Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3043 del 27/11/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 3043 Anno 2016
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ESPOSITO ANTONIO N. IL 01/02/1965
FIGURELLI FRANCO N. IL 07/01/1956
TREDICINE GIORDANO N. IL 03/02/1982
BRAVO STEFANO N. IL 26/12/1960
GARRONE ALESSANDRA N. IL 22/07/1974
BUZZI SALVATORE N. IL 15/11/1955
BUGITTI EMANUELA N. IL 22/11/1953
DI NINNO PAOLO N. IL 06/09/1962
SCOZZAFAVA ANGELO N. IL 10/06/1967

avverso l’ordinanza n. 1648/2015 TRIB. LIBERTA’ di ROMA, del
16/07/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Gaetano DE AMICIS;
sentite le conclusioni del PG Dott. Gabriele MAZZOTTA per il
rigetto di tutti i ricorsi;
Uditi i difensori: Avv. COPPI Franco Carlo e Avv. TOGNOZZI
Gianluca per Tredicine Giordano, Avv. STELLATO Antonio per
Figurelli Franco, Avv. MOBRICI Saveria per Bravo Stefano, Avv.
CONTRADA Lorenzo per Esposito Antonio, Avv. SCALISE
Gaetano Antonio per Scozzafava Angelo, tutti insistono per
l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

Data Udienza: 27/11/2015

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RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 16 giugno-16 luglio 2015 il Tribunale del riesame di
Roma ha confermato l’ordinanza emessa dal G.i.p. presso il Tribunale di Roma
in data 29 maggio 2015 – che applicava la misura della custodia cautelare in
carcere nei confronti di Buzzi Salvatore e Di Ninno Paolo e quella degli arresti
domiciliari per Giordano Tredicine, Bravo Stefano, Garrone Alessandra e Bugitti

Esposito Antonio, ai quali ha applicato, in sostituzione della misura della
custodia cautelare in carcere, la diversa misura coercitiva degli arresti
domiciliari nelle rispettive abitazioni.

2. Il difensore di fiducia di Buzzi Salvatore, Garrone Alessandra, Bugitti
Emanuela e Di Ninno Paolo ha proposto nel loro interesse ricorso per cassazione
avverso la su citata ordinanza, deducendo la violazione dell’art. 606, comma 1,
lett. c), c.p.p., in relazione agli artt. 274, comma 1, lett. c), 292, comma 2, lett.
c) e c bis, 310, comma 9, c.p.p., come modificati dalla I. n. 47/2015, per avere

omesso di motivare con riferimento alle esigenze cautelari e, comunque, per
avere integrato la motivazione carente contenuta nel provvedimento cautelare
genetico.
Richiamati, in particolare, gli artt. 2 e 8 della I. n. 47/2015, si deduce che il
G.i.p., al di là di un generico richiamo allo

ius superveniens,

avrebbe

completamente omesso l’autonoma valutazione degli indizi e delle esigenze
cautelari, sostanzialmente rinviando alla precedente ordinanza cautelare del 28
novembre 2014: sia l’ordinanza impugnata, dunque, che quella oggetto di
riesame, si sono limitate a richiamare il contenuto di procedenti provvedimenti
cautelari ed hanno eluso i parametri imposti dalla su citata novella legislativa,
che presenta invece un contenuto innovativo là dove richiede l’esistenza di un
pericolo concreto ed attuale di reiterazione del reato.
Nessuna valutazione in termini di attualità, in particolare, è stata effettuata
nei confronti di Buzzi e della Bugitti, avendo il Tribunale motivato (per il primo)
sulla base del richiamo alla gravità dei fatti commessi e (per entrambi) a
precedenti penali risalenti nel tempo, ovvero, per la seconda indagata, sulla
base della trascrizione del testo della precedente ordinanza emessa dallo stesso
Tribunale il 23 giugno 2015 in sede di giudizio di rinvio, senza prendere in
esame i fatti successivamente intervenuti (dismissione delle cariche in

Emanuela – riformandola nei confronti di Figurelli Franco, Scozzafava Angelo ed

precedenza ricoperte da tutti i predetti indagati all’interno delle società del
gruppo, la sottoposizione di queste ultime a provvedimenti di amministrazione
giudiziaria, le spontanee dichiarazioni rese dal Buzzi in data 31 marzo 2015,
ecc.).
La motivazione dell’ordinanza adottata dal G.i.p., infine, era insufficiente
anche in relazione alle posizioni di Garrone Alessandra e Di Ninno Paolo (per il
quale vi è stato un mero rinvio all’ordinanza applicativa del precedente titolo

genetico.

3. I difensori di Giordano Tredicine hanno proposto nel suo interesse
ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di doglianza il cui contenuto
viene di seguito sinteticamente illustrato.

3.1. Violazione dell’art. 125 c.p.p. per motivazione meramente apparente
in relazione al reato oggetto del capo d’imputazione sub 6), non avendo il
Tribunale considerato gli elementi rappresentati in una memoria difensiva che
dava conto, anche attraverso produzioni documentali, dell’inesistenza della
provvista indiziaria e della totale estraneità dell’indagato alle vicende delle
cooperative del Buzzi. La sussistenza dei gravi indizi è stata infatti desunta solo
attraverso il richiamo alle conversazioni captate su terzi, senza svolgere
neanche una sommaria analisi delle indicazioni di segno contrario al riguardo
fornite dalla difesa.

3.2. Violazione di legge e vizi della motivazione in ordine alla sussistenza
dei gravi indizi di colpevolezza relativi al reato di cui all’art. 318 c.p., non
avendo il Tribunale del riesame individuato negli elementi a sua disposizione ossia, stralci di intercettazioni fra soggetti diversi dall’indagato – il patto
corruttivo, né l’erogazione di utilità, da un lato, e l’attività

contra legem,

dall’altro. Al riguardo, in particolare, l’ordinanza impugnata non ha spiegato
come tutta l’attività istituzionale compiuta dall’indagato, che già dal 2010 si
poneva in oggettivo contrasto con gli interessi delle cooperative, potesse
coesistere con l’ipotizzato asservimento delle sue funzioni. E’ infine apodittica la
motivazione là dove ha ritenuto che le delibere di cui all’ordinanza – tutte
adottate dalla maggioranza e dall’opposizione – siano state condizionate dal

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cautelare), né il Tribunale del riesame ha colmato le oggettive lacune del titolo

solo indagato, attribuendogli in tal modo la forza di piegare la volontà dell’intera
assemblea capitolina.

3.3. Violazione di legge e vizi della motivazione in relazione agli artt. 318
c.p., 275 e 125 c.p.p., per avere il Tribunale omesso di motivare su una
questione prospettata dalla difesa in sede di riesame, ossia circa l’impossibilità

atteso che è proprio l’impugnato provvedimento ad aver affermato che
l’accordo corruttivo tra il Buzzi ed il Tredicine si sarebbe realizzato già sotto la
precedente giunta, quindi prima dell’innalzamento di pene introdotto con la
nuova formulazione dell’art. 318 c.p..

3.4. Violazione di legge e vizi della motivazione in relazione agli artt. 275 e
125, comma 3, c.p.p., non avendo il Tribunale considerato, ai fini della
sussistenza delle esigenze cautelari, gli aspetti dedotti dalla difesa in tema di
prognosi di pena, incensuratezza e giovane età dell’indagato, attualità e
concretezza del pericolo di reiterazione del reato.

3.5. Con motivo aggiunto, depositato nella Cancelleria di questa Suprema
Corte in data 11 novembre 2015, i difensori insistono sul secondo e terzo
motivo di ricorso, deducendo ulteriori elementi a sostegno dell’impossibilità di
applicare misure diverse da quelle previste ex art. 289, comma 2, c.p.p., atteso
che l’acquisizione di nuovi elementi – un interrogatorio reso dal Buzzi al P.M. in
data 23 giugno 2015 – confermerebbe la presenza di versamenti di somme di
denaro all’indagato in un periodo antecedente gli anni 2013-2014.

4. Il difensore di Angelo Scozzafava ha proposto nel suo interesse ricorso
per cassazione, deducendo la nullità dell’ordinanza per difetto di motivazione in
relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari ex artt. 274, lett. c), 292,
comma 2, lett. c) e 309, comma 9, c.p.p..
Si assume, in particolare, che il Tribunale non avrebbe motivato in merito
alla permanenza del pericolo di recidiva a seguito della dedotta circostanza
relativa al cambio di ruolo all’interno dell’amministrazione di appartenenza,
sebbene la difesa avesse sollevato specifiche doglianze sul punto, con una
memoria depositata in udienza.

