Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3044 del 01/12/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 3044 Anno 2016
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: SCALIA LAURA

SENTENZA

sul ricorso proposto da

Saitta Lorenzo nato a Catania il 03/09/1975
Musumeci Sebastiana nata a Catania il 18/09/1978

avverso il decreto di conferma della confisca del 26/11/2014 della Corte di
appello di Catania

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Laura Scalia;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Piero Gaeta, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi

RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto emesso in data 26 novembre 2014, la Corte di appello di
Catania, confermando il provvedimento del Tribunale di Catania, ha disposto
nei confronti di Lorenzo Saitta l’aggravamento della misura della

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Data Udienza: 01/12/2015

sorveglianza speciale di P.S. (già applicata al proposto con decreto della
Corte di appello di Catania in data 25 febbraio 1999) per l’ulteriore durata di
un anno, con obbligo di soggiorno e di pagamento di cauzione, e la confisca
dei beni anche nei confronti della terza interessata, Sebastiana Musumeci,
coniuge del Saitta.
E’ stato in tal modo confermato il giudizio di pericolosità del proposto per
l’appartenenza di questi a contesto mafioso.
La Corte di appello ha valorizzato — insieme ad una precedente

con l’organizzazione mafiosa catanese dei Santapaola — gli esiti di un
compendio di intercettazioni telefoniche ed ambientali, disposte in un
distinto procedimento, da cui sarebbe risultata la volontà del proposto di
affiliarsi al gruppo dei Mirabile, gruppo che, all’interno di “Cosa nostra”
catanese, cercava dì affermarsi sulle altre fazioni facenti parte del medesimo
territorio.
La Corte territoriale, quanto alla posizione del terzo interessato,
Sebastiana Musumeci, coniuge del proposto, nel confermare il
provvedimento di confisca, previa valutazione delle autonome fonti di
reddito di detto terzo e confronto delle stesse con lh spesa complessiva
familiare, ha concluso per la non legittima provenienza dei redditi e
comunque per l’insufficienza degli stessi a far fronte alla spesa.

2. Avverso l’indicato decreto propongono distinti ricorsi per cassazione i
difensori di Lorenzo Saitta e Sebastiana Musumeci.

3. Sulle posizioni di Lorenzo Saitta.
3.1. Con il primo motivo di ricorso, la difesa del Saitta denuncia
violazione di legge (art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen.) in relazione
al difetto di attualità del giudizio di pericolosità espresso dalla Corte di
appello, in ragione della risalenza, nel tempo, dei precedenti giudiziari
addotti.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso, la difesa lamenta l’intervenuta
applicazione della misura di prevenzione patrimoniale della confisca nei
confronti del terzo, coniuge del proposto, contestando della prima gli
estremi di sussistenza, estremi che, anche in ragione del rapporto di
coniugio intercorrente tra la Musumeci ed il Saitta, non avrebbero dovuto
sfuggire ad un rigoroso ed attento vaglio di riscontro da parte della Corte,
nella premessa dell’estraneità di detto terzo alla misura personale di
prevenzione applicata.
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condanna con cui si sarebbe accertato il sodalizio del Saitta dall’anno 2003,

4. Sulle posizioni di Sebastiana Musumeci.
4.1. Con unico articolato motivo, la difesa della Musumeci denuncia
violazione di legge (art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., in relazione
agli artt. 20, 23 e 24 d.lgs. n. 159 del 2011 e quindi all’art. 5 CEDU) in cui
sarebbe incorsa la Corte territoriale nell’adottare l’impugnato
provvedimento.
Censura così la difesa il ragionamento spiegato dalla Corte di appello
che, nel dare ricostruzione ai redditi di cui la Musumeci poteva disporre, ha

parte, in tal modo pervenendo ad un errato giudizio di sproporzione tra i
redditi conseguiti e gli acquisti effettuati e ad una errata stima della spesa
annua familiare.
La difesa della Musumeci censura ancora l’impugnato decreto perché
reiettivo della richiesta di nuova perizia — sollecitata dal terzo sulle curate
allegazioni difensive per riscontrare delle stesse la veridicità — e quindi
perché sostanzialmente non rispettoso del diritto di difesa del terzo,
destinatario della misura ablativa.
Con “Note difensive” depositate in data 26 novembre 2015, l’avvocato di
Sebastiana Musumeci ha richiesto, in via preliminare, la trattazione in forma
partecipata del procedimento, ai sensi dell’art. 127 cod. proc. pen.,
richiamando, a sostegno, gli esiti di illegittimità costituzionale di cui alla
sentenza n. 93 del 2010.
Nel merito, la difesa ha ancora argomentato sulla dedotta grave
violazione di legge (art. 23, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011, come già
disciplinato dall’art.

2-ter della legge n. 575 del 1965), per mancata

acquisizione di una prova decisiva consistente nella rinnovazione della
perizia.

5.

Il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione ha fatto

pervenire memoria scritta in cui ha concluso per l’inammissibilità di
entrambi i ricorsi.
Quello proposto da Lorenzo Saitta perché generico quanto alle censure
svolte avverso l’applicata misura personale e non accompagnato, poi, dal
relativo interesse quanto ai rilievi pure ivi formulati al provvedimento, nella
parte applicativa della misura della confisca.
Quello proposto da Sebastiana Musumeci perché meramente reiterativo
dei motivi già avanzati dinanzi alla Corte territoriale, delle cui
argomentazioni la ricorrente non si sarebbe fatta carico con il prospettare
alla Corte di cassazione la violazione di legge, sub specie della motivazione
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disatteso gli esiti delle indagini difensive e degli accertamenti tecnici di

mancante o apparente, secondo la tipologia di ricorso ammissibile in
materia.

