Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30422 del 08/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30422 Anno 2016
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: IMPERIALI LUCIANO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
RADOSTA GIUSEPPE, nato a Roma il 07/05/1960;
GALIANO MAURIZIO, nato a Battipaglia il 25/05/1973;
DE NIGRIS VITO, nato ad Eboli il 01/04/1965;

avverso la sentenza n. 870/2014 della CORTE d’APPELLO di SALERNO,
del 10/03/2015;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/04/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCIANO IMPERIALI;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. MARIO M. STEFANO PINELLI,
che ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto dei ricorsi;
udito il patrono della parte civile, avv. MASSIMO PATACCHI, che ha concluso
per l’inammissibilità dei ricorsi;
udito il difensore del Radosta, avv. LOREDANA DE SIMONE, che si è riportato al ricorso
i

Data Udienza: 08/04/2016

RITENUTO IN FATTO
1.

Con sentenza del 10/4/2014 il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale

Salerno, all’esito di giudizio abbreviato, dichiarava Radosta Giuseppe, Galiano Maurizio, De
Nigris Vito e Barrella Carmine colpevoli dei reati in quella sede loro ascritti (associazione per
delinquere, possesso e fabbricazione di documenti di identità falsi e contraffazione di
certificazione, truffe e sostituzioni di persona, riciclaggio ed altro), ad eccezione solo di
un’ipotesi di simulazione di reato contestata al De Nigris, per la quale questo veniva assolto

assorbita dall’analogo reato di cui al capo V) e qualificando per tutti le condotte di falsificazione
di tessere sanitarie quale ipotesi di reato di cui agli artt. 477-482 cod. pen., uniti i reati dalla
continuazione e concesse ai soli Barrella e Galiano le attenuanti generiche, condannava gli
imputati alle pene ritenute di giustizia.
2.

Decidendo sui ricorsi proposti dal Radosta, dal Galiano, dal De Nigris e dal Barrella,

con sentenza del 10/3/2015 la Corte di Appello di Salerno riformava solo parzialmente la
sentenza appellata, dichiarava non doversi procedere nei confronti del Radosta e del De Nigris
in ordine ad uno dei delitti di cui all’art. 640 cod. pen. loro ascritti (capo P dell’imputazione)
perché l’azione penale non poteva essere iniziata per difetto di querela, assolveva il Galiano dal
reato di riciclaggio ascrittogli (capo FF) dell’imputazione perché il fatto non sussiste e
rideterminava le pene inflitte ai ricorrenti.
3. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il Radosta, il Galiano ed il
De Nigris, a mezzo dei rispettivi difensori, chiedendone l’annullamento e sollevando a tal fine i
seguenti motivi di impugnazione:
– Il Radosta ha dedotto, ex art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen.:
3.1. la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, per essersi la
Corte di Appello limitata a richiamare per relationem la motivazione del giudice di prime cure,
senza adeguato riscontro alle doglianze contenute nell’atto di appello, così violando anche le
disposizioni dell’art. 125 comma 3 cod. proc. pen. e 111 comma 6 della Costituzione.
3.2. la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e la violazione
dell’art. 416 cod. proc. pen. per essere stato ritenuto il Radosta responsabile del reato
associativo, pur assumendosi che lo stesso avrebbe offerto un contributo a tal fine
insufficiente, non essendo stata provata la sua conoscenza dell’esistenza dell’associazione
criminosa e difettando quindi l’elemento soggettivo del reato in questione;
3.3. la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e la violazione
degli artt. 81 cpv., 497 bis, 469 e 61 n. 1 cod. pen., difettando la prova che il Radosta sia
stato in possesso di documenti contraffatti o abbia egli stesso fabbricato e posseduto
documenti falsi, non essendosi considerato che nessun documento contraffatto né materiali per
la contraffazione sono stati rinvenuti in suo possesso, sicché il riconoscimento di una sua