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di applicare misure diverse da quelle previste dall’art. 289, comma 2, c.p.p.,

Non è stata considerata, in particolare, l’attualità del pericolo, a fronte della
circostanza che l’indagato, in seguito alla perquisizione subita il 2 dicembre
2014, aveva ritenuto opportuno dimettersi dalla carica di componente la
commissione aggiudicatrice di una gara d’appalto presso l’ASL di Caserta ed
aveva richiesto al Direttore generale dell’Azienda ospedaliera Sant’Andrea, ove
prestava servizio, di essere sollevato dalle attività che lo vedevano impegnato

seguito di tale seconda richiesta, responsabile pro tempore di altro ufficio, con
un ruolo dirigenziale privo di alcun potere dispositivo, sia di spesa che di
fornitura di mezzi o servizi, oltre che della possibilità di indire gare di appalto.
Nelle more, peraltro, era sopraggiunto anche il provvedimento di sospensione
dal servizio da parte della predetta Azienda ospedaliera: elemento, questo,
portato anch’esso all’attenzione del Tribunale, che ha invece operato un
inconferente richiamo all’esistenza del medesimo rischio in capo ad altro
indagato (il Pedetti), che ricopriva un ruolo politico del tutto differente rispetto
a quello di pubblico funzionario proprio dello Scozzafava.
Si deduce, infine, la mancata considerazione della episodicità delle condotte
criminose contestate all’indagato (tutte realizzate nel medesimo arco
temporale, ossia nel luglio 2014), della sua incensuratezza e del tempo
trascorso dalla commissione dei reati.

5. I difensori di Antonio Esposito hanno proposto nel suo interesse ricorso
per cassazione, deducendo quattro motivi di doglianza il cui contenuto viene di
seguito sinteticamente illustrato.

5.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 7 I. n.
203/1991 e 273 c.p.p., avendo il Tribunale del riesame indicato una serie di
condotte senza motivare in ordine all’esistenza di un’attività continuativa posta
in essere in favore del sodalizio criminale e del suo esponente di vertice.
Dall’ordinanza impugnata, infatti, si evince una disponibilità dell’indagato in
favore del Carnninati e della sua compagna – cliente dell’Esposito – ma nulla si
afferma, in termini di prova diretta o indiretta, riguardo alla consapevolezza che
tale condotta avrebbe agevolato non solo il Carminati, ma anche
un’organizzazione criminale che agiva attraverso il metodo mafioso.

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come responsabile unico del procedimento, per esser nominato dal D.G., a

5.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato di cui
all’art. 12-quinquies della I. n. 356/1992 (capo sub 22), dove si fa riferimento
ad una mera intestazione fittizia di quote sociali, senza motivare sulla
necessaria presenza del dolo specifico, ed in particolare sulla conoscenza o
consapevolezza, da parte dell’indagato, del fondato timore del Carminati di
essere sottoposto a misure di prevenzione. La quota capitale fittiziamente

che, per la sua modicità ed irrilevanza, non potrebbe mai ritenersi idonea ex
art. 49, comma 2, c.p., ad eludere la norma in materia di prevenzione
patrimoniale, che in ogni caso, per come è strutturata, non appare a concorso
necessario.

5.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al reato di cui
all’art. 8 d. Igs. n. 74/2000 (capo sub 21), poiché è lo stesso Tribunale a
riconoscere la realtà della prestazione oggetto della contestazione: nel caso di
specie, infatti, non si tratta di operazioni totalmente inesistenti, ma di
prestazioni reali fatturate da un soggetto fiscale diverso, dunque di una
simulazione relativa soggettiva, per la quale occorrerebbe sempre il dolo
specifico consistente nel fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte, con
la conseguenza che deve escludersi la sussistenza del reato ove l’agente
persegua il solo fine di conseguire personalmente un indebito vantaggio.

5.4. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 274,
comma 1, lett. c), 275, 125, comma 3, c.p.p., per non avere il Tribunale
adeguatamente motivato circa l’esistenza di un pericolo concreto ed attuale di
reiterazione dei reati, avuto riguardo al fatto che le contestazioni risalgono ad
almeno 8/10 mesi prima dell’emissione del provvedimento custodiale, che
l’indagato è dimissionario dalla carica rivestita nella società cooperativa
“CO.S.MA.” onlus e che le condotte a lui contestate (la mera acquisizione di
quote per l’importo di euro 100,00 e l’emissione di fatture per prestazioni
inesistenti da parte della predetta cooperativa, che egli presiedeva) non
rientrano in attività tipiche di svolgimento della professione forense da lui
esercitata.

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intestata all’Esposito, peraltro, sarebbe di soli 100,00 euro, con la conseguenza

6. Il difensore di Franco Figurelli ha proposto nel suo interesse ricorso per
cassazione, deducendo tre motivi di doglianza il cui contenuto viene di seguito
sinteticamente illustrato.

6.1. Inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità con
riferimento all’art. 309, comma 9, c.p.p., per avere l’ordinanza del G.i.p.
attribuito al Figurelli un comportamento corruttivo ex art. 318 c.p. (capo
sub

1) relativo alla percezione di somme di denaro,

individuandolo come capo della segreteria del Presidente del Consiglio
comunale, senza effettuare alcuna valutazione autonoma in ordine alla
assunzione di tale qualifica rispetto alle richieste del P.M., e per avere il
Tribunale del riesame, a sua volta, integrato la motivazione del provvedimento
restrittivo sul punto, in contrasto con la novellata disposizione di cui all’art. 309,
comma 9, c.p.p. . Si contesta, al riguardo, la sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza, rilevando come l’ordinanza del G.i.p. abbia accolto la tesi del P.M.
– che individua il ricorrente come la persona corrotta sulla base di
un’intercettazione ambientale – senza svolgere un’autonoma valutazione degli
indizi di colpevolezza a norma dell’art. 292 c.p.p. in ordine alla circostanza che
lo stesso si identificava, pur senza esserlo, nel su citato capo della segreteria.

6.2. Violazioni di legge e vizi della motivazione in relazione al ruolo svolto
dal ricorrente nell’ambito della segreteria del Presidente del Consiglio comunale,
per quel che attiene alla contestazione di cui all’art. 319 c.p. (capo sub 2), in
considerazione dell’assoluta mancanza di individuazione dell’attività in concreto
svolta e dell’apporto causale fornito dall’indagato al realizzarsi degli eventi di
volta in volta individuati nell’ordinanza (ad es., l’aggiudicazione delle gare
dell’AMA, la nomina del suo direttore generale, la destinazione di fondi regionali
al X Municipio, lo sblocco dei fondi per il settore sociale, ecc.).

6.3. Violazioni di legge e vizi della motivazione in relazione all’art. 274,
lett. c), c.p.p., per essere stata la misura cautelare della detenzione domiciliare
emessa in assenza dei presupposti di legge ed in aperto contrasto con le
risultanze processuali, avuto riguardo al suo trasferimento, nel frattempo
intervenuto ad altro ufficio, ed al fatto che nell’arco di sei mesi, ossia dall’atto di
perquisizione del 10 dicembre 2014 sino all’ordinanza cautelare del 29 maggio

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d’imputazione

2015, nessuna ulteriore condotta gli sia stata attribuita, tenuto conto anche
della cessazione dell’attività svolta dalla cooperativa “29 giugno”.

7. Il difensore di Stefano Bravo ha proposto nel suo interesse ricorso per
cassazione, deducendo sette motivi di doglianza il cui contenuto viene di
seguito sinteticamente illustrato.

delle esigenze cautelari ex art. 292, comma 2, lett. c-bis), c.p.p., per non avere
il Tribunale considerato le produzioni documentali offerte dalla difesa circa il
fatto che tutti gli incarichi professionali svolti dal ricorrente quale
commercialista di Luca Odevaine sono stati revocati, ovvero hanno costituito
oggetto di rinunzia da parte del predetto professionista, già in epoca
antecedente l’emissione dell’ordinanza impugnata in sede di riesame, sì da
impedire la reiterazione di qualsiasi attività in suo favore.

7.2. Violazioni di legge e vizi della motivazione in relazione alla oggettiva
impossibilità di reiterazione del reato a seguito delle modifiche normative
intervenute con gli artt. 2 e 3 della I. n 47/2015, avuto riguardo alla circostanza
di fatto che il soggetto pubblico necessario per realizzare qualsiasi condotta di
corruzione (ossia, l’Odevaine) si trova in stato di custodia cautelare sin dal
dicembre 2014, sicchè le su indicate esigenze cautelari sarebbero prive dei
requisiti di concretezza ed attualità.

7.3. Violazione dell’art. 309, comma 9, c.p.p., come modificato dall’art. 11,
comma 3, della I. n. 47/2015, per avere il Tribunale illegittimamente tentato di
colmare le lacune della motivazione dell’ordinanza cautelare del G.i.p., là dove
ha fatto riferimento ad una informativa di P.G. del 16 febbraio 2015, mai
comparsa nella predetta ordinanza cautelare e mai indicata come fonte di prova
dal G.i.p..

