Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30469 del 13/06/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 30469 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

Data Udienza: 13/06/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
MILANO
VON HAFENBRADI HANNA KEMPAINEEN
VON HAFENBRADI TONE VIGDIS
VON HAFENBRADI EGIL
PECCHIA ASTE BRIGITTE
nei confronti di:
JANN STEFANO N. IL 13/01/1960
GUCCIONE STEFANO N. IL 22/03/1957
DE NUZZO ANTONIO N. IL 03/09/1972
AZIENDA OSPEDALIERA NIGUARDA CA’ GRANDE
avverso la sentenza n. 1959/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
24/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
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Il Tribunale di Milano, con sentenza in data 5.10.2012, assolveva Rizzo Marcella dal reato di cui all'art. 589 cod. pen., ascrittole, per non aver commesso il fatto; e dichiarava Jann Stefano, Guccione Angelo e De Nuzzo Antonio colpevoli del reato di omicidio colposo in danno di Jens Olav Von Hafenbradl condannando i predetti imputati alle pene di giustizia ed al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili. imputazioni sono i seguenti: a Jann Stefano - quale medico neurologo responsabile della degenza neurologica e delle malattie neuromuscolari del Dipartimento di Neuroscienze dell'Ospedale Niguarda, di turno accettazione il 19.03.2007 - si contesta di aver omesso di effettuare, quale diagnosi differenziale del paziente lens Olav Von Hafenbradl, la sindrome di "Gullain-Barré", benché il predetto paziente provenisse da altra struttura ospedaliera cittadina con l'indicazione di sospetta sindrome di "GullainBarré" e presentasse una serie di sintomi caratteristici di tale patologia; al sanitario si addebita, inoltre, di aver omesso di effettuare con urgenza esami mirati e di non aver dato, al personale medico ed infermieristico che gli succedeva nella cura, le consegne idonee ad affrontare il rischio di crisi respiratorie; ad Angelo Guccione, quale medico specialista in neurologia in servizio presso il Dipartimento di Neuroscienze dell'Ospedale Niguarda nella notte tra il 19 ed il 20 marzo 2007, si contesta di aver omesso di predisporre esami mirati a diagnosticare la malattia da cui era affetta il paziente e di aver omesso di predisporre una adeguata sorveglianza clinico assistenziale; ad Antonio De Nuzzo, quale infermiere professionale in servizio presso il reparto di neurologia dell'Ospedale di Niguarda, di turno nella notte tra il 19 ed il 20 marzo 2007, si contesta di aver staccato il saturimetro di propria iniziativa, nonostante l'allarme sonoro in atto, benché ciò non rientri nelle competenze del personale Con riferimento alle posizioni che oggi vengono in rilievo, i termini delle infermieristico; e di aver omesso di informare il medico di turno in reparto dei valori di saturazione indicati dal richiamato apparecchio; cosicché Jens Olav Von Hafenbradl, a seguito del rapido decadimento delle funzioni cardiorespiratorie, decedeva per una insufficienza acuta cardiorespiratoria, nella notte tra il 19 ed il 20 marzo 2007. Per completezza argomentativa si osserva poi che a Marcella Rizzo, infermiera professionale in servizio presso la predetta struttura, si addebitava di non aver impedito al collega De Nuzzo di staccare il saturirnetro, con le riferite modalità. Il Tribunale di Milano rilevava che, all'esito della espletata istruttoria, risultava pienamente dimostrato che il decesso del paziente fosse da ricollegare alla 3 747 condotta professionale colposa dei medici che ebbero in cura Jens Olav Von Hafenbradl e dell'infermiere che aveva rimosso il saturimetro. Circa la riferibilità causale dell'evento, il Tribunale considerava che il mancato accertamento, in sede autoptica, delle cause del decesso, non impediva di formulare un ragionamento controfattuale, rispetto alle contestate condotte omissive, idonee ad impedire la verificazione dell'evento lesivo. Il Tribunale considerava che, anche ritenendo adeguata la diagnosi affetto dalla sindrome "Gullain-Barré", la corretta valutazione dei sintomi indicava un rapido peggioramento del quadro clinico, con il rischio di compromissione della funzione respiratoria. Il primà giudice osservava poi che la mancata valutazione del rischio respiratorio coinvolgeva, sia pure con minore intensità sotto il profilo soggettivo, anche la posizione del dott. Guccione, che era subentrato come medico di guardia, nel turno successivo. E rilevava che al predetto specialista risultava addebitabile la mancata valutazione delle peculiarità presentate dal caso concreto, cioè a dire il peggioramento dei valori di saturometria e l'aggravamento della disfagia. Con riferimento alla posizione dell'infermiere, il Tribunale considerava che risultava accertato che i medici non avessero impartito disposizioni specifiche in relazione alla esigenza di monitorare il paziente, che era stato descritto come stabile. Non di meno, il giudicante qualificava come gravemente imprudente la rimozione del saturimetro che era stata effettuata dal De Nuzzo, tenuto anche conto dei valori indicati dall'apparecchio. 