fatto di
omicidio colposo come aggravato. Secondo il ricorrente, la Corte di Appello
avrebbe travisato il fatto e le risultanze emerse nel corso del giudizio, ritenendo
che il Tribunale avesse ritenuto sussistente l’aggravante della violazione di
specifica norma antinfortunistica, ossia l’art.100 d. Igs. n. 81/2008, ricostruendo
il fatto come se il lavoratore deceduto stesse lavorando al disarmo della parete
crollata e attribuendo all’imputato la violazione delle prescrizioni contenute in un
documento antinfortunistico diverso da quello indicato nel capo d’imputazione;
d) violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) in relazione all’art. 589, comma
2, cod.pen. e degli artt. 100 e 118 d. Igs. n. 81/2008 nonché vizio di motivazione
in relazione alla qualificazione del fatto di omicidio colposo come aggravato sotto
altro e diverso profilo. Secondo il ricorrente, la violazione di specifiche norme
antinfortunistiche ascrittagli nella sentenza impugnata non sarebbe inerente ad
3

eccezione sulla base di argomentazioni erronee;

obblighi di sua competenza e in ogni caso risulterebbe riferita alla violazione di
prescrizioni contenute in un piano di sicurezza e coordinamento inadeguato e
incomprensibile, viziando di illogicità la pronuncia, che ha ritenuto esigibile
dall’imputato la condotta di attuazione del contenuto di tale piano in relazione
alla parete già scavata da altra impresa, ossia una lavorazione esulante dalle
competenze e dalle conoscenze del Cosentino;
e) violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) in relazione agli artt. 45 e 589
cod.pen., 100 e 118 d. Igs. n. 81/2008 e in relazione all’art. 530, comma 2, e

acqua. Il ricorrente deduce che, essendo la frana conseguenza di una perdita
idrica proveniente da una tubatura danneggiata dell’edificio limitrofo a quello in
costruzione, avrebbe dovuto essere applicata alla fattispecie la norma di cui
all’art.45 cod.pen. in materia di caso fortuito idoneo ad escludere la colpa, anche
generica, dell’imputato, mentre la Corte territoriale, con motivazione illogica e
contraddittoria, violando la regola secondo cui la condanna è consentita solo se
l’imputato risulti colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio, avrebbe ammesso
che nella serie causale dell’evento potesse essersi inserita l’infiltrazione per poi,
tuttavia, concludere che l’imputato ne fosse comunque responsabile;
f) violazione dell’art. 606, comma 1, lett.b) in relazione agli artt. 62 bis, 133
e 589 cod.pen. nonché vizio di motivazione in relazione alla quantificazione della
pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di ricorso concernenti la violazione di norme processuali stabilite
a pena di nullità sono infondati.

2. Il ricorrente ripropone in questa sede la questione della nullità della
notificazione della richiesta di rinvio a giudizio e contestuale avviso di udienza
preliminare a mezzo fax presso i difensori nonché della notifica, con le stesse
modalità, dell’avviso di udienza preliminare ai difensori, in quanto tale mezzo di
comunicazione sarebbe stato adottato senza previa autorizzazione dell’autorità
giudiziaria, senza, tuttavia, dedurre la lesione concretamente derivatane né
l’omesso raggiungimento dello scopo dell’atto.
2.1. Occorre, preliminarmente, evidenziare che, secondo quanto emerge
dagli atti, le notificazioni all’imputato sono state eseguite ai sensi dell’art.148,
comma 2-bis, cod.proc.pen. al difensore domiciliatario in base al disposto
dell’art.157, comma

8-bis,

cod.proc.pen. e non ai sensi dell’art.150

cod.proc.pen.; la precisazione è necessaria, posto che solo in tale second
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533 cod. proc.pen. nonché vizio di motivazione in relazione all’infiltrazione di

ipotesi la legge richiede espressamente che il giudice emetta decreto motivato di
autorizzazione alla notificazione mediante l’impiego di mezzi tecnici che
garantiscano la conoscenza dell’atto.
2.2. Come già affermato da questa Corte in una pronuncia a Sezioni Unite, il
comma 2-bis dell’art.148 cod.proc.pen., introdotto dall’art. 9, comma 1, lett. b),
I. 15 dicembre 2001, n. 438, di conversione, con modificazioni, del d.l. 18
ottobre 2001, n. 374, costituisce la fisiologica evoluzione, in relazione alle
modificazioni e diffusione dei mezzi tecnici di trasmissione degli atti intervenute