7.4. Violazione di legge ex art. 273, comma 1-bis c.p.p. e vizi della
motivazione riguardo all’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza ed al mancato
riscontro del contenuto delle intercettazioni ambientali e telefoniche, non
emergendo dalle relative conversazioni elementi specifici e idonei ad attribuire
al ricorrente l’ipotizzata responsabilità penale: dalle stesse, infatti, risulta

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7.1. Violazioni di legge e vizi della motivazione in relazione alla valutazione

esclusivamente un rapporto di fiducia legato allo svolgimento di una pluriennale
attività professionale di commercialista per conto dell’Odevaine e delle società
da quest’ultimo gestite. In particolare, il ricorrente non ha mai ricevuto,
trasportato o consegnato denaro, valori o altri beni per conto dell’Odevaine ed
ha espressamente respinto la sua richiesta di fatturare alla cooperativa “La
Cascina” i compensi dovutigli per lo svolgimento della sua attività professionale,
perché ciò sarebbe risultato illegittimo in assenza di rapporti con la predetta

stata correttamente tenuta, senza eseguire operazioni fittizie, mentre nessun
rapporto risulta instaurato con il Buzzi ed il Carminati. Né, infine, vi è traccia,
nelle intercettazioni telefoniche, della redazione ovvero della predisposizione, da
parte del ricorrente, di bandi di gara che l’Odevaine avrebbe poi pilotato.

7.5. Violazione di legge ex art. 292, comma 2, lett. c), c.p.p. e vizi della
motivazione riguardo al tempo trascorso dalla commissione del reato, atteso
che le imputazioni provvisorie fanno riferimento a fatti avvenuti nel 2014.

7.6. Inesistenza di elementi di prova logica circa la configurabilità del
concorso in reati di corruzione, non emergendo da alcuna intercettazione, o da
altri atti processuali, che il ricorrente abbia ottenuto vantaggi e profitti da
Odevaine ovvero da terzi: risulta acclarato, semmai, il contrario, poiché il
ricorrente nel 2014 è rimasto creditore, senza esito, di compensi professionali
vantati nei confronti dell’Odevaine.

7.7. Mancanza di motivazione sulla eccessività della misura degli arresti
domiciliari e sulla sua sostituzione con altra misura meno afflittiva, tenuto conto
dell’assenza di qualsivoglia esigenza cautelare.

7.8. Con atto depositato in Cancelleria 1’11 novembre 2015 il difensore,
Avv. Saveria Mobrici, ha proposto un motivo nuovo ex art. 585, comma 4,
c.p.p., deducendo violazioni di legge, ex artt. 292, comma 2, lett. c), c bis,

309, comma 9, 274, lett. c), c.p.p., e vizi della motivazione, anche per
travisamento dei fatti, su un punto decisivo, ossia sul contenuto dell’informativa
di P.G. del 16 febbraio 2015, dove si dà atto di conversazioni intercorse fra
l’Odevaine ed altre persone, cui il ricorrente non ha affatto partecipato, e gli si
attribuiscono, inoltre, discorsi che egli in realtà non ha mai compiuto. Il

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cooperativa. Si deduce, inoltre, che la contabilità delle società dell’Odevaine è

ricorrente, in particolare, ha partecipato solo in qualità di consulente ad alcuni
colloqui di Odevaine con i suoi collaboratori, fornendo in quelle occasioni
consigli del tutto leciti circa la necessità di portare la cd. “cassa” ad equilibri più
congrui, ovvero di depositare in banca somme di denaro per importi non

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi proposti da Buzzi Salvatore, Garrone Alessandra, Bugitti
Emanuela e Di Ninno Paolo sono infondati e devono essere rigettati per le
ragioni di seguito indicate.

1.1. Deve al riguardo rilevarsi come i Giudici di merito abbiano, con
congrue ed esaustive argomentazioni, esposto le ragioni giustificative della
valutazione di accresciuta gravità del quadro indiziario, da un lato facendo
riferimento alle specifiche note modali delle nuove condotte di corruzione e
turbativa d’asta emerse dalle attività d’indagine – dai predetti ricorrenti poste in
essere nell’ambito dell’associazione di tipo mafioso della quale si ipotizza che
facciano parte (Buzzi, Di Ninno e Garrone), ovvero che abbiano inteso
agevolare (Bugitti) – dall’altro lato evidenziando come le stesse si siano
continuativamente protratte, “con una consuetudine ed una abitualità
sconcertante”, sino al giorno della esecuzione delle misure cautelari nei loro
confronti applicate, condizionando l’attività amministrativa del Comune di Roma
attraverso il coinvolgimento di numerosi funzionari e pubblici ufficiali in
relazione ai lavori svolti dalle due ultime consiliature.
Entro tale prospettiva, inoltre, il Tribunale del riesame ha fatto riferimento
alla presenza di una fitta rete di connivenze di amministratori e dipendenti
pubblici, soprattutto all’interno dell’amministrazione capitolina, ponendo in
particolare rilievo, con il richiamo alle conformi valutazioni già espresse
nell’ordinanza emessa dal G.i.p., non solo la diffusione del condizionamento
mafioso in diversi settori dell’attività pubblica, con la conseguente piena
percezione dell’esistenza di una organizzazione radicata nel territorio e nelle
strutture della pubblica amministrazione, ma anche la continuatività dell’attività
corruttiva svolta dai vari indagati con connotazioni di trasversalità rispetto alle

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superiori al limite dei cinquemila euro.

varie formazioni politiche ed i gravi precedenti penali a carico di taluni di essi
(Buzzi e Bugitti).
Corrette devono ritenersi, pertanto, le considerazioni espresse dal
Tribunale circa il profilo della perdurante attualità delle esigenze cautelari,
avuto riguardo sia all’apprezzamento circa la particolare gravità delle modalità
di realizzazione dei reati in contestazione, che alle valutazioni circa il probabile

che alle numerose relazioni intessute con esponenti politici e con persone che
ancora oggi rivestono funzioni pubbliche presso il Comune di Roma e la Regione
Lazio, nonchè all’esposizione del complessivo quadro delle ragioni che hanno
condotto il G.i.p. – nel fissare ex art. 297 c.p.p. la retrodatazione della
decorrenza dell’efficacia della misura cautelare alla data del 2 dicembre 2014 a richiamare le motivazioni già poste a fondamento della restrizione dello status
libertatis dei quattro coindagati in occasione del precedente provvedimento
cautelare assunto in data 28 novembre 2014 (dal Tribunale del riesame poi
confermato con ordinanza del 17 dicembre 2014, la cui base giustificativa,
peraltro, è stata anch’essa puntualmente richiamata, per ciascuno dei suddetti
indagati, nella motivazione dell’ordinanza impugnata).

1.2.

Quanto alla prospettazione difensiva del difetto del requisito

dell’attualità richiesto dall’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., deve in questa
Sede ribadirsi, anzitutto, che il tempo trascorso dalla commissione del reato,
anche alla luce della recente novella legislativa n. 47/2015, non ne esclude
automaticamente l’attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione.
L’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., come novellato dalla I. 16
aprile 2015, n. 47, stabilisce che le misure cautelari personali possono essere
disposte – con riferimento al pericolo di reiterazione di reati della stessa specie
di quello per cui si procede – soltanto quando il pericolo medesimo presenta i
caratteri della concretezza e dell’attualità, ricavabili dalle specifiche modalità e
circostanze del fatto e dalla personalità della persona sottoposta alle indagini o
dell’imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti
penali; con l’ulteriore precisazione – anch’essa introdotta dalla su citata I. n. 47
del 2015 – per cui le situazioni di concreto e attuale pericolo, anche in relazione
alla personalità dell’imputato, non possono essere comunque desunte
esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede.