2. La Corte di Appello di Milano, con sentenza in data 24.06.2013, in riforma della richiamata sentenza del Tribunale di Milano, assolveva Jann Stefano, Guccione Angelo e De Nuzzo Antonio dal reato loro ascritto, perché il fatto non costituisce reato, revocando le statuizioni civilistiche. Ai fini di interesse, si osserva che il Collegio, nel rigettare la richiesta di effettuata dal dott. Jann, il quale aveva ritenuto improbabile che il paziente fosse rinnovo della istruttoria dibattimentale, ha evidenziato che la morte del paziente Jens Olav Von Hafenbradl era rimasta misteriosa, in quanto l'acquisito materiale probatorio non aveva consentito di accertare né la natura della patologia che affliggeva il malato, né le cause del decesso e neppure di individuare profili di colpa ascrivibili ai medici che avevano avuto in cura il paziente. La Corte territoriale considerava che la mancata identificazione del processo patologico in atto, pure all'esito dell'esame autoptico, non consentiva neanche di verificare se la morte fosse stata conseguenza di una condotta colpevole, intesa come condotta doverosa omessa; ciò in quanto, non conoscendosi la natura della malattia, non era possibile selezionare la condotta idonea ad impedire il verificarsi dell'evento. Il Collegio rilevava che i consulenti del pubblico ministero, neppure in 4 A sede dibattimentale, avevano chiarito, in termini conferenti, quale fosse stata la causa del decesso. La Corte di merito sottolineava che il paziente non aveva neppure manifestato la sintomatologia ricollegata alla difficoltà di respirazione e che la difficoltà respiratoria era indicata unicamente dai valori della saturimetria. La Corte di Appello considerava, altresì, che il quadro clinico del paziente non rendeva esigibile la scelta, da parte dei sanitari, di procedere al ricovero in terapia intensiva o sub intensiva; che la morte era intervenuta in meno di 48 ore dall'esordio della malattia e che tale inusuale ed anomala rapidità aveva impedito di accertare l'origine della patologia. Con specifico riguardo alla posizione dell'infermiere De Nuzzo, la Corte di Appello rilevava che costui si era trovato di fronte ad un paziente al quale era stato applicato in precedenza un saturimetro, in ordine alla cui rimozione non aveva ricevuto disposizioni. Osservava che l'iniziativa di procedere alla rimozione dell'apparecchio in presenza della segnalazione di valori di saturometria compresi tra 1'84% e 1'85%, poteva integrare profili di negligenza, in quanto l'infermiere mai avrebbe potuto rimuovere l'apparecchio senza aver prima interpellato il medico di guardia. Ciò posto, la Corte di merito considerava che tale condotta negligente diveniva irrilevante, rispetto al processo causale della morte, giacché non essendosi dimostrato che l'exitus fosse dipeso da una crisi respiratoria, neppure poteva affermarsi che la condotta dell'infermiere fosse causalmente rilevante. 3. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano ha proposto ricorso per Cassazione il Procuratore Generale territoriale, denunciando violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione. La parte si sofferma sui termini di fatto della vicenda all'esame; ed osserva che la causa della morte del paziente è da individuare nella insufficienza cardiorespiratoria. Il ricorrente assume che il dott. Jann non avrebbe dovuto trascurare nella diagnostica differenziale la sindrome di Guillan-Barré e che nel caso risultava doverosa una costante vigilanza sui parametri vitali del paziente. Ciò posto, il deducente rileva che il dott. Jann dispose il ricovero del paziente in un reparto di normale degenza; non richiese una valutazione anestesiologica, per una eventuale collocazione in un reparto più attrezzato e non diede particolari consegne al personale infermieristico per la vigilanza dei parametri vitali. Con riguardo alla posizione del dott. Guccione, il Procuratore Generale evidenzia che costui omise di effettuare una nuova valutazione del paziente, benché fosse stato informato del continuo aggravarsi delle sue condizioni. L'esponente richiama poi la condotta negligente posta in essere dall'infermiere De Nuzzo; e ritiene che tutti i richiamati profili di colpa ascrivibili ai diversi imputati abbiano concorso causalmente nella verificazione dell'evento, come in concreto verificatosi. Ritiene errata la valutazione espressa dalla Corte di Appello, basata sul presupposto che la causa della morte non sia stata individuata. 