data di entrata in vigore del codice di rito, in attuazione di quanto previsto dalla
direttiva di cui all’art. 2, comma 1, n. 9, della legge-delega 16 febbraio 1987, n.
81, che prevedeva la “semplificazione del sistema delle notificazioni, con
possibilità di adottare anche nuovi mezzi di comunicazione”
(Sez. U, Sentenza n. 28451 del 28/04/2011 , Pedicone, Rv. 250121). Si tratta di
una norma aperta che non specifica la natura dei mezzi tecnici alternativi alle
ordinarie forme di notificazione, onde agevolare il compito dell’interprete in
relazione all’evoluzione nel tempo degli strumenti di comunicazione. Ma la natura
innovativa di quanto previsto dall’art. 148, comma 2-bis, cod. proc. pen. emerge
evidente dal raffronto tra le due norme: una prima differenza è data dalla
previsione, contenuta nell’art. 150, comma 1, cod. proc. pen., che le forme
diverse di notificazione siano consigliate da “circostanze particolari”, mentre la
notificazione a mezzo fax al difensore non è condizionata, ad esempio, da ragioni
di urgenza (Sez. 1, n. 11472 del 10/01/2011 , Tassone e altro, Rv. 249602); ai
sensi dell’art.150, inoltre, l’impiego, per la notificazione, “di mezzi tecnici che
garantiscano la conoscenza dell’atto” deve essere stabilita dal giudice con
decreto motivato, che indichi (comma 2) “le modalità necessarie per portare
l’atto a conoscenza del destinatario”, laddove il comma 2-bis dell’art. 148 cod.
proc. pen. rimette, invece, alla discrezionalità dell’autorità giudiziaria,
comprendendo quindi anche il pubblico ministero, disporre che le notificazioni o
(anche) gli avvisi “siano eseguiti con mezzi tecnici idonei”, senza che sia
necessario emettere un provvedimento che lo giustifichi (Sez. 1, n. 34028 del
14/09/2010, Ferrera, Rv 248184; Sez. 2, n. 8031 del 09/02/2010, Russo, Rv.
246450).
2.3. Tanto sarebbe sufficiente per giudicare infondato il primo motivo di
ricorso qui in esame.
3. E’, tuttavia necessario aggiungere, per completezza argomentativa,
alcune, ulteriori, considerazioni. Con la citata pronuncia, le Sezioni Unite di
questa Corte (Sez. U, n. 28451 del 28/04/2011, Pedicone, Rv. 250121),
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nel corso del tempo, di quanto già previsto dall’art. 150 cod. proc. pen. fin dalla

chiamate a dirimere il contrasto giurisprudenziale in merito alla questione “se la
notificazione di un atto destinato all’imputato o ad altra parte privata, in ogni
caso in cui la consegna debba essere fatta al difensore, possa essere eseguita
con telefax o con altri mezzi idonei, a norma dell’art. 148, comma 2-bis, cod.
proc. pen.”, hanno affermato che le modalità diverse di notificazione o
comunicazione degli avvisi stabilite dall’art. 148, comma 2-bis, cod. proc. pen.
sono utilizzabili esclusivamente per gli atti che devono essere ricevuti dai
difensori, mentre le notificazioni previste dall’art. 150 cod. proc. pen. possono

previsione contenuta nell’art.148, comma 2-bis, cod.proc.pen., si è detto, è in
rapporto di specialità, non solo con l’art.150 cod.proc.pen. con riguardo al profilo
dei destinatari (Sez. 4, n. 41051 del 02/12/2008,Davidovits, Rv. 241329), ma
anche in relazione all’art.148 cod.proc.pen. per quanto riguarda la disciplina
generale delle forme e degli organi delle notificazioni.
L’art.148, comma

2-bis,

cod.proc.pen. risulta, dunque, applicabile in via

esclusiva per gli atti che devono essere ricevuti dai difensori e prescinde dalle
prescrizioni formali dettate dal legislatore del 1988 per rendere certa la ricezione
dell’atto da parte del suo destinatario, evidentemente in considerazione delle
qualità professionali del difensore, nonché presumibilmente della maggiore
affidabilità dei mezzi tecnici di trasmissione degli atti intervenuta nel frattempo.
La norma, peraltro, ripete sostanzialmente il contenuto di quanto già previsto
dall’art. 54, comma 2, disp. att. cod. proc. pen. per la trasmissione all’ufficiale
giudiziario degli atti da notificare. Sicché deve essere ravvisato un parallelo, di
non secondaria importanza, tra l’omogeneità della disciplina prevista per la
trasmissione degli atti tra organi dell’amministrazione giudiziaria e tra questi
ultimi e la categoria professionale degli avvocati.
3.1. Dalla collocazione sistematica della norma nell’art.148 cod.proc.pen.,
che disciplina in generale ‘gli organi e le forme delle notificazioni’, si è desunto
che il legislatore ha previsto l’uso di mezzi tecnici idonei per le notificazioni o gli
avvisi ai difensori quale sistema ordinario, generalizzato, alternativo all’impiego
dell’ufficiale giudiziario o di chi ne esercita le funzioni (comma 1), purché sia
assicurata l’idoneità del mezzo tecnico (Sez. 2, n. 8031 del 09/02/2010, Russo,
Rv. 246450), individuando nei difensori i ‘naturali’ possibili destinatari o
consegnatari delle notificazioni o avvisi con l’uso di mezzi tecnici idonei sul mero
presupposto fattuale che il destinatario della notificazione ai sensi dell’art. 148,
comma 2-bis, cod. proc. pen. abbia comunicato all’autorità giudiziaria il proprio
numero di telefax o lo abbia comunque reso di pubblico dominio.
3.2. Sulla base di tali considerazioni, la citata pronuncia delle Sezioni Unite
ha riconosciuto all’art. 148, comma 2-bis, cod. proc. pen., natura di disposizione