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ricorso alla forza intimidatrice della su indicata organizzazione criminale, oltre

Ne discende che l’ultimo periodo della lett. c) dell’art. 274 impedisce di
desumere il suddetto pericolo dalla gravità del “titolo di reato” astrattamente
considerato, ma non certo, come correttamente è avvenuto nel caso in esame,
dalla valutazione della gravità del fatto nelle sue concrete manifestazioni. Le
“modalità e circostanze del fatto” costituiscono, invero, elementi di valutazione
imprescindibili per una corretta prognosi di recidiva, poiché investono l’analisi di

special-preventive, devono servire a comprendere se la condotta illecita sia
occasionale o, al contrario, si collochi in un più ampio sistema di vita, ovvero,
ancora, se la stessa sia sintomatica di una radicata incapacità di autolimitarsi
che possa condurre l’indagato a commettere ulteriori azioni delittuose.
Pur dovendosi riconoscere che la sussistenza di un onere l,frmotivazionet#
sull’attualità delle esigenze cautelari era già desumibile, nell’assetto normativo
previgente, dall’art. 292, comma secondo, lett. c), cod. proc. pen., è agevole al
contempo rilevare come la

ratio

dell’intervento legislativo sia stata

comunemente individuata nell’avvertita necessità di richiedere al Giudice un
maggiore e più compiuto sforzo motivgi«itttale quanto all’individuazione delle
esigenze cautelari di cui all’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., in ordine alle
quali, quindi, non risulta più sufficiente uno specifico vaglio circa il requisito
della concretezza, ma se ne impone anche un altro, di pari spessore
argomentativo, in merito al connesso profilo dell’attualità.
Con riferimento al pericolo di reiterazione, infatti, la giurisprudenza di
legittimità, in varie occasioni, aveva affermato che, “ai fini della valutazione del
pericolo che l’imputato commetta delitti della stessa specie, il requisito della
concretezza non si identifica con quello dell’attualità, derivante dalla
riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di
nuovi reati, ma con quello dell’esistenza di elementi concreti sulla base dei quali
è possibile affermare che l’imputato possa commettere delitti della stessa
specie di quello per cui si procede, e cioè che offendano lo stesso bene
giuridico” (così ad es., Sez. 6, n. 28618 del 05/04/2013, Vignali, Rv. 255857; in
senso analogo, Sez. 4, n. 18851 del 10/04/2012, Schettino, Rv. 253864; Sez.
1, n. 25214 del 03/06/2009, Pallucchini, Rv. 244829).
Muovendosi entro tale prospettiva, la giurisprudenza aveva maggiormente
incentrato la sua attenzione sul requisito normativo, espressamente
contemplato, della concretezza, correlando la configurabilità del pericolo di
reiterazione di cui alla lett. c) dell’art. 274 cod. proc. pen. alla sola condizione,

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connotazioni comportamentali concrete che, nell’ipotesi delle esigenze cautelari

necessaria e sufficiente, che esistessero elementi “concreti” (cioè non
meramente congetturali) idonei a consentire una prognosi di commissione di
ulteriori delitti analoghi (così, da ultimo, Sez. 5, n. 24051 del 11/05/2014,
Lorenzini, Rv. 260143).
Ne consegue che, in relazione alla valutazione del pericolo di reiterazione,
si rende ormai imprescindibile un giudizio prognostico basato su dati concreti

individuati dalla lett. c) dell’art. 274 hanno la specifica funzione di evitare che la
valutazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari possa essere
correlata, astrattamente, al solo titolo di reato contestato.
In tal senso va evidenziata, pertanto, la necessità che tale aspetto sia
specificamente valutato dal Giudice emittente la misura cautelare, avendo
riguardo alla sopravvivenza del pericolo di recidiva al momento della sua
adozione, in relazione al tempo trascorso dal fatto contestato ed alle peculiarità
della vicenda cautelare in esame (Sez. 5, n. 43083 del 24/09/2015, dep.
26/10/2015, Rv. 264902).
Il requisito della attualità, infatti, non può certo essere equiparato
all’imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato, ma sta invece
ad indicare la continuità del

periculum libertatis

nella sua dimensione

temporale, che va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è
manifestata la potenzialità criminale dell’indagato, ovvero della presenza di
elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di
concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a neutralizzare.
L’ordinanza impugnata, come già si è avuto modo di rilevare, ha
pienamente osservato i criteri direttivi ora indicati, perché in essa la valutazione
è stata eseguita richiamando la valorizzazione, già dal G.i.p. compiuta in
relazione al parametro dell’attualità, di un complesso di emergenze
coerentemente rappresentate, in particolare, dall’analisi del dato temporale
(così come specificamente delimitato ex art. 297 cod. proc. pen.) e delle
specifiche modalità di realizzazione delle condotte delittuose, oltre che dalla
disamina del peculiare contesto in cui le stesse sono maturate ed hanno
prodotto i loro effetti, alla luce delle attività d’indagine in corso.

1.3. Parimenti infondate devono ritenersi, infine, le doglianze attinenti al
prospettato difetto di autonomia della valutazione alla luce delle modifiche
normative di recente introdotte dalla su citata novella legislativa n. 47/2015.

12

necessariamente considerati nell’attualità, dal momento che i parametri

Al riguardo, invero, questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 44606 del
01/10/2015, dep. 04/11/2015, Rv. 265055) ha affermato che, in tema di
motivazione dell’ordinanza cautelare, le modifiche introdotte negli artt. 292 e
309 cod. proc. pen. dalla I. 16 aprile 2015, n. 47, non hanno carattere
innovativo del contenuto del provvedimento impositivo, essendo stata solo
esplicitata la necessità che quest’ultimo presenti comunque un chiaro contenuto

consegue che deve ritenersi nulla, ai sensi dell’art. 292 cod. proc. pen.,
l’ordinanza priva di motivazione o con motivazione meramente apparente e non
indicativa di uno specifico apprezzamento del materiale indiziario.
La nozione di autonomia della valutazione, d’altronde, come già
correttamente osservato dai Giudici di merito nell’ordinanza impugnata, non
può certo essere confusa con quella di originalità della esposizione, né, tanto
meno, essere sovrapposta ad un complesso di argomentazioni che si
distinguano in ragione della mera diversità di formule lessicali cui il Giudice del
provvedimento cautelare si senta costretto a ricorrere pur di esprimere i
medesimi concetti con l’utilizzo di un frasario solo formalmente diverso.
Così, non ogni rinvio per relationem o, ancora, per «incorporazione» – ai
quali è, pertanto, tutt’ora legittimo ricorrere – induce l’assenza dì autonoma
valutazione da parte del Giudice emittente, la cui mancanza, ai sensi dell’art.
309, comma nono, u.p., comporta irrimediabilmente l’annullamento da parte
del Tribunale dell’ordinanza che ne è affetta. E’ stato, infatti, osservato da
questa Suprema Corte che, in relazione alla effettiva portata della su
menzionata novella legislativa, non ogni punto rilevante per la decisione deve
essere nuovamente riscritto ed autonomamente valutato senza possibilità di
rinvio ad altri atti (Sez. 6, n. 40978 del 05/09/2015, De Luca, non mass.), e
che una motivazione che riporti il contenuto informativo esposto nella richiesta
del P.M. ben può soddisfare l’obbligo della motivazione per rendere edotto il
destinatario della ordinanza dei presupposti di fatto della misura applicata,
laddove – al contrario – il mero rinvio alle prospettazioni dell’accusa non è
sufficiente a dimostrare l’esercizio del potere-dovere di autonoma valutazione
del predetto contenuto informativo (v., in motivazione, Sez. 6, n. 45934 del
22/10/2015, dep. 19/11/2015, Rv. 265068).
Ne discende, pertanto, che la necessità del vaglio critico degli elementi
indiziari e delle esigenze di cautela non si traduce in un obbligo di riscrittura del
testo proveniente dal P.M., ciò che si risolverebbe in un “impegno letterario”

13

indicativo della concreta valutazione della vicenda da parte del giudicante; ne

che poco aggiungerebbe alla tutela della diritto di difesa, ma comporta invece
per il Giudice della cautela l’obbligo di dare dimostrazione di aver valutato
criticamente il contenuto degli atti dell’indagine e di averne recepito il tenore
perché funzionale alle proprie determinazioni (Sez. 6, n. 12032 del 04/03/2014,
dep. 13/03/2014, Rv. 259462).
Ora, dalla complessiva struttura del provvedimento genetico e dal tenore

dal Tribunale del riesame (che ha dettagliatamente indicato al riguardo le
pagine dell’ordinanza cautelare sottoposta alla sua cognizione), si evince con
chiarezza come il G.i.p. abbia autonomamente esercitato il proprio potere di
valutazione sull’oggetto della richiesta formulata dal P.M., dedicando

un

apposito capitolo alla disamina delle esigenze cautelari, ove non ha mancato di
affrontare le problematiche poste dall’applicazione della su citata novella
legislativa, esaminando partitamente le diverse posizioni di ciascuno degli
indagati, ivi incluse quelle degli indagati privi di precedenti penali (fra i quali,
evidentemente, dovevano intendersi ricomprese e valutate anche quelle del Di
Ninno e della Garrone).

2. I ricorsi proposti da Figurelli Franco e da Scozzafava Angelo sono
infondati e devono essere rigettati per le ragioni di seguito indicate.