5 A 4. Hanno proposto ricorso per cassazione, avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Milano, le parti civili Nanna Kempaineen Von Hafenbradl, Tone Vigdis Von Hafenbradl, Egli Von Hafenbradl e Aste Birgitte Pecchia, a mezzo del difensore. Con il primo motivo le parti deducono la violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 40 cod. pen. Gli esponenti osservano che la Corte territoriale ha erroneamente adattato al caso di specie i principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di causalità. In particolare, ritengono che erroneamente i giudici di appello hanno affermato che il mancato accertamento della malattia contratta dal paziente e della diretta causa della morte, non consentisse di articolare un giudizio controfattuale, rispetto ad un decorso causale alternativo a quello effettivamente verificatosi. Le parti civili sottolineano che la Corte di Appello ha pure affermato che la mancanza di profili di colpa macroscopici in capo ai sanitari conduceva ad escludere che la condotta degli imputati avesse inciso nel determinismo della morte. Ritengono che la Corte di merito abbia confuso i piani della riferibilità materiale dell'evento alla condotta dell'agente e quello della ascrivibilità colposa della azione. Tanto premesso, le parti civili rilevano che nel caso di specie risulta configurabile un nesso di derivazione causale tra le condotte poste in essere dai sanitari dell'Ospedale Niguarda e la morte del paziente Jens Olav Von Hafenbradl, come avvenuta in senso naturalistico ed oggettivo. I ricorrenti rilevano che al momento della accettazione del paziente, la sera del 19.03.2007, il livello di ossigenazione del sangue risultava già più basso di quello verificato all'esito della precedente misurazione effettuata presso l'Ospedale Fatebenefratelli, dal quale il paziente proveniva; e che, nonostante ciò, il dott. Jann dispose che il paziente venisse ricoverato in un reparto ordinario senza prescrivere particolari misure di monitoraggio, ad eccezione del saturimetro, per controllare l'ossigenazione del malato. Sul punto, rilevano che in corso di giudizio non si è accertato se il dott. Jann avesse prescritto che il saturimetro dovesse essere applicato per l'intera notte (come sostenuto dal predetto imputato), ovvero se dovesse essere impiegato per una sola misurazione, come sostenuto dal personale infermieristico. Osservano che il dott. Guccione, succeduto nel turno, non ritenne di visitare il paziente. E rilevano: che l'amico che vegliava a fianco del malato, verso le ore 22.00, poiché il saturimetro emetteva il segnale di allarme ed indicava valori discendenti, ebbe invano a cercare di contattare il medico di guardia; e che l'infermiere De Nuzzo, intervenuto dopo circa mezz'ora, decise di rimuovere il saturimetro, così che il continuo suono di allarme non disturbasse oltre il sonno dei pazienti ricoverati. I ricorrenti osservano che successivamente il paziente venne trattato con un antidolorifico e che alle ore 4.00 Jens venne trovato privo di vita nel 6 A suo letto, senza che alcuno si fosse accorto di nulla e senza che fosse stato realizzato alcun intervento di emergenza. Sulla scorta di tali rilievi, le parti civili osservano che, a prescindere dalla natura della malattia che affliggeva il malato, non risulta revocabile in dubbio che laddove i parametri vitali del paziente fossero stati monitorati in modo diverso nel corso della notte, la morte del paziente Jens, come verificatasi in concreto per insufficienza respiratoria, sarebbe stata impedita. Osservano che la Corte di valutazione controfattuale, rispetto alla incidenza causale del mancato monitoriaggio del paziente. A sostegno dell'assunto, i ricorrenti rilevano che la stessa Corte di Appello, nel procedere all'esame della posizione dell'infermiere De Nuzzo, ha evidenziato che il fatto che costui avesse staccato il saturimetro, che indicava valori allarmanti e che emetteva il segnale di pericolo, senza aver