Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30465 del 11/04/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 30465 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
STORICO LUIGI N. IL 02/12/1986
SCHIANO GENNARO N. IL 19/09/1978
avverso la sentenza n. 50258/2013 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
09/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SALVATORE DOVERE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. es1m4.0,4
che ha concluso per a 1,1„..h.-Q 40-C vc.~ )

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Data Udienza: 11/04/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Napoli ha
parzialmente riformato la condanna pronunciata dal G.i.p. del Tribunale di Napoli
nei confronti di Storico Luigi e Schiano Gennaro, giudicati colpevoli del reato di
cui all’art. 73, co. 1 ed 80, co. 1 lett. b) T.U. Stup., per aver illecitamente
detenuto e ceduto a terzi 52,2354 grammi di marijuana, e condannati, calcolata
la diminuente per il celebrato rito abbreviato, lo Storico, al quale venivano
concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, alla

pena di anni sei di reclusione ed euro trentaseimila di multa. La Corte di Appello
ha escluso per entrambi l’aggravante di cui all’art. 80 T.U. Stup. e ha
rideterminato la pena inflitta allo Storico in anni tre mesi quattro di reclusione ed
euro sedicimila di multa e quella inflitta allo Schiano in anni quattro di reclusione
ed euro ventimila di multa, oltre le pene accessorie di legge.

2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione lo Storico a mezzo del
difensore di fiducia, avv. Mario Pasquale Fortunato, deducendo violazione
dell’art. 597, co. 3 e 4 cod. proc. pen. in relazione all’art. 62bis cod. pen.
Ad avviso dell’esponente, nel ridurre la pena per effetto della concessione
delle attenuanti generiche soltanto di un sesto la Corte di Appello è incorsa in
violazione del divieto di reformatio in peius perché “se il primo giudice, a fronte
di un’aggravante ad effetto speciale, ha valutato le circostanze attenuanti
generiche come equivalenti, ha operato tale giudizio di comparazione perché ha
ritenuto di applicare le attenuanti generiche nella loro massima estensione”.

3. Propone ricorso per cassazione anche l’imputato Schiano, deducendo
violazione di legge e vizio motivazionale: per un primo profilo lamenta che “la
Corte, non prende in considerazione la mancanza dell’elemento di prova del
coinvolgimento e della partecipazione dell’imputato nell’attività di spaccio
oggetto di accertamento da parte degli agenti operanti”; quindi, aggiunge, nel
negare l’attenuante di cui all’art. 73, co. 5 T.U. Stup. omette di prendere in
considerazione i motivi addotti dalla difesa e nel negare le attenuanti generiche
la Corte di Appello non tiene conto dell’effettivo comportamento dell’imputato.

4. Con ‘motivi nuovi’ depositato il 27.3.2014 il difensore dello Storico ha
chiesto l’annullamento della sentenza impugnata per la necessità di
rideterminare il trattamento sanzionatorio alla luce della sopravvenuta
declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. 4bis e 4vicies ter del d.l. n.
272/2005.

2

pena di anni quattro di reclusione ed euro trentamila di multa e lo Schiano alla

CONSIDERATO IN DIRITTO
5.

I ricorsi sono inammissibili. Ciò non di meno deve pronunciarsi

l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, dovendo rideterminarsi il
trattamento sanzionatorio.

5.1. L’affermazione secondo la quale il giudizio di equivalenza delle
circostanze eterogenee implicherebbe l’applicazione delle attenuanti (nel caso di
specie, generiche) nella loro massima estensione è del tutto priva di

circostanze del reato, si perviene ad apportare delle variazioni alla pena che si
infliggerebbe in ragione del reato non circostanziato prende le mosse dal giudizio
di sussistenza della circostanza, che anche nel caso di attenuanti generiche si
mantiene distinto da quello di bilanciamento con eventuale circostanze
eterogenee concorrenti (“Il riconoscimento della sussistenza di circostanze
attenuanti generiche non è incompatibile con la formulazione di un giudizio di
equivalenza anziché di prevalenza delle attenuanti generiche con le aggravanti
(nella specie l’aggravante ex art. 219, comma secondo, I. fall.), trattandosi di
valutazione di natura completamente diversa”: Sez. 5, n. 35828 del 04/06/2010
– dep. 06/10/2010, Gambardella, Rv. 248501). Il primo attiene alla verifica della
integrazione della fattispecie circostanziale; il secondo ha ad oggetto
l’apprezzamento della pena più adeguata nel caso concreto. In tale seconda
operazione non si procede ad alcuna ‘misurazione’ del peso delle circostanze,
svolgendosi un apprezzamento unitario. Ciò è tanto vero che le S.U. hanno
ribadito che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte
circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di
cognizione, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero
arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione,
tale dovendo considerarsi l’aver ritenuto la soluzione della equivalenza come la
più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto, con
valutazione complessiva dell’episodio criminoso e della personalità dell’imputato
(Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010 – dep. 18/03/2010, Contaldo, Rv. 245931).
A respingere una tesi la cui erroneità appare evidente è sufficiente
aggiungere che la Corte di Appello, una volta esclusa l’aggravante che era stata
posta in rapporto di equivalenza, determina l’entità della diminuzione senza
incorrere in alcun limite derivante dal principio devolutivo.