2.1. Richiamate per entrambi le considerazioni già svolte nel paragrafo che
precede, deve rilevarsi come il Tribunale del riesame abbia puntualmente
esposto, con lineari argomentazioni, le ragioni giustificative della concretezza ed
attualità delle ravvisate esigenze cautelari, ponendo in evidenza:

a) per il

primo, il solido inserimento negli ambienti dell’amministrazione comunale e la
condotta disinvolta con la quale ha mostrato di mettere a disposizione la
rilevante funzione pubblica rivestita nell’ambito della segreteria del Presidente
del Consiglio comunale, agevolando le cooperative del Buzzi dietro il pagamento
di un mensile e garantendogli la trasmissione di informazioni e contatti ai fini
della sua illecita attività di acquisizione di pubblici appalti; b) per il secondo, il
richiamo alle numerose emergenze investigative dalle quali è stata
motivatamente desunta la sua totale disponibilità ad agevolare il sodalizio
mafioso, mettendo a disposizione “….in ogni momento, non solo la propria
funzione, ma addirittura la propria persona….” e rappresentando in tal modo,
anche per la specifica rilevanza degli incarichi ricoperti, un sicuro punto di

14

letterale delle argomentazioni ivi impiegate, come già puntualmente spiegato

riferimento per i membri dell’associazione, e per il Buzzi in particolare, al fine di
risolvere i problemi che ne ostacolavano l’illecito conseguimento delle gare
d’appalto; c) l’irrilevanza, per entrambi, del dato relativo al trasferimento ad
altro ufficio in ragione della permanenza dei contatti e delle relazioni con gli
ambienti dell’amministrazione nei quali si è rivestita, per un significativo arco
temporale, una funzione apicale o comunque di particolare importanza, sì da

analoghe a quelle oggetto del provvedimento impugnato, poiché strettamente
legate non solo al rilievo del dato formale rappresentato dalla tipologia della
carica ricoperta negli apparati amministrativi, ma alla specifica natura
dell’ambiente e del quadro relazionale che dello scorretto esercizio della
funzione pubblica hanno costituito, al tempo stesso, il presupposto logico ed il
necessario sostegno.
La peculiare connotazione delle modalità di commissione delle condotte
delittuose oggetto dei temi d’accusa, la permanenza dei contatti con gli
ambienti amministrativi nei quali esse sono maturate ed il fatto di aver messo a
disposizione dell’organizzazione criminale in esame addirittura la propria
persona costituiscono profili di particolare rilievo che, globalmente e
singolarmente considerati, non “neutralizzano” certo l’elevato pericolo di
reiterazione – peraltro da verificare ancora nella sua complessiva potenzialità
all’esito degli accertamenti tuttora in corso – ma danno senso alle connotazioni
di “attualità” e “concretezza” dell’esigenza cautelare, le quali non costituiscono,
a loro volta, mere astrazioni, ma devono essere opportunamente ricollegate,
come avvenuto nel caso in esame, alla posizione specificamente assunta
dall’indagato nel contesto criminale in cui sono maturate, e sono state poi
realizzate, le condotte oggetto di incolpazione.

2.2.

Manifestamente infondate, inoltre, devono ritenersi le ulteriori

doglianze prospettate dal Figurelli (v., in narrativa, i parr. 6.1. e 6.2.), ove si
consideri che quelle attinenti al capo sub 1) – già ritenute generiche e,
comunque, ampiamente disattese dal Tribunale del riesame – riguardano un
delitto per il quale non è stata emessa alcuna misura cautelare nei suoi
confronti, mentre quelle che investono il reato di cui al capo sub 2) sono
aspecificamente formulate per la totale mancanza di correlazione tra le ragioni
argornentative della decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, omettendo finanche di affrontare criticamente i diversi

15

integrare il concreto ed attuale rischio di reiterazione di condotte delittuose

passaggi che strutturano l’ampia esposizione del quadro indiziario contenuta
nella motivazione dell’ordinanza impugnata.
Al riguardo, infatti, i Giudici di merito hanno posto in rilievo il ruolo di
stretto collaboratore del Presidente del Consiglio Comunale, Mirko Coratti,
svolto dall’indagato quale componente la sua segreteria, e ne hanno quindi
specificamente valutato l’incidenza causale attraverso l’analisi del fattivo

svolgendo le funzioni di intermediario con il Buzzi attraverso un ruolo
particolarmente attivo nell’organizzazione dei relativi incontri e nella
indicazione, al Buzzi, delle utilità illecite pretese dal Coratti e, a quest’ultimo,
delle azioni che, a sua volta, egli doveva porre in essere per raggiungere gli
obiettivi perseguiti dal predetto imprenditore.

3. Parimenti infondate, sino a lambire il margine dell’inammissibilità,
devono ritenersi, inoltre, le doglianze prospettate nel ricorso di Stefano Bravo,
che deve pertanto essere rigettato per le ragioni qui di seguito indicate.

3.1. Richiamate anche per tale ricorrente le considerazioni già svolte,
supra, nel par. 1, deve rilevarsi come la gravità del panorama indiziario evocato
dal G.i.p. a sostegno della misura cautelare, e scrutinato in termini di
adeguatezza dal Tribunale del riesame, sia stata congruamente delineata nella
motivazione su cui si basa il provvedimento impugnato, che ha correttamente
proceduto ad una valutazione analitica e globale degli elementi indiziari emersi
a carico del ricorrente, dando conto, in maniera logica e adeguata, delle ragioni
che giustificano il relativo epilogo decisorio.
Entro tale prospettiva, ritiene il Collegio che l’ordinanza impugnata (v.
pagg. 72-76) ha correttamente applicato il quadro dei principii che regolano la
materia in esame, puntualmente replicando alle obiezioni difensive e
linearmente evidenziando – sulla base delle numerose emergenze investigative
ivi compiutamente rappresentate in relazione al reato di corruzione di cui al
capo sub 17), e in particolare degli esiti delle attività di intercettazione,
telefonica ed ambientale – non solo la piena conoscenza dei particolari
dell’attività corruttiva e delle connesse attività di turbativa delle gare poste in
essere dal coindagato Odevaine – per quel che attiene alla ricezione di denaro
ed alla promessa di cospicue elargizioni da parte dei dirigenti del gruppo “La
Cascina”, che venivano da lui favoriti con riferimento alle attività di accoglienza

16

contributo prestato alla realizzazione dell’attività corruttiva in contestazione,

per i richiedenti asilo e protezione internazionale nel centro di Mineo – ma
anche il contributo agevolativo efficacemente prestato ai fini della realizzazione
della condotta dell’Odevaine, che nel corso di un’apposita riunione ebbe a
presentarlo ai dirigenti di quel gruppo come persona da lui delegata per rendere
operativo l’accordo corruttivo con essi raggiunto.
In tal senso, inoltre, i Giudici di merito hanno esaminato, e motivatamente

di atti difensivi da parte del G.i.p., sia l’obiezione incentrata sulla pretesa
delimitazione del perimetro dei rapporti intercorsi con l’Odevaine al solo
conferimento di incarichi di natura professionale legati all’attività di
commercialista svolta dal Bravo, evidenziando finanche i consigli dall’indagato
offerti in relazione alle forme e modalità di impiego dei proventi dell’attività
corruttiva svolta dall’Odevaine.
Quanto alla doglianza inerente all’omessa valutazione delle risultanze di
atti investigativi da parte del G.i.p. (con riferimento ad un’informativa di P.G.
del 16 febbraio 2015), deve rilevarsi come gli stessi risultino espressamente
indicati e puntualmente valutati già nel corpo dell’ordinanza genetica (v. pagg.
226 ss.).
In materia di intercettazioni telefoniche è noto, d’altronde, l’insegnamento
di questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, dep. 20/11/2013,
Rv. 258164; Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, dep. 21/08/2013, Rv. 257784;
Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, Rv. 239724), secondo cui costituisce una
questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del Giudice di merito,
l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui
apprezzamento, dunque, non può essere sindacato in sede di legittimità se non
nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui
esse sono recepite: ,vizi, questi, sotto alcun profilo ravvisabili nel caso di specie,
avendo i Giudici di merito dato conto, attraverso congrue e specifiche
argomentazioni, delle ragioni poste a fondamento della valutazione del tenore e
del contenuto dei relativi dialoghi.
Occorre infine rammentare che, in ordine all’apporto fornito dal privato alla
realizzazione delle attività corruttive del pubblico ufficiale, soccorrono le normali
regole che disciplinano il concorso di persone nel reato ai sensi degli artt. 110
ss. cod. pen. (Sez. 6, n. 24535 del 10/04/2015, dep. 09/06/2015, Rv. 264124;
Sez. 6, n. 33435 del 04/05/2006, dep. 05/10/2006, Rv. 234361), dovendosi
pertanto ritenere che, anche sotto tale profilo, il Tribunale ha fatto buon

17

disatteso, sia le censure difensive prospettate in ordine alla omessa valutazione

governo dei principii stabiliti da questa Suprema Corte, secondo cui è
configurabile il concorso eventuale nel delitto di corruzione, quale reato a
concorso necessario ed a struttura bilaterale, sia nel caso in cui il contributo del
terzo si realizza nella forma della determinazione o del suggerimento fornito
all’uno o all’altro dei concorrenti necessari, sia nell’ipotesi in cui si risolve in
un’attività di intermediazione finalizzata a realizzare il collegamento tra gli
autori necessari, senza che il privato concorrente con il pubblico ufficiale

del contributo concorsuale da lui prestato.