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perché il fatto non sussiste e, ritenendo la truffa e sostituzione di persona di cui al capo Z)

fotografia da parte di un operatore di banca o di un addetto presso il Comune o una società
non proverebbero che sia stato lo stesso a possedere il documento o a fabbricarlo;
3.4. la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e la violazione
degli artt. 81 cpv., 110, 640, 494 cod. pen , difettando sia condizione di procedibilità della
querela della persona offesa per il reato di truffa, sia la prova che sia stato proprio il Radosta a
presentare in banca e presso gli uffici finanziari il documento con la sua fotografia per i
finanziamenti;
3.5. la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e la violazione

riciclaggio né di autoriciclaggio, con riferimento a condotte di reimpiego o riciclaggio poste in
essere quale autore del reato presupposto prima dell’entrata in vigore della L. 186/2014;
3.6. la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e la violazione
o erronea applicazione della legge penale con riferimento alla mancata concessione delle
attenuanti generiche.
-Il De Nigris ha dedotto, ex art. 606 lett. b), c) ed e) cod. proc. pen.:
3.7. la violazione di legge con riferimento agli artt. 497 bis comma 2 cod. pen., 517 e 522
cod. proc. pen., perché il capo D) dell’imputazione non contestava l’asserita aggravante di cui
al comma 2 dell’art. 497 bis cod. pen. con conseguente nullità della condanna per tale ipotesi,
in relazione alla quale viene dedotto anche un vizio di motivazione, non potendosi ritenere che
il De Nigris abbia concorso alla falsificazione dei documenti per il sol fatto dell’apposizione della
sua fototessera;
3.8. la violazione di legge ed il vizio di motivazione con riferimento all’art. 416 cod. pen.,
risultando meramente ipotizzati diversi elementi dai quali viene desunta l’esistenza del
sodalizio criminoso, atteso che nessuno strumento atto alla preparazione di documenti falsi è
stato rinvenuto, né risultano contatti telefonici significativi del De Nigris.
3.9. l’inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 81 cpv. e 597 comma 4 cod. proc.
pen. con riferimento alla riduzione di pena operata dalla Corte di Appello a seguito del
proscioglimento del De Nigris dal reato di truffa di cui al capo P) per mancanza di querela:
assume il ricorrente che, avendo il giudice di prime cure determinato una pena base di anni
due di reclusione per il più grave reato di cui all’art. 497 bis cod. pen., aumentata per la
recidiva ad anni due e mesi uno, con ulteriore aumento di un anno e due mesi di reclusione
per la continuazione con sette reati concorrenti, per ciascuno di questi doveva considerarsi una
pena di mesi due di reclusione, ridotta per il rito a mesi uno e giorni dieci, sicché deve ritenersi
incomprensibile la riduzione operata di soli cinque giorni di reclusione.
– Il Galiano ha dedotto, ex art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen.,:
3.10. l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in ordine all’affermazione
della penale responsabilità del ricorrente per il reato di truffa, risultando proposta la querela da
soggetto non legittimato, ed altresì la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione
in relazione a tale punto,
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dell’art. 648 bis cod. pen. dovendosi ritenere che il Radosta, non possa rispondere del reato di

3.11. l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in ordine all’affermazione
della penale responsabilità del ricorrente per il reato di cui all’art. 416 cod. pen., e la
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione a tale punto, risultando il
Galiano coinvolto solo in due episodi di truffa, circostanza che, lungi dall’evidenziare stabilità di
rapporti, rivelerebbero, al più, un concorso del Galiano nei due eventi criminosi.

CONSIDERATO IN DIRITTO
4. I ricorsi non possono trovare accoglimento, in quanto la maggior parte dei motivi di

cod. proc. pen., e gli altri sono infondati.
4.1. Il primo motivo di impugnazione proposto dal Radosta, in particolare, è inammissibile,
in primo luogo perché è ormai pacifico e consolidato l’insegnamento di questa Corte di
Cassazione, secondo cui nel giudizio di appello è consentita la motivazione “per relationem”,
con riferimento alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui le censure formulate a carico
della sentenza del primo giudice non contengano elementi di novità rispetto a quelli già
esaminati e disattesi dallo stesso (sez. 4, n. 38824 del 17/09/2008, Rv. 241062; sez. 6, n.
17912 del 7/03/2013, Rv. 255392). Soprattutto, la sentenza impugnata, dopo aver
menzionato i motivi di ricorso proposti in quella sede dai diversi ricorrenti, ha rilevato che le
ragioni genericamente addotte a sostegno del gravame erano state già esaminate e disattese
dalla sentenza appellata, che pertanto veniva legittimamente richiamata “per relationem”, ha
comunque specificamente confutato i diversi motivi di appello, sicché deve ritenersi
inammissibile per la sua genericità il motivo del ricorso per cassazione con il quale il Radosta,
pur lamentando non essere state esaminate doglianze contenute nell’atto di appello, non
specifica quali di tali doglianze, in particolare, non abbiano ricevuto risposta.
4.2. Inammissibili sono anche i motivi con i quali tutti i ricorrenti si dolgono del
riconoscimento della loro penale responsabilità in ordine al reato associativo (v. supra sub 3.2,
3.8, 3.11), trattandosi di censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente
giustificata, sicché nella motivazione della sentenza non si ravvisa alcuna manifesta illogicità
che la renda sindacabile in questa sede.
Secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, infatti, esula dai poteri della
Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa
integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più
adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un. n. 6402 del 30/4/1997,
riv. 207944; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, Rv. 229369).
Nel momento del controllo di legittimità, pertanto, la Corte di cassazione non deve
stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione
dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa
giustificazione sia compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di
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impugnazione si discostano dai parametri dell’impugnazione di legittimità stabiliti dall’art. 606

apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente. (Sez. 5, n. 1004 del
30/11/1999, rv 215745 ; Sez. 2 n. 2436 del 21/12/1993, rv 196955).
I motivi proposti, invece, lamentando il difetto di prova della conoscenza dell’esistenza
dell’associazione criminosa e l’insufficienza dei contributi offerti al sodalizio criminoso dal
Radosta, o l’insufficienza dei reati per i quali è stata emessa condanna, quanto al Galiano, o il
mancato rinvenimento di strumenti atti alla falsificazione di documenti, quanto al De Nigris,
tendono ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione
diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e

efficacia del sistema ripetutamente posto in essere dai ricorrenti per il conseguimento di illeciti
profitti, con meccanismi truffaldini e collaudati nei quali gli stessi risultano essersi avvicendati,
con ruoli intercambiabili ma coordinati tra loro, con la partecipazione talvolta congiunta alle
truffe, con l’utilizzo degli stessi apparecchi telefonici e con significativi contatti, emersi dai
tabulati telefonici, tra le varie utenze indicate dai ricorrenti per essere contattati dalle banche o
dalle finanziarie: questi i principali elementi criticamente valutati dai giudici di merito per
esporre senza illogicità evidenti le ragioni del riconoscimento dell’esistenza del sodalizio
criminoso e della partecipazione ad esso dei ricorrenti.
4.3. La sentenza impugnata ha, poi, ricordato che la corrispondenza delle effige apposte
sui documenti di identità falsi esibiti all’ufficio anagrafe dei comuni di Eboli e Battipaglia e le
foto dei diversi ricorrenti apposte sui cartellini conservati presso tali uffici consentono di
superare i dubbi genericamente espressi dai ricorrenti in ordine al possesso dei documenti falsi
loro attribuiti, in quanto nelle circostanze oggetto delle imputazioni l’operatore della banca,
dell’ufficio postale o della finanziaria in ragione della normativa antiriciclaggio erano tenuti a
verificare i dati personali del richiedente da un documento di identità esibito ed in corso di
validità, sicché deve ritenersi priva di vizi logici l’argomentazione secondo cui i documenti falsi
esibiti dalle persone raffigurate nelle effige ivi apposte rivelavano il concorso delle stesse
persone nella falsificazione, non potendo essere procurate da altri che dagli interessati le foto
tessere apposte sui documenti.
4.4. Sono infondate anche le censure con le quali i ricorrenti hanno riproposto i motivi
inerenti l’asserita mancanza della condizione di procedibilità della querela della persona offesa
per il reato di truffa, assumendosi che le querele sarebbero state proposte da soggetti non
legittimati: la Corte territoriale, infatti, ha correttamente fatto riferimento alla giurisprudenza
non controversa di questa Corte che riconosce, invece, la legittimazione a proporre querela
anche al terzo danneggiato dal delitto di truffa (sez. F, n. 33884 del 23/8/2012 Rv. 253474:
Fattispecie relativa a richiesta di finanziamento recante firma apocrifa di persona ignara, da
quel momento obbligata al pagamento delle rate; cfr. anche sez. 2, n. 20169 del 3/02/2015,
Rv. 263520), sicché correttamente si è riconosciuta tale legittimazione anche ai soggetti la cui
identità è stata rubata e che sono stati concretamente esposti alla minaccia di recupero del
credito loro apparentemente concesso.
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giuridici, invece, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento, fondato sulla complessità ed

