Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30421 del 08/04/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 30421 Anno 2016
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: IMPERIALI LUCIANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

REHO ANDREA, nato a Brindisi il 04/11/1991;
RAMETTA ALESSIO, nato a Brindisi il 23/03/1997;

avverso la sentenza n. 359/2014 della CORTE d’APPELLO di LECCE,
del 10/12/2014;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/04/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCIANO IMPERIALI;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. MARIO M. STEFANO PINELLI,
che ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso;
udito il difensore del Rametta, avv. CINZIA CAVALLO, che ha chiesto l’accoglimento
del ricorso

Data Udienza: 08/04/2016

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza del 7/11/201328/5/2012 il Giudice per l’udienza preliminare del

Tribunale di Brindisi affermava la penale responsabilità di Reho Andrea e Rametta Alessio in
ordine alla rapina pluriaggravata commessa ai danni di una gioielleria in Ceglie Messapica, in
questa assorbito il reato di violenza privata loro contestato , e, esclusa l’aggravante di cui all’art.
61 n. 5 cod. pen., li condannava alla pena di anni cinque, mesi sei ed euro 3000,00 di multa
ciascuno, oltre alle pene accessorie ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile, in

2.

In riforma di tale sentenza, appellata da entrambi gli imputati, la Corte di Appello

di Lecce, con sentenza del 10/12/2014, riconosceva la continuazione tra i reati come sopra loro
ascritti e quelli giudicati con sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di
Bologna del 17/1/2014, irrevocabile 1’11/11/2014, avente ad oggetto altra rapina perpetrata
con analoghe modalità dagli stessi imputati, in concorso con altri, il 19/2013 in Caste!
Maggiore (BO) e rideterminava la pena complessiva in anni sette e mesi otto di reclusione ed
euro 3.200 di multa per ciascuno.
3.1 Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione sia il Reho che il
Rametta, deducendo, quale comune motivo di ricorso, la mancanza di motivazione, nella
sentenza impugnata, in ordine all’individuazione del reato più grave tra quelli in continuazione,
indicato immotivatamente in quello giudicato con sentenza del GIP presso il Tribunale di
Brindisi, pur trattandosi in entrambi i casi di rapine aggravate per le quali, pertanto, era
prevista identica pena edittale, pur essendo state comminate dal Tribunale di Bologna pene
inferiori a quelle di cui alla sentenza del GUP del Tribunale di Brindisi.
3.2. Il Reho ha inoltre ha lamentato, quale ulteriore motivo di impugnazione, la
violazione dell’art. 81 cpv. cod. pen. per avere la Corte territoriale disposto aumenti di pena
per la continuazione violando illegittimamente l’intangibilità del giudicato in relazione alla
sentenza del Tribunale di Bologna, ormai irrevocabile.
3.3. Il Rannetta, invece, oltre al motivo comune con il Reho, ha dedotto la mancanza,
contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle
invocate attenuanti generiche, senza tener conto delle censure mosse con l’atto di appello con
il quale si sottolineava l’ammissione di responsabilità da parte del Rametta, erroneamente
considerata dalla Corte di merito “frutto di strategia processuale piuttosto che segno di
effettiva resipiscenza”.
3.4. Con l’ultimo motivo di impugnazione, poi, lo stesso ricorrente ha dedotto essere
stata applicata la continuazione anche tra reati di cui ad una sentenza emessa su accordo tra
le parti ex art. 444 cod. proc. pen. senza un nuovo accordo sul punto.