3.2. Parimenti adeguata deve ritenersi, nella motivazione dell’impugnato
provvedimento, la giustificazione offerta riguardo ai profili di concretezza ed
attualità del pericolo di reiterazione delle gravi condotte oggetto di addebito
cautelare, che il Tribunale, ed ancor prima il G.i.p., hanno coerentemente
desunto, nonostante la rilevata cessazione dei rapporti professionali con
l’Odevaine, dalla capacità di mantenere i rapporti con i soggetti economici di
riferimento del gruppo di collaboratori di quest’ultimo (fra i quali i Giudici di
merito hanno ricompreso anche il Bravo), dalla già dimostrata capacità
professionale di provvedere al reinvestimento del denaro provento delle attività
corruttive e, soprattutto, dalla disponibilità a coadiuvare, come suo fidato
collaboratore, la gestione delle iniziative imprenditoriali coltivate all’estero
dall’Odevaine (v. pagg. 127-128 dell’ordinanza impugnata).

3.3. In definitiva, a fronte di un congruo ed esaustivo apprezzamento delle
emergenze investigative, linearmente esposto attraverso un insieme di
passaggi motivazionali chiari e privi di vizi logici, il ricorrente non ha individuato
aspetti o punti della decisione tali da inficiare la complessiva tenuta del discorso
argomentativo delineato dal Tribunale, ma ha sostanzialmente contrapposto
una lettura alternativa di talune componenti del quadro indiziario, facendo leva
su una diversa “lettura” di profili di merito già puntualmente vagliati in sede di
riesame cautelare, e la cui rivisitazione, evidentemente, non è sottoponibile al
giudizio di questa Suprema Corte.

4. Il ricorso di Giordano Tredicine è infondato e deve rigettarsi per le
ragioni di seguito indicate.

18

corrotto debba necessariamente percepire un vantaggio patrimoniale per effetto

4.1. Manifestamente infondata deve ritenersi la prima doglianza, avendo il
provvedimento impugnato dato conto della presentazione di una memoria
difensiva, i cui argomenti e rilievi critici hanno costituito oggetto di congruo
vaglio delibativo in alcuni passaggi motivazionali, ove il Tribunale ha
espressamente indicato le ragioni per cui ha ritenuto di doverne disattendere le
connesse implicazioni.

Suprema Corte, secondo cui è inammissibile per genericità il motivo che si limiti
ad enunciare ragioni ed argomenti già illustrati in atti o memorie presentate al
Giudice a quo, in modo disancorato dalla motivazione del provvedimento
impugnato (Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, dep. 28/05/2009, Rv. 244181),
ossia senza porne specificamente in relazione gli aspetti critici e i passaggi
contestati con le contrarie deduzioni difensive di volta in volta formulate
nell’atto richiamato.

4.2. Infondate devono ritenersi le censure oggetto del secondo e del terzo
motivo di ricorso, oltre che del motivo aggiunto depositato in data 11 novembre
2015, poichè i Giudici di merito hanno puntualmente descritto un quadro
indiziario fondato sull’esistenza di un rapporto corruttivo permanente tra Buzzi
ed il Tredicine, coerentemente desumendo – dal contenuto di numerose
conversazioni oggetto di intercettazione, intercorse fra il primo ed i suoi più
stretti collaboratori (Gammuto e Caldarelli), oltre che con lo stesso Carminati i dati ritenuti sintomatici, allo stato, di una situazione di asservimento delle
funzioni di consigliere comunale svolte dal Tredicine agli scopi delle cooperative
del Buzzi, con riferimento ad una disponibilità estesa a tutte le aree di rilevanza
dell’amministrazione comunale che risultassero di suo diretto interesse.
In tal senso, inoltre, essi hanno individuato i relativi riscontri
(partecipazione alla gara AMA 27, interventi sulla delibera comunale relativa ai
debiti cd. “fuori bilancio” e sul Presidente dell’Ente EUR) ed hanno richiamato, in
particolare, l’inequivoco tenore letterale delle espressioni utilizzate dal Buzzi nei
dialoghi oggetto di intercettazione, ove si fa più volte riferimento, all’interno di
un arco temporale che si distende fra il maggio 2013 ed il marzo 2014, ad un
accordo corruttivo icasticamente evidenziato con il ricorso alla metafora del
“tassametro”, in cui il Tredicine, proprio in ragione delle rilevanti funzioni da lui
rivestite (di consigliere, ma anche di presidente e vice-presidente di
commissioni comunali, oltre che di esponente di rilievo di un partito politico),

19

Deve sul punto richiamarsi, dunque, il principio stabilito da questa

figura come persona al servizio dell’organizzazione criminale, sulla base di una
stabile alleanza, che stringe le parti in un rapporto del tutto indipendente
dall’appartenenza alle maggioranze consiliari del momento, ovvero dalla
connotazione politica della compagine di riferimento, poiché continuativamente
strutturata sia in relazione alle attività della vecchia che della nuova
consiliatura, sia all’interno del Consiglio comunale che al di fuori di esso.
Ne discende che i Giudici di merito hanno fatto buon governo delle regole

questa Suprema Corte (cfr. Sez. 6, n. 49226 del 25/09/2014, dep. 26/11/2014,
Rv. 261355), là dove ha affermato che l’art. 318 cod. pen. (nel testo introdotto
dalla legge 6 novembre 2012, n. 190) ha natura di reato eventualmente
permanente quando le dazíoni indebite oggetto della remunerazione corruttiva
trovano una loro ragione giustificatrice nel fattore unificante dell’asservimento
della funzione pubblica.
Non possono accogliersi, dunque, i rilievi difensivi circa l’omessa
considerazione della prospettata impossibilità di applicare misure diverse da
quelle previste dall’art. 289, comma 2, cod. proc. pen. (v., in narrativa, il par.
3.3.), avendo il Tribunale del riesame espressamente posto in risalto il dato
indiziarlo, allo stato dirimente, della continuità temporale della percezione di
indebite utilità collegate direttamente all’esercizio della pubblica funzione svolta
dal ricorrente.
Al riguardo, inoltre, questa Corte ha non solo precisato che i fatti di
corruzione impropria per atto conforme ai doveri d’ufficio continuano ad essere
penalmente rilevanti ai sensi dell’art. 318 cod. pen., così come novellato dalla
legge n. 190/2012, che nella sua ampia previsione li ricomprende integralmente
(Sez. 6, n. 19189 dell’11/01/2013, Abruzzese, Rv. 255073), ma ha altresì
osservato che con tale disposizione normativa si è addirittura allargata l’area di
punibilità ad ogni fattispecie di monetizzazione del munus publicum, pur se
sganciata da una logica di “formale sinallagmaticità”. La previsione del nuovo
art. 318, infatti, nel sanzionare espressamente la corruzione per la funzione,
rompe con l’impostazione propria del dispositivo normativo ancorato al rapporto
sinallagmatico tra atto dell’ufficio (contrario o dovuto) ed accettazione di
promessa e/o percezione di utilità da parte del pubblico agente.
L’art. 318 cod. pen., peraltro, non ha coperto integralmente l’area della
vendita della funzione, ma soltanto quelle situazioni in cui non sia noto il
finalismo del suo mercimonio o in cui l’oggetto di questo sia sicuramente

20

che disciplinano la materia in esame, uniformandosi a quanto stabilito da

rappresentato da un atto dell’ufficio, come dai Giudici di merito ipotizzato nel
caso in esame. Residua tuttora, infatti, un’area di applicabilità dell’art. 319 cod.
pen., quando la vendita della funzione sia connotata da uno o più atti contrari ai
doveri d’ufficio, accompagnati da indebite dazioni di denaro o prestazioni
d’utilità, sia antecedenti che susseguenti rispetto all’atto tipico, il quale finisce
semplicemente per evidenziare il punto più alto di contrarietà ai doveri di

47271 del 25/09/2014, dep. 17/11/2014).