consultato il medico di guardia, integrava profili di negligenza. Osservano, peraltro, che la Corte territoriale ha illogicamente affermato che la richiamata condotta colposa dell'infermiere doveva considerarsi causalmente irrilevante, non essendo stata accertata la natura della patologia in atto. Con il secondo motivo il ricorrenti denunciano il vizio motivazionale, rispetto all'accertamento della causa della morte. Le parti civili osservano che la Corte di Appello ha frettolosamente considerato gli apporti scientifici espressi dai consulenti tecnici del pubblico ministero, con specifico riguardo alla causa della morte, individuata in una crisi respiratoria. Rilevano che Jens versava in stato letargico, evenienza che rende la crisi respiratoria asintomatica; e sottolineano che tale stato era stato altresì causato dalla somministrazione al paziente, nel corso della notte, di un farmaco morfino simile. Sul punto le parti civili rilevano poi che il loro consulente, nel corso del dibattimento, aveva chiarito che la causa del decesso del paziente era certamente da individuare in una insufficienza respiratoria; che altra questione era quella Appello, erroneamente, ha ritenuto che nel caso non potesse svolgersi una relativa alla causa della insufficienza respiratoria, tema che involge l'individuazione della malattia di cui soffriva il paziente; e che i sanitari non avevano fronteggiato con alcun presidio una crisi respiratoria prevedibile, poiché annunciata da chiarissimi sintomi. Osservano che la Corte di Appello ha qualificato le predette considerazioni espresse dal consulente di parte civile come mere ipotesi sulle cause del decesso. Con il terzo motivo le parti civili denunciano il vizio motivazionale, in riferimento all'apprezzamento della colpa ascrivibile al dott. Jann ed all'infermiere De Nuzzo. Osservano che il dott. Jann escluse erroneamente l'ipotesi diagnostica della sindrome di "Gullain-Barré", benché il paziente provenisse da altra struttura ospedaliera con l'indicazione di sospetta sindrome di "Gullain-Barré"; ed omise di 7 ,/, predisporre gli adeguati presidi di monitoraggio, rispetto ad una situazione che si presentava critica, tenuto conto dei livelli di saturazione in costante calo. Rilevano che a fronte di ciò, la Corte territoriale si è limitata ad affermare che la malattia aveva avuto una evoluzione totalmente anomala. Le parti civili considerano che lo stesso dott. Jann ha dichiarato di avere disposto che venisse costantemente controllato il livello di saturazione. Ritengono, allora, che il rischio di verificazione di una crisi respiratoria fosse stato previsto dal chiare indicazioni sul monitoraggio del paziente e di avvertire coloro i quali subentravano nella posizione di garanzia del possibile rischio di crisi respiratoria. Ribadiscono, infine, le valutazioni critiche sull'operato dell'infermiere De Nuzzo, sopra richiamate, analizzando il primo motivo di ricorso. 5. L'imputato Guccione, a mezzo del difensore, ha depositato memoria con la quale evidenzia l'inammissibilità del ricorso proposto dalla parte pubblica. Il deducente chiede la conferma della sentenza impugnata. 6. L'Azienda Ospedaliera Niguarda Ca' Granda, responsabile civile, a mezzo del difensore, ha depositato memoria, chiedendo il rigetto dei ricorsi proposti dal Procuratore Generale e dalla parte civile. Considerato in diritto 7. Ci si sofferma, primieramente, sul ricorso proposto dal Procuratore Generale. Il ricorso è inammissibile, giacché non è affidato ad alcun motivo di censura, che attinga l'apparato motivazionale posto a fondamento della sentenza impugnata. E questa Suprema Corte ha chiarito che è inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi siano generici, ovvero non contenenti la precisa prospettazione delle ragioni in fatto o in diritto da sottoporre a verifica (vedi, da ultimo, Cass. Sezione 3, Sentenza n. 16851 del 02/03/2010, dep. 04/05/2010, Rv. 246980). Il Procuratore Generale, invero, dopo aver affermato che la causa della morte del paziente è da medico di guardia; e che, ciò nonostante, il sanitario ebbe ad omettere di dare individuare nella insufficienza cardiorespiratoria, elenca i profili di colpa, attiva ed omissiva, riferibili a ciascun imputato, senza in alcun modo censurare il ragionamento sviluppato dalla Corte di merito, in base al quale la mancata individuazione della natura della patologia aveva impedito l'effettuazione di ogni valutazione controfattuale, rispetto alla utilità delle condotte attese da parte dei medici. 