6. Il ricorso proposto nell’interesse dello Schiano è aspecifico.
Ai sensi dell’art. 581, co. 1 lett. c) cod. proc. pen., l’impugnazione deve
enunciare, tra gli altri, “i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto

fondamento. La sequenza in forza della quale, in virtù della ricorrenza di

e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”. L’art. 591, co. 1, lett. c)
cod. proc. pen., commina la sanzione dell’inammissibilità dell’impugnazione
quando venga violato, tra gli altri, il disposto dell’art. 581 cod. proc. pen.
Come costantemente affermato da questa Corte (tra le altre, sez. 6,
30/10/2008, Arruzzoli ed altri, rv. 242129), in materia di impugnazioni,
l’indicazione di motivi generici nel ricorso, in violazione dell’art. 581 lett. c)
c.p.p., costituisce di per sè motivo di inammissibilità del proposto gravame.
Nel caso di specie, l’atto di impugnazione omette qualsivoglia indicazione

dovrebbero rendere palese il vizio della decisione impugnata. Il ricorrente si
limita ad evocare la mancanza di prova della responsabilità dello Schiano senza
confrontarsi in alcun modo con le argomentazioni a riguardo svolte dalla Corte
di Appello. Allo stesso modo, dopo che il giudice dell’impugnazione aveva
vagliato la richiesta difensiva di applicazione dell’art. 73, co. 5 T.U. Stup.
facendo perno sul dato ponderale, respingendola in ragione degli ulteriori
elementi concretanti, per la Corte distrettuale, un fatto di non lieve entità, il
ricorrente si limita a reiterare le argomentazioni imperniate sul quantitativo della
sostanza oggetto materiale del reato, senza contrastare la complessiva
argomentazione svolta dal giudicante. Quanto al restante rilievo, mette conto
rammentare che per il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è
necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o
sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente il riferimento
a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, purché la valutazione di tale
rilevanza tenga obbligatoriamente conto, a pena di illegittimità della
motivazione, delle specifiche considerazioni mosse sul punto dall’interessato
(Sez. 3, n. 23055 del 23/04/2013 – dep. 29/05/2013, Banic e altri, Rv. 256172).
Ebbene, la Corte di Appello ha preso in esame quanto indicatole
dall’impugnante come in grado di sostenere la concessione delle attenuanti
generiche (ovvero le condizioni di vita), esplicando le ragioni per le quali tale
fattore non potesse valere a giustificare tale concessione. Anche riguado a tale
tema il ricorrente si è limitato a riproporre i rilievi già posti all’attenzione del
giudice di secondo grado.
7. L’inammissibilità del ricorso originario non impedisce a questa Corte
regolatrice di annullare la sentenza impugnata, in ragione delle modifiche
normative che sono intervenute dopo il deposito dei presenti ricorsi. In questa
sede deve ribadirsi che per il caso di modifiche normative sopravvenute
l’inammissibilità del ricorso non impedisce l’adozione di una pronuncia di

degli elementi di fatto che, sulla scorta della ricostruzione giuridica offerta,

annullamento da parte del giudice di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 21982 del
16/05/2013 – dep. 22/05/2013, Ingordini, Rv. 255674).
Nel caso di specie deve considerarsi che, per effetto della sentenza della
Corte costituzionale del 12 febbraio 2014, n. 32, la quale ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale degli articoli 4-bis e 4-vicies ter del d.l. 30 dicembre
2005, n. 272, introdotti dalla legge di conversione del 21 febbraio 2006, n. 49, la
disciplina in materia di sostanze stupefacenti che viene in rilievo è quella prevista
dal d.p.r. n. 309/1990, nella versione antecedente le modifiche recate dalla

Com’è noto, le disposizioni colpite dalla declaratoria di illegittimità
costituzionale avevano introdotto una innovazione sistematica alla disciplina dei
reati in materia di stupefacenti, sia sotto il profilo delle incriminazioni che sotto
quello sanzionatorio. Il fulcro della novella, infatti, era costituito dalla
parificazione dei delitti riguardanti le droghe cosiddette “pesanti” e di quelli
aventi ad oggetto le droghe cosiddette “leggere”, fattispecie che risultavano
differenziate dalla precedente disciplina. In particolare, la pena prevista per le
sostanze di cui alle tabelle II e IV dell’articolo 14 d.p.r. cit., nell’ipotesi in cui non
ricorra la fattispecie incentrata sulla lievità del fatto (art. 73, co. 5 T.U. Stup.)
risulta compresa tra il minimo di due anni ed il massimo di sei anni di reclusione,
oltre la multa, laddove la fattispecie concreta che qui occupa rinveniva, in forza
delle disposizioni colpite dalla declaratoria di illegittimità costituzionale, una
previsione sanzionatoria che contemplava un minimo di sei ed un massimo di
venti anni di reclusione, oltre la multa; ed è con quest’ultima che il giudice di
merito si è confrontato. Infatti, nel caso di specie agli odierni ricorrenti è stata
applicata la pena indicata nella superiore parte narrativa muovendo da una pena
base di sei di reclusione, oltre la multa: si tratta di una misura di pena
corrispondente al limite massimo oggi applicabile al caso in esame; con l’effetto
che la pena inflitta agli odierni ricorrenti deve essere ritenuta non più
corrispondente al giudizio di congruità espresso dai giudici di merito con
riferimento alla previgente cornice edittale.
Ne deriva l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente al
trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di
Napoli.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e
rinvia sul punto alla Corte di Appello di Napoli.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio de1111/4/2014.

menzionata I. n. 49/2006.

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