4.5. E’ inammissibile il motivo di impugnazione con il quale il Radosta lamenta vizi della
motivazione della sentenza e la violazione dell’art. 648 bis cod. pen., assumendo di essere
stato ritenuto responsabile del reato di cui al capo EE), dopo essere stato riconosciuto
colpevole del reato presupposto di truffa: la doglianza, infatti, non risulta essere stata
previamente dedotta come motivo di appello secondo quanto è prescritto a pena di
inammissibilità dall’art. 606 comma 3 cod. proc. pen., come si evince dal.l’atto di appello, con
il quale il predetto lamentava l’insussistenza di prove in ordine alla sua colpevolezza e non già
la non punibilità per aver concorso nel reato di truffa presupposto. Per mera completezza di

Ragosta attività di riciclaggio (e non già di autoriciclaggio, sicché a nulla rileva che le condotte
siano precedenti all’entrata in vigore della legge n. 186/2014) per il reimpiego di proventi
illeciti dal reato di cui al precedente capo S) che non è stato contestato allo stesso, tanto che
anche il capo EE) espressamente precisa aver il ricorrente agito “fuori del concorso nel reato di
truffa di cui al capo S)”.
4.6. La mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche al Radosta è stata
giustificata da motivazione fondata sui “precedenti penali plurimi e specifici” da cui questo è
gravato: si tratta di motivazione esente da manifesta illogicità che, pertanto, è insindacabile in
cassazione (sez. 6 n. 42688 del 24/9/2008 rv. 242419), anche considerato il principio
affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il
diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi
favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, me è sufficiente che egli faccia
riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti
gli altri da tale valutazione (sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, rv. 249163; sez. 6, n. 34364 del
16/6/2010, rv. 248244). Il motivo di impugnazione sollevato al riguardo dal predetto
ricorrente è, pertanto, inammissibile.
4.7. Deve ritenersi infondata, invece, la censura sollevata dal De Nigris in relazione
all’asserita violazione degli artt. 497 bis comma 2 cod. pen., 517 e 522 cod. proc. pen., con
riferimento al capo D) dell’imputazione, per essere stato lo condannato in relazione al reato di
cui al comma 2 dell’art. 497 bis cod. pen., pur non essendo stata contestata nel capo di
imputazione alcuna aggravante: deve premettersi, a tal proposito, che il secondo comma
dell’art. 497 bis cod. pen., che punisce la previa contraffazione del documento ad opera dello
stesso detentore, costituisce ipotesi di reato autonoma rispetto a quella del mero possesso
prevista dal primo comma, differenziandosi le due fattispecie per la descrizione delle condotte,
che sono esse stesse elemento costitutivo del reato, non relegabile al ruolo di elemento
circostanziale (Sez. 5, n. 18535 del 15/02/2013 Cc., Rv. 255468). Soprattutto, però, deve
rilevarsi che, pur con un generico richiamo all’art. 497 bis cod. proc. pen., il capo di
imputazione comunque contestava in fatto tale ipotesi di reato, con l’espressione “fabbricava”,
riferita al documento di cui si tratta.

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esposizione, pertanto, va ricordato che la predetta contestazione di cui al capo EE) addebita al

4.8. E’ inammissibile, infine, anche l’ultimo motivo di impugnazione proposto dal De
Nigris, atteso che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle
diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, così come l’aumento disposto
per la continuazione, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così
come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.;
ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova
valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di
ragionamento illogico (cfr. Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013„ Rv. 259142), ciò che – nel caso di

capo P) per mancanza di querela, infatti, la Corte territoriale nell’esercizio della sua
discrezionalità non era in alcun modo tenuta a rideterminare la pena con una riduzione di un
settimo della pena applicata in continuazione per i sette reati ritenuti dal primo giudice
concorrenti con quello più grave in continuazione, come sembra invocare il ricorrente,
trattandosi di reati che, evidentemente, non sono stati ritenuti tutti della stessa gravità dai
giudici di merito.
5. Al rigetto dei ricorsi consegue, ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento ed alla rifusione delle spese del grado
sostenute dalla parte civile, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché in
solido alla rifusione in favore della parte civile Findomesc Banca S.p.a. delle spese del grado
che liquida in complessivi euro 3.510,00 oltre accessori di legge.

Così deciso nella camera di consiglio del 8 aprile 2016.

specie – non ricorre: a seguito del proscioglimento del De Nigris dal reato di truffa di cui al

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