8. Il ricorso proposto dalle parti civili muove alle considerazioni che seguono. 8.1. Si procede all'esame congiunto dei primi due motivi di doglianza, che involgono il tema relativo al mancato accertamento della natura della malattia contratta dal paziente e della incidenza di tale fattore negativo, rispetto alla 8 A, esperibilità del ragionamento controfattuale, con riguardo alle condotte attive ed omissive che si ascrivono agli odierni imputati. Le censure sono fondate. La Corte di Appello di Milano ha risolto il problema della eventuale riferibilità causale della morte di Jens Olav Von Hafenbradl, verificatasi alle ore 4.00 del 20.03.2007, al medico che gestì la fase di accettazione del malato nel pomeriggio del 19.03.2007, al medico di guardia ed all'infermiere impegnati nel turno notturno considerazione che il mancato accertamento della natura malattia di cui soffriva il degente non consentiva di sviluppare alcuna utile indagine controfattuale. Il percorso motivazionale posto a fondamento della decisione ora richiamata evidenzia che la Corte territoriale ha mal governato, rispetto al caso per cui è giudizio, i criteri di accertamento del nesso di derivazione causale, tra condotta attesa ed evento, nell'ambito delle fattispecie omissive improprie, indicati dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 30328 del 10/07/2002, dep. 11/09/2002, Rv. 222138) e costantemente seguiti dalla giurisprudenza successiva delle sezioni semplici della Corte regolatrice. 8.2 Come noto, sin dagli anni novanta del secolo scorso, la giurisprudenza italiana ha chiarito che l'imputazione causale dell'evento al soggetto agente richiede, secondo la teoria condizionalistica, l'individuazione della specifica legge scientifica (la legge di copertura) che disciplina - e spiega - i nessi di condizionamento tra il comportamento umano e gli eventi naturalistici, penalmente rilevanti (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4793 del 06/12/1990, dep. 29/04/1991, Rv. 191793) In particolare, sul punto di interesse, la Corte regolatrice già aveva osservato: che la valutazione controfattuale deve avvenire applicando la legge di copertura rispetto al "singolo comportamento storico", alla "singola situazione storica", alla "singola conseguenza storica", che possono "essere inseriti nello schema generale previamente ottenuto"; con la precisazione che "secondo il modello della sussunzione sotto leggi scientifiche, un antecedente può essere configurato come condizione necessaria solo a patto che esso rientri nel novero di quegli antecedenti che sulla base di una successione regolare conforme ad una legge dotata di validità scientifica - la cosiddetta legge generale di copertura portano ad eventi del tipo di quello verificatosi in concreto" (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4793 del 06/12/1990, dep. 29/04/1991, cit.). Le Sezioni Unite, intervenute nei primi anni duemila con la sentenza sopra citata, hanno quindi affermato, nel dirimere la questione che veniva agitandosi sull'impiego giudiziale delle leggi (scientifiche ovvero statistiche) di copertura, che il giudice del merito, per la ricostruzione del fatto, non può attingere a criteri di mera 9 presso il reparto ove il medesimo paziente era stato ricoverato, sulla base della probabilità statistica, ma che di converso deve ricorrere alla probabilità logica, la quale consente "la verifica aggiuntiva, sulla base dell'intera evidenza disponibile, dell'attendibilità dell'impiego della legge statistica per il singolo evento e della persuasiva e razionale credibilità dell'accertamento giudiziale". La Corte regolatrice ha chiarito che il nesso casuale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica - universale o statistica - si accerta che immaginandosi come realizzata la condotta doverosa l'evento hic et nunc non si sarebbe verificato; che non è consentito il ricorso meccanicistico al coefficiente probabilistico espresso dalla legge di copertura; e che il giudice può addivenire all'affermazione di responsabilità penale solo nel caso in cui pervenga alla conclusione, con alto grado di credibilità razionale, quindi alla certezza processuale, che la condotta dell'imputato sia stata condizione necessaria dell'evento. E le Sezioni Unite hanno chiarito che, per affermare che la condotta dell'agente sia condizione necessaria dell'evento, la cornice nomologica censita dal giudice deve essere tale da superare il ragionevole dubbio, fondato su elementi di insufficienza, contraddittorietà