essere disposte nei confronti di qualunque persona diversa dall’imputato. La

di carattere generale in ordine alle modalità di notificazione degli atti o degli
avvisi che devono essere ricevuti dai difensori, anche nella qualità di
domiciliatari, a qualsiasi titolo, dell’imputato o indagato, richiamando peraltro il
dato testuale dell’art.157, comma 8-bis, cod. proc. pen. (aggiunto dall’art. 2,
comma 1, d.l. 21 febbraio 2005, n. 17, recante “Disposizioni urgenti in materia
di impugnazione delle sentenze contumaciali e dei decreti di condanna”,
convertito, con modificazioni, dalla 1.22 aprile 2005, n. 60) che, nel prevedere
che le notificazioni all’imputato non detenuto, successive alla prima, siano

difensori, stabilisce che per “le modalità della notificazione si applicano anche le
disposizioni previste dall’art. 148, comma 2-bis”.
3.3. Investita del giudizio di legittimità costituzionale avente ad oggetto tale
ultima disposizione, la Consulta (Corte Cost. n.136 del 5 maggio 2008) ha
richiamato il criterio del bilanciamento tra il diritto di difesa degli imputati e la
speditezza del processo, al quale l’interprete è tenuto a conformarsi
nell’applicazione delle norme in tema di notificazioni.
3.4. Con riguardo, poi, allo specifico profilo della necessità di una preventiva
autorizzazione dell’autorità giudiziaria, l’evidenziata differenza tra la norma qui
applicabile e l’art.150 cod.proc.pen. conduce a ritenere estranea al tema delle
forme delle notificazioni, dunque inidonea ad incidere sulla validità dell’atto ai
sensi dell’art.606, comma 1, lett. c) cod.proc.pen., la modalità di redazione della
scelta organizzativa di carattere generale, estranea al fascicolo processuale, con
cui l’autorità giudiziaria disponga che l’Ufficio utilizzi il telefax per le notificazioni
degli atti ai difensori.
3.5. Può, conseguentemente, affermarsi il seguente principio di diritto: è
legittima la notificazione di atti del processo destinati all’imputato, eseguita
mediante consegna al difensore a mezzo telefax, il cui impiego è consentito non
solo con riguardo alle notifiche al difensore in quanto tale, ma anche con
riferimento a quelle destinate al suo assistito, senza la necessità che sia inserito
nel fascicolo processuale un preventivo decreto di autorizzazione dell’autorità
giudiziaria, essendo ininfluente sulla validità dell’atto la scelta organizzativa di
carattere generale in base alla quale l’Ufficio sia stato autorizzato a servirsi del
telefax per le notificazioni degli atti ai difensori.

4. Giova, qui, svolgere ulteriori considerazioni di carattere generale, rilevanti
ai fini della decisione, anche con riferimento al secondo motivo di ricorso, in cui
si è dedotta la nullità della notificazione del decreto di citazione a giudizio in
appello per erronea applicazione dell’art.161, comma 4, cod.proc.pen.

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eseguite, in caso di nomina di difensore di fiducia, mediante consegna ai

4.1. Dall’esame della prima censura, così come dall’esame della seconda,
nonché degli atti allegati al ricorso, risulta che, assente il Cosentino, i difensori di
fiducia dell’imputato abbiano entrambi partecipato all’udienza preliminare,
all’udienza dibattimentale in primo grado ed all’udienza dibattimentale in grado
di appello. Non è contestato, inoltre, che i difensori di fiducia abbiano ricevuto
tutti gli avvisi per le udienze e la notificazione della richiesta di rinvio a giudizio,
dell’avviso dell’udienza preliminare e del decreto di citazione a giudizio in appello
destinati all’imputato, loro assistito.

fiduciario che lega l’imputato al suo difensore, tale da implicare il sorgere di un
rapporto “di continua e doverosa informazione da parte di quest’ultimo nei
confronti del suo cliente, che riguarda ovviamente, in primo luogo, la
comunicazione degli atti”. Anche la citata pronuncia della Corte costituzionale
(n.136 del 5 maggio 2008), come ripetutamente la giurisprudenza di questa
Corte, sia pure con specifico riferimento all’onere del difensore di assicurare la
funzionalità degli apparecchi di cui è dotato il suo studio professionale
(Sez. 2, n. 2233 del 04/12/2013, dep. 20/01/2014, Ortolan, Rv. 258286; Sez.
U, n. 39414 del 30/10/2002, dep. 22/11/2002, Arrivoli, Rv 222553; Sez. 6, n.
34860 del 19/09/2002, dep. 17/10/2002, Fisheku, Rv 222578), hanno posto in
rilievo l’onere di diligenza a carico del difensore che sia consegnatario delle
notificazioni. Tale dovere di informazione da parte del difensore nei confronti del
proprio assistito, sia pure riferito in generale alla illustrazione dei diritti e facoltà
dell’imputato e degli atti che lo riguardano, era stato già affermato dalla Corte di
Strasburgo (Corte EDU 18/10/2006 Hermi c. Italia; Corte EDU 28/02/2008
Demebukov c. Bulgaria), potendosi fare affidamento anche su tale dovere
nell’ottica di bilanciare il diritto di difesa con le esigenze di celerità del processo.
4.3. Una seconda considerazione concerne il bilanciamento tra il principio
della ragionevole durata del processo ed il diritto di difesa, che trova il suo punto
d’integrazione nell’accertamento della concreta lesività dell’atto asseritamente
nullo in relazione all’interesse che la regola violata mira a tutelare.
4.4. Non può essere ignorato, in proposito, il particolare regime della
sanatoria delle nullità non assolute concernenti citazioni, avvisi e notificazioni
previsto dall’art.184 cod.proc.pen., che permette di ritenere sanata la nullità sul
mero presupposto che la parte interessata sia comparsa ovvero abbia rinunciato
a comparire, privilegiando, tra i diversi scopi ai quali gli atti comunicatori sono
destinati (che possono consistere anche nella predisposizione di una serie di
attività difensive propedeutiche alla partecipazione all’udienza), quello della
comparizione. La norma non descrive, dunque, una vera e propria ipotesi di
sanatoria per il raggiungimento dello scopo dell’atto, come invece prevede in via
8