4.3. Parimenti infondate, infine, devono ritenersi le doglianze racchiuse nel
quarto motivo di ricorso, avendo i Giudici di merito motivatamente desunto la
sussistenza dei requisiti di concretezza ed attualità del pericolo di reiterazione di
reati della stessa specie di quelli per cui si sta procedendo dall’ipotizzato
carattere continuativo del mercimonio delle pubbliche funzioni dal ricorrente
rivestite, protrattosi fino ad epoca prossima all’emissione della prima ordinanza
cautelare del 2 dicembre 2014, ponendone altresì in rilievo la propensione a
farsi pagare per ogni “servizio” reso in favore del sodalizio mafioso facente capo
al Buzzi ed al Carminati.
Essi hanno espressamente valutato, poi, nella parte generale delle
considerazioni dedicate al profilo delle esigenze cautelari (pagg. 111 ss.), il
rilievo potenzialmente attribuibile al dato formale dell’incensuratezza di alcuni
indagati – fra i quali, dunque, anche il Tredicine – ma ne hanno congruamente
apprezzato, con osservazioni in questa Sede non censurabili, il carattere
recessivo a fronte della rilevata gravità del modus operandi nella realizzazione
delle attività corruttive, come tale ritenuto indicativo di un elevato pericolo di
recidiva connesso all’esercizio delle pubbliche funzioni. La mancanza di
precedenti penali costituisce, d’altronde, come esattamente osservato dai
Giudici di merito, la logica precondizione per l’assunzione di una carica pubblica,
sia essa elettiva o meno, ma non può essere di per sé invocata come dato
idoneo a sminuire la gravità della vicenda sul piano cautelare.
Né possono accogliersi, in questa Sede, i rilievi difensivi oralmente espressi
in ordine al preteso affievolimento del requisito della permanenza dell’attualità
delle esigenze cautelari in ragione delle note vicissitudini legate all’intervenuto
scioglimento del Consiglio comunale di Roma, trattandosi di evenienze
naturalmente destinate a concludersi con l’indizione di nuove consultazioni
elettorali in vista delle quali l’indagato potrebbe sfruttare le favorevoli occasioni

21

correttezza che si impongono al pubblico agente (cfr., in motivazione, Sez. 6, n.

derivanti dalla sua piena libertà di movimento per orientare e far confluire in
suo favore le indicazioni del voto popolare al fine di riassumere quello stesso
munus publicum

il cui scorretto esercizio è stato dai Giudici di merito

negativamente apprezzato a fini cautelari.

5. In definitiva, deve rilevarsi come, a fronte di un congruo ed esaustivo

ricorrenti non abbiano individuato passaggi o punti della decisione tali da porne
in crisi la solidità delle argomentazioni, dovendosi al riguardo ribadire che
l’ordinamento non conferisce a questa Suprema Corte alcun potere di revisione
del contenuto degli atti investigativi ovvero degli elementi fattuali delle vicende
oggetto d’indagine, nè la investe di alcun potere di riconsiderazione delle
caratteristiche soggettive degli indagati, ivi compreso l’apprezzamento delle
esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di accertamenti
rientranti nel compito esclusivo ed insindacabile del Giudice cui è stata richiesta
l’applicazione delle misura cautelare e del Tribunale chiamato a pronunciarsi
sulle connesse questioni de libertate.
Il controllo di legittimità, infatti, è circoscritto esclusivamente alla verifica
dell’atto impugnato, al fine di stabilire se il testo di esso sia rispondente a due
requisiti, uno di carattere positivo e l’altro di carattere negativo, la cui
contestuale presenza, come avvenuto nel caso in esame, rende l’atto per ciò
stesso insindacabile: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative
che lo hanno determinato; 2) l’assenza nel testo di illogicità evidenti, ossia la
congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del
provvedimento (da ultimo, v. Sez. F., n. 47748 del 11/08/2014, dep.
19/11/2014, Rv. 261400; Sez. 3, n. 40873 del 21/10/2010, dep. 18/11/2010,
Rv. 248698).

6. Al rigetto dei ricorsi proposti da Buzzi Salvatore, Di Ninno Paolo, Garrone
Alessandra, Bugitti Emanuela, Figurelli Franco, Scozzafava Angelo, Bravo
Stefano e Giordano Tredicine consegue,

ex art. 616 cod. proc. pen., la

condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
La Cancelleria curerà l’espletamento degli adempimenti di cui all’art. 94,
comma 1-ter, disp. att., c.p.p. .

«A),
22

apprezzamento delle risultanze offerte dal quadro indiziario, i su indicati

7. Il ricorso di Antonio Esposito è parzialmente fondato e deve pertanto
essere accolto nei limiti e per gli effetti di seguito precisati.

7.1. Infondate, sino a lambire il margine dell’inammissibilità, devono
anzitutto ritenersi la seconda e la terza doglianza difensiva (v., in narrativa, i
parr. 5.2. e 5.3.), atteso che la ricostruzione del quadro indiziario operata dai

22) è sorretta da un ragionamento compiutamente illustrato con dovizia di
particolari ed immune da vizi logici ictu °cui/ riconoscibili, sicché le critiche
formulate dall’interessato sono inammissibili nella parte in cui si sostanziano in
una richiesta di diversa valutazione dello stesso materiale indiziario, in senso
evidentemente favorevole al ricorrente.
Tanto non è consentito in questa Sede, essendo il sindacato di legittimità
finalizzato, come è noto, al controllo della correttezza, logicità e completezza
della motivazione.
Al riguardo, invero, non può non rilevarsi come l’ordinanza impugnata
abbia preso in esame le deduzioni difensive e le abbia congruamente disattese
alla luce delle emergenze investigative rappresentate dal contenuto univoco di
numerose conversazioni oggetto di intercettazione, ritenute sintomatiche, allo
stato, di uno stretto collegamento operativo con il Carminati, realizzatosi
attraverso il ruolo di prestanome dal ricorrente assunto in una società
cooperativa ONLUS a responsabilità limitata (CO.S.MA.), direttamente
riconducibile allo stesso Carminati, ma non operativa e sfornita di consistenza
aziendale, in quanto utilizzata esclusivamente per realizzare una fittizia
attribuzione delle relative quote societarie a persone di fiducia (tra le quali
figurava lo stesso ricorrente), in modo da eludere le disposizioni di legge in
materia di misure di prevenzione patrimoniale e recuperare gli utili illecitamente
percepiti nel sodalizio grazie agli investimenti operati mediante la
partecipazione alle attività svolte dalle cooperative sociali del Buzzi.
In tal senso, infatti, i Giudici di merito hanno segnatamente evidenziato: a)
che i sodali Buzzi e Di Ninno si ponevano in relazione direttamente con il solo
Carminati al fine di concordare le strategie di utilizzo della cooperativa nel
quadro degli interessi propri dell’organizzazione criminale e veicolare il rientro
dei crediti attraverso il predetto schermo societario; b) che l’Esposito non aveva
alcuna voce in capitolo e si limitava a sottoscrivere gli atti (ad es., i verbali di
assemblea) preparati dal Di Ninno;

23

c)

che, sulla base delle numerose

Giudici di merito in relazione alle vicende delittuose oggetto dei capi sub 21) e

emergenze indiziarie puntualmente descritte nell’ordinanza impugnata (in
particolare, le risultanze offerte dalle attività d’intercettazione, dagli
accertamenti compiuti presso l’INPS e da altre fonti di prova orale e
documentale), il ricorrente risulta aver contribuito, nella sua formale qualità di
amministratore unico della su indicata società, ad emettere verso la società
cooperativa “29 giugno” – a sua volta riconducibile al Buzzi – undici fatture per

ottobre 2014, per un importo complessivo pari ad oltre centocinquantamila
euro; d) che l’espletamento delle attività lavorative inerenti ai servizi cui si
riferivano le su indicate fatture non era infatti riferibile alla società CO.S.MA.,
che al riguardo non aveva svolto alcuna prestazione, bensì ad una cooperativa
del Buzzi; e) che i soci della CO.S.MA. gravitavano tutti nell’ambito operativo
delle cooperative sociali del Buzzi ovvero, come nel caso del primo
amministratore e socio, erano a quest’ultimo legati da vincoli di parentela; f)
che l’intestazione delle quote societarie è avvenuta fittiziamente da parte dello
stesso Carminati, come ammesso da quest’ultimo e affermato dal Buzzi nelle
conversazioni (del 17 settembre 2014 e del 4 dicembre 2012) al riguardo citate
nella motivazione dell’ordinanza impugnata; g) che il Carminati, cui il ricorrente
era legato da un rapporto di fiducia volto a garantire la fittizietà
dell’attribuzione, era consapevole di essere sottoposto ad indagini da parte degli
organi inquirenti, manifestando, in alcune conversazioni oggetto di
intercettazione, il timore di essere colpito da misure di prevenzione
patrimoniale e, al contempo, la volontà di occultare le proprie rilevanti risorse
finanziarie attraverso la fittizia intestazione di beni di cui, di fatto, conservava la
proprietà.