o incertezza del riscontro probatorio. Come si vede, l'intervento delle Sezioni Unite ha messo nitidamente a fuoco il rapporto che deve intercorrere tra il fondamento probabilistico del nesso causale e la certezza processuale idonea a fondare un verdetto di condanna; ed ha chiarito il governo che il giudice deve fare delle nozioni probabilistiche offerte dalla legge di copertura, attingendo ad un procedimento logico non dissimile dalle sequenze di ragionamento inferenziale al quale il giudice è quotidianamente chiamato, in tema di valutazione della prova indiziaria (ex art. 192, comma 2, cod. proc. pen.) e più in generale, in considerazione della "doverosa ponderazione" delle ipotesi antagoniste prescritta dall'art. 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. In via di estrema sintesi, può allora affermarsi che i temi significanti della sentenza delle Sezioni Unite n. 30328 del 10/07/2002 sono i seguenti: superamento dell'alternativa tra certezza e probabilismo; valorizzazione del criterio della certezza processuale; necessità per il giudice di utilizzare il parametro di prova della elevata credibilità razionale (che è il risultato della valutazione del compendio probatorio, rispetto alla specifica condotta oggetto di addebito) e di attenersi al criterio della probabilità logica e non solo a quello della probabilità statistica. Nell'alveo di tale insegnamento si collocano numerose decisioni successive delle sezioni semplici della Suprema Corte, ove si è evidenziato che, ai fini dell'imputazione causale dell'evento, il giudice di merito deve formulare giudizi sulla scorta di generalizzazioni causali, congiunte con l'analisi delle contingenze fattuali proprie della fattispecie concreta (cfr. Cass. Sez. 4 sentenza n. 43786 del 17.9.2010, dep. 13.12.2010, Rv. 248943; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 32121 del 10 4 16/06/2010, dep. 20/08/2010, Rv. 248210; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 43459 del 04/10/2012, dep. 08/11/2012, Rv. 255008). In tale ambito ricostruttivo, si è osservato che, nella verifica dell'imputazione causale dell'evento occorre, in realtà, dare corso ad un giudizio predittivo, sia pure riferito al passato, ove il giudice si interroga su ciò che sarebbe accaduto, se l'agente avesse posto in essere la condotta che gli veniva richiesta. Con riferimento alla casualità omissiva, si è evidenziato il carattere condizionalistico della stessa, presenta i connotati del paradigma indiziario e si fonda anche sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico, da effettuarsi ex post sulla base di tutte le emergenze disponibili e culmina nel giudizio di elevata "probabilità logica". E si è chiarito che le incertezze alimentate dalle generalizzazioni probabilistiche possono essere in qualche caso superate nel crogiuolo del giudizio focalizzato sulle particolarità del caso concreto, quando l'apprezzamento conclusivo può essere espresso in termini di elevata probabilità logica (cfr. Cass. Sez. 4 sentenza n. 43786 del 17.9.2010, dep. 13.12.2010, Rv. 248943, cit.). 8.3 Ai fini di interesse, occorre in questa sede ribadire che la valutazione controfattuale, che costituisce il modello euristico dell'indagine causale che viene demandata al giudice di merito, deve avvenire rispetto al "singolo comportamento storico", alla "singola situazione storica", alla "singola conseguenza storica", che viene in rilievo nel caso di giudizio, secondo le indicazioni espresse dall'orientamento giurisprudenziale sopra ricordato (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4793 del 06/12/1990, dep. 29/04/1991, cit.). Ed è appena il caso di rilevare che i termini di fatto ai quali deve riferirsi il giudice penale, nel verificare la sussistenza di elementi indicativi della riferibilità causale dell'evento alla condotta attiva od omissiva posta in essere dall'agente, sono necessariamente quelli riportati nel capo di imputazione: è il capo di imputazione, infatti, che delinea e delimita la specifica sequenza fenomenologica, nell'ambito della quale si assume che la condotta attesa abbia determinato la verificazione dell'evento dannoso, come realizzatosi. Del resto, la Corte regolatrice ha ripetutamente affermato che il giudice di merito deve analizzare la condotta (attiva od omissiva) colposa addebitata al sanitario, per effettuare il giudizio controfattuale e verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta, rispetto agli specifici termini di fatto della vicenda, l'evento lesivo sarebbe stato