4.2. Una prima considerazione generale concerne il profilo del rapporto

generale per le altre nullità l’art.183 lett.b) cod.proc.pen., ma consente
all’interprete di escludere l’invalidità processuale sul mero presupposto che il
destinatario sia stato messo in grado di partecipare all’udienza.
4.5. Il compito dell’interprete è quello di bilanciare esigenze di garanzia e
celerità del processo, privilegiando l’accertamento della concreta lesività della
violazione delle forme del processo, secondo un’interpretazione
costituzionalmente orientata, dunque rispettosa dell’art. 111, comma 2, Cost.,
che stabilisce che la legge deve assicurare la durata ragionevole del processo, ed

della Corte di Strasburgo impone il bilanciamento di interessi contrapposti
desumibili dalla complessità del caso concreto, dalla condotta del ricorrente e dal
comportamento dell’Autorità (Corte EDU 25/03/1999, Pellissier e Sassi c.
Francia). L’attuale disciplina delle notificazioni è indubbiamente ispirata
all’obiettivo di evitare appesantimenti procedurali e, in particolare, le norme in
tema di sanatoria delle nullità delle notificazioni, in quanto prevedono che
l’imputato, pur sanando con la propria comparizione l’invalidità dell’atto, possa
chiedere un termine per la difesa, sono chiaramente orientate a bilanciare i
suindicati contrapposti interessi, privilegiando la celerità del processo
sull’invalidità di forme del procedimento che non si siano in concreto rivelate
lesive dell’interesse che miravano a tutelare, imponendo all’interprete di
valutarle in tal caso alla stregua di mere irregolarità.
4.6. Sulla scorta di tali considerazioni generali, e soffermandosi sul caso
specifico, se ne deve trarre il seguente principio interpretativo: posto che, in
virtù del già richiamato rapporto fiduciario che lega l’imputato al suo difensore, è
ricorrente nella giurisprudenza di questa Corte la massima per cui “nel caso di
nomina di un difensore di fiducia, la notificazione presso quest’ultimo è del tutto
equiparabile, ai fini della conoscenza effettiva dell’atto, alla notifica all’imputato
personalmente” (Sez.6, n.938 del 10/11/2011, dep. 13/01/2012, Spinella,
n.m.; Sez. 1, n. 2432 del 12/12/2007, dep. 16/01/2008, Ciarlantini,
Rv. 239207; Sez. 1, n. 16002 del 06/04/2006, Latovic, Rv. 233615;
Sez. 1, n. 32678 del 12/07/2006, Somogyi, Rv. 235036; Sez. 6, n. 19267
del 09/03/2006, Casilli, Rv. 234499 ), in difetto di qualsivoglia riferimento nel
ricorso a circostanze particolari che nel caso concreto abbiano impedito tale
effettiva conoscenza, costituirebbe interpretazione non conforme ai principi
costituzionali sottesi alla celerità del processo (si allude alla presunzione di non
colpevolezza, di cui all’art. 27, comma 2, Cost., ed alla funzione di emenda della
pena, così come richiamata dall’art. 27, comma 3, Cost.) negare la sanatoria
della nullità della notificazione eseguita presso il difensore di fiducia sul mero
rilievo del difetto delle condizioni che avrebbero legittimato tale forma di
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al contempo conforme al principio enunciato dall’art. 6 CEDU, che nella lettura

notificazione e dell’assenza dell’imputato in udienza. Tanto più ove si osservi che
questa Corte ha rimarcato in più occasioni la differenza tra la notifica presso il
difensore di ufficio e quella presso il difensore di fiducia, avendo ad esempio
affermato che la notifica della sentenza contumaciale effettuata nei confronti del
difensore di fiducia costituisce prova di una conoscenza effettiva (Sez. 1, n.
16002 del 06/04/2006, Latovic, Rv. 233615), ulteriormente precisando che “in
tema di restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale, ai
sensi del disposto di cui all’art. 175, comma 2, cod. proc. pen., come novellato