2

favore della quale veniva disposta una provvisionale.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi non possono trovare accoglimento, in quanto i motivi di impugnazione sono in
parte infondati ed in parte si discostano dai parametri dell’impugnazione di legittimità stabiliti
dall’art. 606 cod. proc. pen.
1.1. Il motivo di ricorso proposto da entrambi i ricorrenti, in particolare, è infondato, in
quanto per pacifica giurisprudenza di questa Corte nel caso di continuazione tra reati in parte
decisi con sentenza definitiva ed in parte “sub iudice”, la valutazione circa la maggiore gravità
delle violazioni deve essere compiuta confrontando la pena irrogata per i fatti già giudicati con

valutazioni in punto di determinazione della pena già coperte da giudicato e, nello stesso
tempo, di rapportare grandezze omogenee (sez. 2, n. 935 del 23/09/2015, Rv. 265733): sulla
base di tali principi, dal momento che la sentenza impugnata non ha ritenuto di discostarsi
dalla pena irrogata dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Brindisi in relazione
alla rapina perpetrata in Ceglie Messapica, più elevata di quella inflitta dal Tribunale di
Bologna, il reato più grave è risultato così già individuato e la sentenza impugnata non poteva
che porre a “base del calcolo la pena per i fatti del 22/2/2013, più gravi, così come
determinata dal Gip di Brindisi”, così come si legge in sentenza, sicché nessuna lacuna
motivazionale può riconoscersi a tal proposito.
1.2. Inammissibile, invece, è il secondo motivo di ricorso addotto dal Reho, con il quale
si è contestata l’asseritamente illegittima violazione dell’intangìbilità del giudicato in relazione
alla sentenza del Tribunale di Bologna, per effetto della determinazione, in relazione a tali fatti,
di un aumento di pena sulla pena base determinata per i fatti giudicati dal Tribunale di Brindisi:
premesso che difetta l’interesse del ricorrente ad una simile doglianza, atteso che
l’applicazione dell’istituto della continuazione ha comportato soltanto il beneficio di una
riduzione della pena complessivamente inflitta rispetto al cumulo materiale tra quelle già
irrogate per i fatti oggetto dell’unificazione, deve rilevarsi che, una volta che l’imputato abbia
specificamente invocato l’applicazione della continuazione, il giudice dell’impugnazione ha
l’obbligo di pronunciarsi sul tema di indagine devolutogli, sicché non è ammissibile che

il

giudice possa esimersi da tale compito, riservandone la soluzione al giudice dell’esecuzione, la
cui competenza sul punto è sussidiaria, e possa, così, sovrapporre all’iniziativa rimessa al
potere dispositivo della parte la propria valutazione circa l’opportunità di esaminare, o non,
l’istanza dell’impugnante (sez. U, n. 1 del 19/01/2000, Rv. 216238). Conseguentemente,
nessuna violazione dell’intantigibilità del giudicato può riconoscersi nell’applicazione di tali
principi a beneficio dei ricorrenti.
1.3. Inammissibile è anche il motivo di impugnazione con il quale il Rametta si duole del
mancato riconoscimento delle invocate attenuanti generiche, per avere la Corte territoriale
ritenuto l’ammissione di responsabilità da parte del predetto ricorrente “frutto di strategia
processuale piuttosto che segno di effettiva resipiscenza”: si tratta di motivazione esente da
manifesta illogicità, che, pertanto, è insindacabile in cassazione (Cass., Sez. 6, n. 42688 del
3

quella irroganda per i reati al vaglio del decidente, attesa la necessità di rispettare le

24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui
non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle
attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli
dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli
ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale
valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del
16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).
1.4. Infondato è, infine, anche l’ultimo motivo di impugnazione, con il quale il Rametta

accordo tra le parti ex art. 444 cod. proc. pen., pur senza un nuovo accordo sul punto: Il
disposto di cui all’art. 188 disp. att. cod. proc. pen., infatti, non opera nel caso in cui l’istanza
di applicazione della disciplina del reato continuato riguardi in parte sentenze emesse a seguito
d’applicazione della pena su richiesta delle parti e in parte sentenze emesse a seguito di
giudizio ordinario (sez. 1, n. 8508 del 9/01/2013, Rv. 255303).
2. Al rigetto dei ricorsd consegue, ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna
dei ricorrenti che li hanno proposti al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso nella camera di consiglio del 8 aprile 2016.

lamenta essere stata applicata la continuazione anche tra reati oggetto di sentenza emessa su

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