evitato "al di là di ogni ragionevole dubbio" (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 4, Sentenza n. 43459 del 04/10/2012, dep. 08/11/2012, Rv. 255008). Deve quindi affermarsi il seguente principio di diritto: "Nei reati omissivi impropri, la valutazione concernente la riferibilità causale dell'evento lesivo alla condotta omissiva che si attendeva dal soggetto agente, deve avvenire rispetto alla sequenza fenomenologíca descritta nel capo di imputazione. Pertanto, nelle ipotesi di omicidio 11 osservando che il giudizio di certezza sul ruolo salvifico della condotta omessa o lesioni colpose ascritte all'esercente la professione sanitaria, il ragionamento contro fattuale deve essere sviluppato dal giudice di merito in riferimento alla specifica attività (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente od altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare l'evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale". 8.4 E bene, nel caso di specie a Jann Stefano, quale medico neurologo Dipartimento di Neuroscienze dell'Ospedale Niguarda, di turno accettazione il 19.03.2007, si contesta, in particolare, di aver omesso di avvertire il personale medico ed infermieristico che gli succedeva nella cura, della necessità di predisporre misure idonee ad affrontare il rischio di crisi respiratorie; ad Angelo Guccione, quale medico specialista in neurologia in servizio presso il Dipartimento di Neuroscienze dell'Ospedale Niguarda nella notte tra il 19 ed il 20 marzo 2007, si contesta pure di aver omesso di predisporre una adeguata sorveglianza clinicoassistenziale; ad Antonio De Nuzzo, infermiere professionale in servizio presso il reparto di neurologia dell'Ospedale di Niguarda, di turno nella notte tra il 19 ed il 20 marzo 2007, si addebita di aver staccato il saturimetro di propria iniziativa, nonostante l'allarme sonoro in atto e di aver omesso di informare il medico di turno in reparto dei valori discendenti di saturazione indicati dal richiamato apparecchio. E si tratta di condotte, in assunto accusatorio, che sono tutte poste specificamente in relazione causale con il decesso di Jens Olav Von Hafenbradl, intervenuto poche ore dopo l'accettazione del malato nella struttura sanitaria, a seguito di insufficienza acuta cardiorespiratoria. Come si vede, la sequenza fenomenologica scolpita dal tenore delle imputazioni, ora richiamate, evidenzia che ai sanitari che presero in carico Jens Olav non si rimprovera tanto il (mancato) gesto terapeutico, rispetto alla specifica patologia che affliggeva il malato, quanto il fatto, secondo le specifiche condotte e nelle diverse qualità, di avere sottovalutato gli indici di criticità presenti nel quadro clinico del paziente: segnatamente, agli imputati si addebita di non aver adottato un sistema di controlli che avrebbe consentito di fronteggiare il prevedibile aggravamento del deficit respiratorio. Altrimenti detto, le condotte salvifiche attese - in disparte gli specifici rilievi afferenti alla posizione del De Nuzzo, al quale si contesta di avere addirittura assunto l'iniziativa di disattivare l'unico sistema di monitoraggio in atto, senza avvisare il medico di turno - riguardano la gestione del paziente, sin dal momento della sua accettazione; in particolare, la scelta di non disporre il ricovero in un reparto che garantisse un regime di assistenza adeguato, l'omessa predisposizione di un sistema di monitoraggio costante dei parametri vitali e la mancata attuazione della dovuta sorveglianza clinico-assistenziale. Queste sono 12 responsabile della degenza neurologica e delle malattie neuromuscolari del le condotte omissive che vengono indicate come antecedente causale rispetto alla morte del paziente, atteso che la crisi respiratoria, con esito letale, sopraggiunta nelle prime ore del mattino del 20.03.2007, secondo i termini dell'accusa avrebbe potuto essere utilmente fronteggiata. E la Corte di Appello ha in realtà omesso di confortarsi con le riferite emergenze di fatto, avendo sviluppato un ragionamento privo di conferenza, rispetto ai termini delle contestazioni, come subito si vedrà. 