tutto equiparabile, ai fini della conoscenza effettiva dell’atto, alla notifica
all’imputato personalmente” (Sez. 1, n. 2432 del 12/12/2007, dep.16/01/2008,
Ciarlantini, Rv. 239207); nella motivazione di quest’ultima sentenza è
testualmente, e significativamente, precisato quanto segue: “La citata
equiparazione, lungi dal ridursi ad una mera

fictio iuris, è

ampiamente

giustificata dalla natura e dalla sostanza del rapporto professionale che intercorre
tra l’avvocato difensore nominato di fiducia dall’imputato e l’imputato stesso, il
quale proprio nel momento in cui dà il mandato al professionista con riguardo ad
uno specifico procedimento, dimostra (o conferma) di essere effettivamente a
conoscenza di tale procedimento. È, pertanto, del tutto ragionevole ritenere che,
anche successivamente alla nomina, il perdurante rapporto professionale
intercorrente tra l’imputato e il difensore di fiducia continui a consentire al primo
di mantenersi informato sugli sviluppi del procedimento e di concordare con il
difensore le scelte difensive ritenute più idonee” (Sez. 4,
n. 34377 del 13/07/2011 , Bianco e altro, Rv. 251114).
4.7. Ulteriore conferma della correttezza di un’interpretazione che valorizzi il
rapporto professionale che intercorre tra il difensore di fiducia e l’imputato, ai fini
del giudizio circa la conoscenza effettiva del procedimento nel rispetto dell’art.6
CEDU come interpretato dalla Corte di Strasburgo (Corte EDU 10 novembre 2004
e Grand Chambre 1 marzo 2006, Sejdovic c. Italia; Corte EDU 18 maggio 2004,
Somogyi c. Italia) e dei principi enunciati dalla Corte di Giustizia Europea (in
tema di mandato di arresto europeo, Corte Giustizia 26 febbraio 2013, C399/11), si trae anche dall’esame della disciplina del processo in absentia
introdotta dagli artt.9-11 della I. 28 aprile 2014, n.67 (Deleghe al Governo in
materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio.
Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e
nei confronti degli irreperibili) che, abrogando l’istituto della contumacia,
ammette espressamente che il giudice possa procedere in assenza dell’imputato
qualora quest’ultimo abbia nominato un difensore di fiducia, equiparando tale
nomina all’effettiva conoscenza del procedimento.
10

dalla I. 22 aprile 2005, n. 60, la notificazione presso il difensore di fiducia è del

4.8. Quanto poi alle forme della notificazione all’imputato, è stato chiarito
che il sistema è articolato secondo due tipologie di notificazioni. Quando si deve
effettuare la prima notificazione all’imputato, che non abbia eletto o dichiarato
domicilio, si deve procedere in uno dei modi consecutivi previsti dai primi otto
commi dell’art. 157 cod.proc.pen. Una volta effettuata regolarmente la prima
notificazione, se l’imputato provvede a nominare il difensore di fiducia, tutte le
successive notificazioni si effettuano mediante consegna al difensore
(Sez. U, n. 19602 del 27/03/2008, Micciullo, Rv. 239396). Esclusa, dunque,

riservata alla prima notificazione, (con tale intendendosi solo la prima
notificazione dell’intero processo nelle sue diverse fasi,
Sez. 6, n. 19764 del 16/04/2013, G., Rv. 256233), per le notificazioni
successive è regolare la notificazione presso il difensore di fiducia a norma
dell’art.157, comma 8 bis, cod.proc.pen.

5. Pur rilevando, dunque, l’erroneità della motivazione con la quale la Corte
di Appello ha rigettato le eccezioni di nullità sollevate nell’atto di appello, sul
presupposto che l’appello non vertesse sulla mancanza di una preventiva e
generale autorizzazione alle notificazioni a mezzo fax e sul presupposto che
l’imputato avesse eletto domicilio presso il luogo di residenza (anziché sul
presupposto che per le notificazioni presso i difensori l’autorizzazione giudiziale
non può considerarsi requisito stabilito a pena di nullità e che le notificazioni
successive alla prima possono essere eseguite presso il difensore di fiducia), si
tratta in ogni caso di errori che non hanno avuto influenza decisiva sul
dispositivo, comunque corretto, e che possono essere emendati a norma
dell’art.619, comma 1, cod.proc.pen.

6. La censura concernente la qualificazione del fatto quale ipotesi di omicidio
colposo aggravato è infondata.
6.1. A tal fine sarà sufficiente richiamare la consolidata giurisprudenza di
questa Corte, che ritiene che l’aggravante del fatto commesso con violazione
delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro prevista dall’art. 589,
comma 2, cod. pen., sia configurabile anche quando sussista violazione
dell’art.2087 cod. civ., in forza del quale l’imprenditore è tenuto ad adottare
tutte le misure che, in relazione al tipo di lavoro da espletare, sono necessarie a
tutelare la integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori
(Sez. 4, n.28780 del 19/05/2011,

Tessari,

Rv. 250761;