RITENUTO IN DIRITTO

1. I ricorsi proposti sono inammissibili.
1.1. In via preliminare.
La Corte costituzionale con sentenza 11 marzo 2011, n. 80,

27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle
persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità) e dell’art. 2-

ter della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni
criminali di tipo mafioso, anche straniere) promosso dalla Corte di
cassazione con ordinanza del 12 novembre 2009, n. 177, ha dichiarato non
fondata la questione di legittimità — sollevata in riferimento all’art. 117,
primo comma, della Costituzione e, quale norma interposta, dell’art. 6,
paragrafo 1, della ‘Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali’ — delle norme sottoposte a scrutinio, nella parte
in cui non consentono che, a richiesta di parte, il ricorso per cassazione in
materia di misure di prevenzione venga trattato in udienza pubblica.
In motivazione, per richiamo alla sentenza n. 93 del 2010, trova
espressione il principio per il quale la Corte EDU, nel pronunciare sulla
necessità che i soggetti sottoposti a procedimento di prevenzione possano
almeno sollecitare una trattazione in pubblica udienza (sentenza CEDU 13
novembre 2007, Bocellari/Italia), si riferisca ai giudizi di merito e non al
giudizio di cassazione.
Il medesimo argomentare sostiene peraltro la non praticabilità della
soluzione prospettata dai ricorrenti, nella parte in cui per la stessa si
sollecita una diretta disapplicazione delle norme interne di contrasto con il
principio della pubblicità dei procedimenti sancito dall’art. 6 CEDU, paragrafo
1.
Nella diversità dei giudizi di merito e di legittimità, in ogni caso, non
vi è spazio per operare improprie estensioni degli effetti della declaratoria di
illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 93 del 2010, che ha
caducato le norme sul procedimento delle misure di prevenzione per i soli
giudizi dinanzi al Tribunale ed alla Corte dì appello.
Piuttosto la sentenza n. 80 del 2011, nell’escludere ogni dubbio di
costituzionalità per i procedimenti di prevenzione non trattati dinanzi alla
Corte di cassazione nelle forme della pubblica udienza, consente su detta
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pronunciando nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4 della legge

affermazione di pienamente poggiare un giudizio di totale inammissibilità di
una istanza, qual è quella prodotta dai ricorrenti, che vorrebbe, per diretto
richiamo al portato della sentenza n. 93 del 2010, trarre l’effetto che la
trattazione dinanzi alla Corte di cassazione del procedimento di prevenzione
avvenga in forma camerale partecipata (art. 127 cod. proc. pen.).

2. Venendo alle censure avanzate per i promossi ricorsi, si ha che
quello introdotto nell’interesse del proposto Sebastiani, è ,inammissibile.

rileva nelle rassegnate conclusioni il Procuratore generale presso la Corte di
cassazione, la doglianza portata al decreto della Corte di appello è del tutto
generica.
La stessa censurando il giudizio sull’attualità della pericolosità sociale
del proposto espresso dalla Corte territoriale non sì confronta, in realtà, con
le motivazioni spese dai Giudici di merito, denunciando, in tal modo la
propria inammissibilità.
I contenuti dell’introdotto motivo aventi ad oggetto poi la misura reale
della confisca, impropriamente ripropongono le censure articolate avverso il
decreto dal terzo, il coniuge del proposto, Sebastiana Musumeci.
Quei contenuti, nell’ intestazione dei beni oggetto dell’impugnata misura
reale in capo alla terza Musumeci — senza che peraltro il Saitta deduca per
siffatta intestazione neppure l’esistenza di una interposizione fittizia —, non
sono sostenuti dal dovuto interesse della parte ricorrente.
Nell’ intervenuta intestazione al terzo dei beni, l’unico legittimato a
proporre ricorso resta infatti il terzo medesimo, quale soggetto titolare del
diritto alla restituzione (Sez. 5, n. 7433 del 27/09/2013, Canarelli).

3. E’ del pari inammissibile il mezzo proposto dalla terza intestataria dei
beni attinti da misura, Sebastiana Musumeci, per aspecificità del motivo
determinata dalla mancanza di correlazione tra le ragioni argomentative
della decisione impugnata e quelle poste a fondamento del ricorso (Sez. 3,
n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo; Sez. 4, n. 3750 del 02/12/1988,
Calzolaio; in motivazione: Sez. 2, n. 36406 del 27/06/2012, Livrieri).
La ricorrente non si fa carico, infatti, per le censure riproposte dinanzi
alla Corte, delle argomentazioni spese dai Giudici di appello e non costruisce
l’introdotto mezzo per passaggio, essenziale in ragione della natura di
prevenzione del procedimento (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci),
attraverso una denuncia di carenza di motivazione o motivazione apparente,

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Per la parte relativa alla misura personale, infatti, come congruamente

figura sintomatica della violazione di legge a cui resta circoscritto l’introdotto
mezzo.
I ricorsi sono conclusivamente inammissibili.

4. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna
dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al
pagamento di una somma, che si reputa equo stimare in euro 1.000,00, in
favore della Cassa delle ammende, in ragione della sanzionabilità di

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno a quella della somma di C 1.000,00 in favore
della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2015

iniziative processuali ritenute come colposamente connotate.

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