7.2. Corretta, dunque, deve ritenersi l’impostazione seguita dai Giudici di
merito, ove si consideri che, secondo una costante linea interpretativa tracciata
da questa Suprema Corte (Sez. 1, n. 30165 del 26/04/2007, dep. 24/07/2007,
Rv. 237595), il delitto di trasferimento fraudolento di valori è una fattispecie a
forma libera che si concretizza nell’attribuzione fittizia della titolarità o della
disponibilità di denaro o altra utilità realizzata in qualsiasi forma. Il fatto-reato,
quindi, consiste nella dolosa determinazione di una situazione di apparenza
giuridica e formale della titolarità o disponibilità del bene, difforme dalla realtà,
al fine di eludere l’applicazione di misure di prevenzione patrimoniale, ovvero al

24

operazioni inesistenti nel periodo ricompreso tra il 10 giugno 2013 ed il 25

v

fine di agevolare la commissione di reati relativi alla circolazione di mezzi
economici di illecita provenienza.
L’espressione utilizzata dal legislatore, “attribuzione fittizia della titolarità o
della disponibilità dì denaro, beni o altre utilità”, non intende formalizzare i
meccanismi – che possono essere molteplici e non classificabili in astratto attraverso i quali può realizzarsi l'”attribuzione fittizia”, nè intende ricondurre la

civilistico, ma ha una valenza ampia che rinvia non soltanto alle forme negoziali
tradizionalmente intese, ma a qualsiasi tipologia di atto idonea a creare un
apparente rapporto di signoria tra un determinato soggetto e il bene, rispetto al
quale permane intatto il potere di colui che effettua l’attribuzione, per conto – o
nell’interesse – del quale l’attribuzione è operata (Sez. 2, n. 52616 del
30/09/2014, dep. 18/12/2014, Rv. 261613).
E’ dunque sufficiente, per la configurabilità di tale ipotesi delittuosa,
qualunque azione che si traduca in una scissione fra titolarità o disponibilità
effettiva di denaro o altre utilità, e titolarità o disponibilità formale delle stesse,
fittiziamente attribuita ad un soggetto o a soggetti diversi da quello o da quelli
cui quel denaro o quelle utilità fanno sostanzialmente capo (ex multis, v. Sez.
6, n. 15140 del 12/04/2012, dep. 19/04/2012, Rv. 252610; Sez. 2, n. 40 del
24/11/2011, Rv. 251748; Sez. 1, n. 23266 del 28/05/2010, Rv. 247581; Sez.
5, n. 30605 del 22/05/2009, Rv. 244482).
Integra, in definitiva, il reato di cui all’art. 12-quinquies del d.l. n. 306 del
1992 (conv. in I. n. 356/1992) la fittizia intestazione di quote di una società, al
solo fine di eludere possibili provvedimenti di prevenzione di tipo ablativo, in
favore di soggetto che rimanga di fatto estraneo alla società medesima e che
risulti privo sia di capitali costitutivi sia di capacità organizzativa e gestionale
(Sez. 2, n. 2244 del 11/12/2013, dep. 20/01/2014, Rv. 259423).
Ne consegue, secondo quanto affermato da questa Suprema Corte, che
l’attività del concorrente si può estrinsecare: a) sia in capo al soggetto che
risulti formalmente intestatario della quota, che nella realtà appartiene al socio
occulto; b) sia in capo al soggetto che, essendo socio effettivo e non mero
prestanome, accetta consapevolmente che nella sua società entri un soggetto
come socio occulto attraverso la presenza di un prestanome.
Sotto il profilo soggettivo, inoltre, solo la totale inconsapevolezza del fine
illecito in base al quale la persona sottoposta, o sottoponibile, a misure di

25

definizione di “titolarità” o “disponibilità” entro schemi tipizzati di carattere

prevenzione patrimoniale agisce, può assumere rilievo in ordine all’esclusione
della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
Profilo, questo, sul quale i Giudici di merito si sono adeguatamente
soffermati, là dove hanno valorizzato, senza che il ricorrente vi abbia opposto
specifici argomenti di segno contrario, i seguenti elementi indiziari:

a)

l’esistenza di contatti intercorsi con il Carnninati sin dagli inizi del 2012
(circostanza di cui il Buzzi e gli altri sodali erano peraltro a conoscenza) ed il

in esame; b) i dati congruamente ritenuti sintomatici della consapevolezza del
ruolo da lui assunto all’interno dell’associazione criminale (v. pagg. 86-87); c) il
fatto che, oltre a rivestire la carica di amministratore unico e socio della
predetta società – utilizzata dal sodalizio criminale sia per tutelare i propri
interessi che per consentire il rientro dei proventi illeciti in favore del Carminati
– il ricorrente risulta aver svolto, d’intesa con quest’ultimo e negli interessi dello
stesso sodalizio, una funzione di stabile intermediario nel corso di trattative
legate al reperimento di immobili da utilizzare nel piano di emergenza abitativa
di Roma e per la partecipazione a bandi di gara emessi dalla Prefettura di Roma
per l’alloggiamento degli immigrati nella provincia.

7.3. Muovendo, ora, dalle implicazioni logicamente sottese al complesso di
siffatti rilievi argomentativi, deve ritenersi che, anche con riferimento alla prima
doglianza difensiva, inerente alla configurabilità della contestata aggravante di
cui all’art. 7 del d.l. n. 152 del 1991, conv. nella legge n. 203 del 1991, le
ragioni giustificative illustrate nel provvedimento impugnato appaiono del tutto
immuni da vizi in questa Sede rilevabili.
Sul punto, premesso che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo
chiarito che la predetta circostanza aggravante può trovare applicazione anche
in relazione al delitto di trasferimento fraudolento di valori, quando si tratti di
condotte funzionali a favorire l’operatività di un sodalizio di stampo mafioso in
quanto strumentali a sottrarre i beni e le attività illecitamente accumulate
dall’associazione all’adozione di misure ablative (cfr. Sez. 1, n. 21256 del
05/04/2011, dep. 26/05/2011, Rv. 250240; Sez. 6, n. 9185 del 25/01/2012,
dep. 08/03/2012, Rv. 252282), deve rilevarsi come i passaggi argomentativi
delineati dai Giudici di merito risultino immuni da qualsiasi vizio logico
evidenziabile dal testo del provvedimento, mentre il tentativo di accreditare una
diversa ricostruzione del fatto si risolve nella prospettazione di una lettura

26

fatto di averlo più volte incontrato presso le basi logistiche dell’organizzazione

alternativa del materiale indiziario rispetto a quella fatta motivatamente propria
dal Giudice di merito, sollecitando in tal modo la Corte di legittimità ad una non
consentita rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione cautelare, ovvero all’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri
di ricostruzione e valutazione dei medesimi, ciò che le è invece precluso ai sensi
dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen..

su indicata circostanza aggravante, avendone i Giudici di merito coerentemente
valutato ed illustrato i presupposti sulla base di idonei dati indiziari (assunzione
di una carica amministrativa solo formale all’interno di una società direttamente
riconducibile al Carminati e gestita esclusivamente negli interessi del sodalizio
di tipo mafioso; ulteriori attività svolte quale intermediario nel corso delle su
indicate trattative, d’intesa con il Carminati e negli interessi del sodalizio;
conoscenza dei rapporti esistenti tra il Buzzi ed il Carminati, oltre che del ruolo
da quest’ultimo svolto all’interno delle cooperative riconducibili al primo, ecc.),
che hanno posto in risalto un comportamento assistito da una cosciente ed
univoca finalizzazione agevolatrice del sodalizio di stampo mafioso (v. Sez. 6, n.
31437 del 12/07/2012, dep. 01/08/2012, Rv. 253218), in quanto volta ad
implementarne la forza e ad accrescerne la capacità espansiva sul territorio
attraverso l’utilizzo di appositi schermi societari.

7.4. Fondato, di contro, deve ritenersi il quarto motivo di ricorso (v.,
supra, il par. 5.4.), apparendo le ragioni giustificative del pericolo di recidiva del
tutto disancorate dalla valutazione di elementi specificamente indicativi del
requisito di attualità che deve sorreggere l’applicazione della misura cautelare:
dalla motivazione, invero, si traggono argomenti incentrati sui soli profili di
concretezza del pericolo, con formule genericamente riferite ad una, allo stato
solo ipotetica, reiterazione di condotte criminose in ragione dell’insufficiente
collegamento con la prossimità di occasioni favorevoli teoricamente derivanti
dall’esercizio della libera attività professionale di avvocato.
In

relazione

ai

profili

ora

indicati,

conclusivamente,

s’impone

l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, per un nuovo esame che,
nella piena libertà del relativo apprezzamento di merito, dovrà colmare le su
indicate lacune della motivazione, uniformandosi al quadro dei principii di diritto
in questa Sede statuiti (v., supra, il par. 1.2.).

27

Correttamente riconosciuta, pertanto, deve ritenersi la configurabilità della

X

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata nei confronti di Esposito Antonio
limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo esame sul punto al
Tribunale di Roma. Rigetta nel resto il ricorso dell’Esposito.

spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter,
disp. att., c.p.p.

Così deciso in Roma, lì, 27 novembre 2015

Il Presidente

Rigetta gli altri ricorsi e condanna i relativi ricorrenti al pagamento delle

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