Sez. 4,

n. 18628 del 14/04/2010, Lascioli, Rv. 247461; Sez. 4, n. 8641 del 11/02/2010,

11

l’applicabilità della procedura prevista dall’art.157, commi 1-8, cod.proc.pen.,

Truzzi, Rv. 246423; Sez. 3, n.6360 del 26/01/2005, Lo Grasso, Rv. 230855;
Sez. 4, n.3495 del 04/03/1994, Stellan, Rv. 197947).
6.2. Sebbene il ricorrente abbia correttamente evidenziato, in ciò ritenendosi
erronea la sentenza impugnata, che il giudice di primo grado avesse escluso la
sussumibilità della condotta colposa nell’astratta fattispecie della violazione delle
specifiche norme cautelari contestate nel capo d’imputazione, trattasi di censura
che non è idonea ad incidere sulla correttezza del dispositivo di condanna, posto
che alla luce del principio sopra enunciato la sussunzione della condotta colposa

cod. civ. ha correttamente indirizzato i giudici di merito a qualificare il reato nella
forma aggravata prevista dall’art.589, comma 2, cod. pen.

7. Le censure concernenti il travisamento del fatto sono manifestamente
infondate.
7.1. La Corte territoriale, con pronuncia che si integra con la conforme
decisione del Tribunale, ha chiaramente dedotto la responsabilità dell’imputato
dalla posizione di garanzia del datore di lavoro ‘che non avrebbe dovuto
consentire l’esecuzione dei lavori in una zona che non era stata messa in
sicurezza’, così come il giudice di primo grado aveva chiaramente attribuito
all’imputato la scelta di ‘far eseguire ai propri operai dei lavori ai piedi di uno
scavo che non era stato messo in sicurezza, come previsto nel piano di sicurezza
e coordinamento’, ritenendo che lo stesso fosse nelle condizioni di conoscere che
quel pericoloso ciglio dovesse essere protetto con un’armatura, così come
prescritto nel documento per la sicurezza. Contrasta, peraltro, con il testo del
provvedimento impugnato la deduzione per la quale il giudice di appello avrebbe
desunto la responsabilità dell’imputato dall’aver adibito i dipendenti ad un’attività
di disarmo del muro poi crollato, essendo agevolmente desumibile la coerente
ricostruzione della dinamica dell’infortunio nella parte in cui si legge “la causa
principale dello smottamento consiste pur sempre nella situazione di pericolo
rappresentata dall’esecuzione di lavori in una zona a ridosso di una parete di
terra pressoché verticale”.
7.2. Con evidenza priva di decisività è la censura relativa all’erronea
individuazione del documento antinfortunistico che l’imputato avrebbe dovuto
osservare, considerato che risulta chiaro nelle pronunce di merito il riferimento al
contenuto del Piano di Sicurezza e Coordinamento, nella parte in cui erano
evidenziate le carenze strutturali dell’opera eseguita dall’impresa che aveva
effettuato i lavori di sbancamento. Tale documento è stato preso in esame dal
primo giudice per argomentare in merito alla prevedibilità dell’evento da parte

12

nella violazione del generico precetto antinfortunistico prescritto dall’art.2087

dell’imputato, mentre è stato posto a fondamento di un preciso obbligo di
garanzia anche a carico del Cosentino nella sentenza di appello.
7.3. Nel richiamare le scarse competenze tecniche dell’imputato in materia
di scavi, così come i difetti d’inadeguatezza e scarsa comprensibilità del Piano di
Sicurezza e Coordinamento per denunciare il vizio di motivazione in relazione al
profilo di colpa ascritto all’imputato, il ricorso tende, in realtà, ad ottenere una
nuova valutazione delle emergenze istruttorie. In merito al vizio di motivazione,
è opportuno ricordare che le Sezioni Unite della Suprema Corte, hanno affrontato

costituiscono il quadro di riferimento per la valutazione di ammissibilità del
ricorso che denunci il vizio di motivazione. In particolare, con una pronuncia del
1995 (Sez. U, n.930 del 13/12/1995, dep. 29/01/1996, Clarke, Rv.203428) si è
ritenuto che il compito del giudice di legittimità non sia quello di sovrapporre la
propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità
delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli
elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di
essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se
abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle
argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a
preferenza di altre; nel 1996 (Sez. U, n.16 del 19/06/1996, Di Francesco,
Rv.205621) si è affermato il principio che la mancanza e la manifesta illogicità
della motivazione devono risultare dal testo del provvedimento impugnato,
sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che il testo del
provvedimento è manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non già
opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una
diversa ricostruzione, magari altrettanto logica. E nel 1997 (Sez. U,
n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944) si è anche ritenuto che
l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte
circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere
limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un
logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza
possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di
merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza
alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di Cassazione
quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito,
senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una
diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali.
Nel 2000 (Sez. U, n.12 del 31/05/2000, Jakani, Rv.216260) l’ambito di
13

il tema dei limiti del sindacato di legittimità in diverse sentenze, che

valutazione è stato ulteriormente messo a punto nel senso che, in tema di
controllo sulla motivazione, alla Corte di Cassazione è normativamente preclusa
la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze
processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la
tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto
tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di
ragionamento mutuati dall’esterno, e, nel 2003 (Sez. U, n. 47289
del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074) si è puntualizzato che l’illogicità della