8.5 L'ordine di considerazioni che precede induce a rilevare che la denunciate aporie di ordine logico, che hanno pure determinato una inappropriata applicazione del disposto di cui all'art. 40, cpv. cod. pen., rispetto al principio di diritto sopra affermato. Tanto si rileva, atteso che la Corte territoriale non ha applicato correttamente, in riferimento all'oggetto degli addebiti, il paradigma controfattuale che, secondo diritto vivente, presiede all'accertamento della riferibilità materiale dell'evento, nei reati omissivi impropri. La Corte di Appello ha, infatti, ritenuto che il mancato accertamento della natura della patologia che affliggeva il paziente impedisse di selezionare le condotte attese e di valutarle sul piano causale, sviluppando un ragionamento non conducente rispetto ai termini di fatto delle contestazioni. Gli addebiti, invero, concernono il diverso profilo fenomenologico, relativo alla possibile utile gestione del malato, sotto l'aspetto della vigilanza assistenziale, posto che il quadro clinico evidenziava la ingravescente compromissione di specifici parametri vitali. Deve allora conclusivamente rilevarsi che le basi nomologiche del ragionamento controfattuale, nel caso di giudizio, prescindono dall'accertamento della natura della malattia ed involgono il diverso tema - in realtà, rimasto inesplorato - relativo alla necessità di porre in essere, sin dal momento della accettazione del malato, un trattamento assistenziale intensivo o sub intensivo e della possibile utilità dei presidi di emergenza clinica, quale l'attività rianimatoria, a fronteggiare la crisi respiratoria, rivelatasi fatale. 8.5.1. E' poi appena il caso di osservare che la Corte regolatrice risulta consolidata nel rilevare che, in tema di omicidio colposo, sussiste il nesso di causalità tra l'omessa adozione da parte del medico specialistico di idonee misure atte a rallentare il decorso della patologia acuta, colposamente non diagnosticata, ed il decesso del paziente, quando risulta accertato, secondo il principio di controfattualità, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l'evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con minore intensità lesiva (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 18573 del 14/02/2013, dep. 24/04/2013, Rv. 256338). 13 motivazione posta a fondamento della sentenza impugnata risulta inficiata dalle 8.6 Introducendo a questo punto della trattazione l'esame del terzo motivo di ricorso, si osserva, con rilievo di ordine dirimente, che la Corte territoriale non si è soffermata approfonditamente sul profilo della ascrivibilità colposa delle condotte specificamente ascritte a ciascun imputato, fatta salva la posizione del De Nuzzo, ritenendo che il mancato accertamento della natura della malattia impedisse di individuare le condotte doverose omesse. Le considerazioni sopra svolte, analizzando i primi due motivi di ricorso, conducono, di riflesso, a rilevare anche la dei profili di colpa ascrivibili a ciascun imputato. 9. I difetti rilevati da questa Suprema Corte impongono l'annullamento della sentenza impugnata, agli effetti civili, ed il rinvio per nuovo esame al giudice di merito, che va individuato nel giudice civile competente per valore in grado di appello, secondo quanto disposto dall'art. 622 cod. proc. pen., dato che la rilevazione degli illustrati vizi ha condotto all'accoglimento del ricorso proposto delle parti civili contro la sentenza assolutoria. In riferimento al contenuto del seguente giudizio rescissorio, si osserva che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la pronuncia assolutoria penale, oggetto di annullamento, non determina effetti vincolanti sul giudizio civile di danno; ciò in quanto il giudizio civile, che segue ad un annullamento disposto dalla Corte regolatrice in sede penale per accoglimento di un ricorso della parte civile contro una sentenza di proscioglimento, non patisce alcun tipo di condizionamento e pertanto deve estendersi all'intera pretesa risarcitoria, sia per l'aspetto inerente al fondamento della stessa che per quello dell'eventuale determinazione dell'ammontare risarcitorio (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11994 del 30/01/2013, dep. 14/03/2013, Rv. 255447; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5460 del 04/12/2013, dep. 04/02/2014, Rv. 258848). Al giudice civile viene demandata anche la regolamentazione tra le parti delle spese del presente giudizio. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore Generale; annulla la sentenza impugnata agli effetti civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demanda anche la regolamentazione tra le parti delle spese del presente giudizio. Così deciso in Roma in data 13 giugno 2014 Il Consigliere est. Il Presidente sussistenza del dedotto vizio motivazionale, in riferimento alla mancata disamina

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