è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu °cui/.
7.4. Esaminando, quindi, la normativa di riferimento, il Titolo IV, Capo I, del
d.lgs. 9 aprile 2008, n.81, intitolato alle Misure per la salute e sicurezza nei
cantieri temporanei o mobili, individua i soggetti coinvolti nell’approntamento di
misure antinfortunistiche nei cantieri edili (art.89), impone la designazione di un
coordinatore per l’esecuzione dei lavori nei cantieri in cui è prevista la presenza
di più imprese esecutrici (art.90, comma 4), attribuisce a quest’ultimo il compito
di adeguare il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’art. 100 e
il fascicolo di cui all’art.91, comma 1, lettera b), in relazione all’evoluzione dei
lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, valutando le proposte delle
imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere, nonché di
verificare che le imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi piani
operativi di sicurezza (art.92), impone ai datori di lavoro delle imprese esecutrici
di attuare quanto previsto nel Piano di Sicurezza e Coordinamento e nel Piano
Operativo di Sicurezza (art.100), disciplina gli obblighi di trasmissione dei POS
da parte delle imprese esecutrici all’impresa affidataria prima dell’inizio dei
rispettivi lavori (art.101), delineando un sistema di pianificazione, organizzazione
e reciproca comunicazione che i soggetti titolari di posizioni di garanzia sono
tenuti a rispettare al fine di evitare che la complessità dell’opera, le distinte
competenze ed il succedersi nel cantiere di opere eseguite da più imprese
determinino vuoti nell’approntamento e nel rispetto delle misure
antinfortunistiche. La netta posizione di garanzia che i datori di lavoro delle
singole imprese esecutrici assumono, non solo rispetto alle misure
antinfortunistiche relative al proprio POS ma anche, in relazione all’intero
sistema al quale è funzionale il Piano di sicurezza e coordinamento, evidenzia la
correttezza della motivazione della sentenza impugnata, laddove ha fondato
l’affermazione di colpevolezza dell’imputato sulla violazione delle prescrizioni del
PSC, ritenendo che gli fosse comunque rimproverabile l’omessa preventiva
cognizione di quei rischi, prevedibili, per i lavoratori che la predisposizione di tale
piano aveva la finalità di evitare.
14

motivazione, censurabile a norma dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e)

7.5. Giova qui ribadire, in tema di colpa, il principio interpretativo già
affermato da questa Sezione per cui ai fini dell’imputazione soggettiva
dell’evento al soggetto agente, ai sensi dell’art. 43 cod.pen., la prevedibilità
dell’evento dannoso, ossia la rappresentazione in capo all’agente della
potenzialità dannosa del proprio agire, può riconnettersi anche alla probabilità o
anche solo alla possibilità (purché fondata su elementi concreti e non solo
congetturali) che determinate conseguenze dannose si producano, non potendosi
limitare tale rappresentazione alle sole situazioni in cui sussista in tal senso una

regole che disciplinano l’elemento soggettivo hanno funzione precauzionale e la
precauzione richiede che si adottino certe cautele per evitare il verificarsi di
eventi dannosi, anche se scientificamente non certi ed anche se non
preventivamente e specificamente individuati. Tale possibilità deve possedere il
requisito della concretezza, nel senso che è richiesta la concretezza del rischio. A
maggior ragione la prevedibilità è configurabile nelle ipotesi in cui il rischio del
verificarsi di un evento dannoso sia stato, come evidenziato nel caso in esame
dai giudici di merito, specificamente preventivato in un documento che il datore
di lavoro era tenuto a conoscere (Sez. 4, n. 5117 del 22/11/2007,
dep. 01/02/2008, Biasotti e altri, Rv. 238777).

8. Nel ricorso si censura la sentenza impugnata anche con riferimento
all’erronea applicazione dell’art.45 cod. pen., ma trattasi di censura infondata.
8.1. Va ricordato che il caso fortuito consiste in quell’avvenimento
imprevisto e imprevedibile che si inserisce d’improvviso nell’azione del soggetto
e non può in alcun modo farsi risalire all’attività psichica dell’agente (Sez. 4,
n.6982 del 19/12/2012, D’Amico, Rv. 254479). Come è stato già precisato in
precedenti pronunce di questa Sezione, il caso fortuito si verifica quando sussiste
il nesso di causalità materiale tra la condotta e l’evento, ma fa difetto la colpa, in
quanto l’agente non ha causato l’evento per sua negligenza o imprudenza;
questo, quindi, non è, in alcun modo, riconducibile all’attività psichica del
soggetto. Ne consegue che, qualora una pur minima colpa possa essere
attribuita all’agente, in relazione all’evento dannoso realizzatosi, viene meno
l’applicabilità della disposizione di cui all’art. 45 cod.pen.
(Sez. 4, n.1500 del 17/10/2013, dep. 15/01/2014, Colucci, Rv. 258482; Sez. 4,
n. 19373 del 15/03/2007, Mollicone e altro, Rv. 236613).
8.2. La Corte di Appello ha fatto corretta applicazione di tali principi. La
pronuncia impugnata ha, infatti, con motivazione logicamente ineccepibile,
ritenuto che la causa principale dello smottamento fosse riconducibile alla
situazione di pericolo rappresentata dall’esecuzione dei lavori in una zona a
15

certezza scientifica. Tale conclusione è fondata sul condivisibile rilievo che le

ridosso di una parete di terra pressoché verticale, indipendentemente dal fatto
che vi fosse o meno prova certa che lo smottamento fosse stato causato dalla
perdita d’acqua di una tubatura, evidenziando per quali ragioni non potesse
negarsi la concorrente colpa dell’imputato.
8.3. Per altro verso, la regola di giudizio “dell’oltre ogni ragionevole dubbio”,
introdotta formalmente dall’art.5 I. 6 febbraio 2006, n. 46, mediante la
sostituzione del comma 1 dell’art. 533 cod.proc.pen., è direttamente connessa al
vizio di motivazione della sentenza. Tale principio impone al giudice di procedere

adeguatamente circa le opzioni valutative della prova, giustificando, con percorsi
razionali idonei, che non residuino dubbi in ordine alla responsabilità
dell’imputato. L’inosservanza della regola dell’al di là di ogni ragionevole dubbio,
lasciando spazio all’incertezza ed implicando una sentenza non pienamente e
razionalmente motivata in punto di colpevolezza, si traduce inevitabilmente in un
vizio di motivazione. La modifica legislativa introdotta con la novella anzidetta
non risulta, tuttavia, aver avuto un reale contenuto innovativo, non avendo
introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione della prova,
essendosi invece limitata a codificare un principio già desumibile dal sistema, in
forza del quale il giudice può pronunciare sentenza di condanna solo quando non
ha ragionevoli dubbi sulla responsabilità dell’imputato. La novella, dunque, non
avrebbe inciso sulla funzione di controllo del giudice di legittimità, che
rimarrebbe limitata alla struttura del discorso giustificativo del provvedimento,
con l’impossibilità di procedere alla rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della sentenza e dunque di adottare autonomamente nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti. In tal senso si è espressa
questa Corte (Sez. 5, n.10411 del 28/01/2013, Viola, Rv. 254579), precisando
che tale regola di giudizio impone al giudice di giungere alla condanna solo se è
possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalità e plausibilità (cfr. sul
punto Sez. 1, n.41110 del 24/10/2011, )avad, Rv. 251507), ma negando che il
principio in esame abbia mutato la natura del sindacato della Corte di cassazione
sulla motivazione della sentenza, volto ad un controllo sulla persistenza o meno
di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione necessariamente
unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non
potendo in ogni caso la sua valutazione sconfinare nell’ambito del giudizio di
merito. Nei medesimi termini, circa la portata del principio, si è affermato (Sez.
2, n.7035 del 9/11/2012, dep. 13/02/2013, De Bartolomei, Rv. 254025) che “la
previsione normativa della regola di giudizio dell’ “al di là di ogni ragionevole
dubbio”, che trova fondamento nel principio costituzionale della presunzione di
innocenza, non ha introdotto un diverso e più restrittivo criterio di valutazione
16

ad un completo esame degli elementi di prova rilevanti e di argomentare

della prova, ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la
pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della
responsabilità dell’imputato” (conf. nn. 7036, 7037, 7038, 7039, 7040/2013).
Mette conto, inoltre, sottolineare come la codificazione di tale principio abbia
assunto, nella giurisprudenza della Corte, particolare rilievo nel giudizio di
legittimità circa la motivazione della sentenza di appello che abbia riformato la
sentenza di assoluzione in primo grado (Sez. 6,n.1266 del 10/10/2012, dep.
10/01/2013, Andrini, Rv. 254024; Sez. 2, n.11883 del 8/11/2012, dep.

254113), anche in relazione ai principi affermati in materia dalla CEDU (Corte
EDU 5/07/2011, Dan c. Moldavia, parr. 32 e 33), risultando tanto meno
pertinente l’asserita violazione del principio qualora, come nel caso in esame, le
motivazioni conformi delle sentenze di condanna di primo e secondo grado,
integrandosi tra loro, siano rispettose dei canoni di completezza, logicità e
coerenza.

9. La censura concernente la quantificazione della pena è inammissibile.
9.1. La sentenza impugnata ha fornito congrua motivazione sul punto,
sottolineando l’applicazione di una sanzione determinata in misura proporzionata
al fatto ed alla violazione di una specifica norma in materia antinfortunistica.
9.2. A ciò deve aggiungersi che la valutazione degli elementi sui quali si
fonda la concessione delle attenuanti generiche, ovvero il giudizio di
comparazione delle circostanze, nonché in generale la determinazione della
pena, rientrano nei poteri discrezionali del giudice di merito, il cui esercizio, se
effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all’art.133 cod.pen., è
censurabile in Cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di
ragionamento illogico. Ciò che qui deve senz’altro escludersi, avendo il giudice
fornito adeguata e logica motivazione con riferimento alla congruità della pena
irrogata in relazione alle modalità del fatto.

10. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato; al rigetto consegue, a
norma dell’art.616 cod.proc.pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

17

14/03/2013, Berlingeri, Rv. 254725; Sez.6, n.8705 del 24/01/2013, Farre, Rv.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali

Così deciso il 17/06/2014

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