Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 30366 del 08/05/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 30366 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: SABEONE GERARDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BUONOMO GABRIELE N. IL 04/02/1955
avverso la sentenza n. 4394/2012 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di BRESCIA, del 16/07/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GERARDO SABEONE ;

Data Udienza: 08/05/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Il GIP presso il Tribunale di Brescia, con sentenza del 16 luglio 2013,
emessa ai sensi dell’articolo 444 cod.proc.pen., ha applicato a Buonomo Gabriele
la pena concordata con il Pubblico Ministero per i delitti di bancarotta

E’ stata, altresì, disposta la confisca, ai sensi degli articoli 322 ter
cod.pen. e 1, comma 143 L. 245/2007 di beni mobili ed immobili oggetto di
sequestro preventivo.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a
mezzo del proprio difensore, lamentando:
a)

una violazione di legge e un difetto di motivazione in merito alla

mancata assoluzione per gli ascritti reati;
b) una erronea applicazione della legge penale e in particolare dell’articolo
322 ter cod.pen. e una mancanza di motivazione sul punto della ritenuta
applicabilità della confisca
CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondati i relativi

2.

Quanto al primo, in diritto, si afferma pacificamente come: “Nel

motivi.

procedimento di applicazione della pena su richiesta delle parti (articoli 444 e
seg. cod.proc.pen.), (queste) non possono prospettare con il ricorso per
cassazione questioni incompatibili con la richiesta di patteggiamento formulata
per il fatto contestato e per la relativa qualificazione giuridica risultante dalla
contestazione, in quanto l’accusa come giuridicamente qualificata non può essere
rimessa in discussione.
L’applicazione concordata della pena, infatti, presuppone la rinuncia a far
valere qualunque eccezione di nullità, anche assoluta, diversa da quelle attinenti
alla richiesta di patteggiamento e al consenso a essa prestato.
Cosicché, in questa prospettiva, l’obbligo di motivazione del Giudice è
assolto con la semplice affermazione dell’effettuata verifica e positiva valutazione
dei termini dell’accordo intervenuto tra le parti e dell’effettuato controllo degli
elementi di cui all’articolo 129 cod.proc.pen. conformemente ai criteri di legge”
1

fraudolenta, associazione a delinquere, truffa e violazione delle norme tributarie.

(v. Cass., Sez. II, 14 gennaio 2009, n. 5240 e di recente, Sez. V 25 marzo 2010
n. 21287).
Nella specie, questa volta in fatto, il Tribunale ha dato conto del controllo
effettuato circa la sussistenza dei fatti e la loro qualificazione giuridica e, quindi,
dell’impossibilità di addivenire ad una pronuncia di proscioglimento ai sensi
dell’articolo 129 cod.proc.pen..

confisca giova premettere, con discorso di natura generale, come l’ambito di
applicazione della confisca per equivalente inizialmente prevista per alcuni reati
del codice penale sia stato esteso anche ai reati tributari dall’articolo 1, comma
143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Finanziaria 2008), secondo il quale
«nei casi di cui agli articoli 2 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o
altri documenti per operazioni inesistenti), 3 (Dichiarazione fraudolenta mediante
altri artifici), 4 (Dichiarazione infedele), 5 (Omessa dichiarazione), 8 (Emissione
di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), 10-bis (Omesso
versamento di ritenute certificate), 10-ter (Omesso versamento di Iva), 10quater (Indebita compensazione) e 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n.
74 (Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte), si osservano, in quanto
applicabili, le disposizioni di cui all’articolo 322-ter cod.pen.».
Come è noto, la confisca per equivalente può riguardare (a differenza
dell’ordinaria confisca prevista dall’articolo 240 cod.pen., che può avere ad
oggetto soltanto cose direttamente riferibili al fatto illecito) beni che, oltre a non
avere nessun rapporto con la pericolosità individuale dell’agente o della cosa in
sé, non hanno alcun collegamento diretto con il singolo reato: difatti, tale
provvedimento non ricade direttamente sui beni costituenti il profitto del reato,
ma ha per oggetto il controvalore di essi.
Il fondamento del citato articolo 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007
è stato individuato nell’opportunità di consentire l’applicazione di misure ablative
patrimoniali anche a quelle fattispecie di reato inequivocabilmente caratterizzate
dal conseguimento di un profitto o vantaggio economico realizzato attraverso un
“risparmio” di spesa in grado di diminuire o pregiudicare il flusso delle entrate
tributarie.
Attraverso la confisca si è inteso privare il reo di un qualunque beneficio
economico derivante dall’attività criminosa, anche di fronte all’impossibilità di
aggredire l’oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e
disincentivante di tale strumento, che assume i tratti distintivi di una vera e

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3. Quanto all’ulteriore motivo che ha ad oggetto la sola sanzione della

propria sanzione in quanto non è commisurata né alla colpevolezza dell’autore
del reato, né alla gravità della condotta.
Al fine di rafforzare gli strumenti di contrasto all’evasione fiscale è stata
introdotta una “misura sanzionatoria” che si affianca alla pena detentiva per le
violazioni più gravi delle norme tributarie.
È evidente, quindi, come il nesso eziologico tra i beni oggetto di confisca e il

misura colpisce i beni indipendentemente dal loro collegamento, diretto o
mediato, con il reato: la provenienza dei beni da reato non rappresenta più
oggetto di prova, dal momento che scompare ogni relazione di tipo causale (v.
Cass. Sez. VI 6 dicembre 2012 n. 18799).
Per contrastare il fenomeno dell’evasione fiscale è apparsa, dunque,
ragionevole e condivisibile la scelta politico-criminale di rendere obbligatoria
l’ablazione del profitto del reato, o dell’equivalente, anche per i reati tributari a
causa della sostanziale inoperatività della confisca ordinaria.
L’oggetto della misura ablativa è rappresentato dai beni di cui il reo ha la
disponibilità per un valore corrispondente a quelli costituenti il prezzo o il profitto
del reato, che sia stato realmente lucrato dall’indagato (v. Cass. Sez. VI 5
ottobre 2012 n. 42530).
Nei reati tributari il profitto del reato, generalmente coincidente con il
vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato, si identifica
con l’ammontare delle ritenute (v. Cass. Sez. III 8 novembre 2012 n. 45735) o
dell’imposta sottratta al fisco, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale
direttamente derivante dalla condotta illecita, anche se consistente in un
risparmio di spesa (v. Cass. Sez. III 26 maggio 2010 n. 25890; Sez. III 12
ottobre 2011 n. 1893; Sez. III 7 luglio 2010 n. 35807 e Sez. III 4 luglio 2012 n.
3439).
In tale contesto si è ulteriormente sostenuto che l’ammontare della imposta
evasa costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale, direttamente derivante
dalla condotta illecita e, come tale, certamente riconducibile alla nozione di
“profitto del reato”, in quanto sostanzialmente si traduce in un risparmio
economico da cui consegue la effettiva sottrazione degli importi non versati in
conformità alla loro destinazione fiscale, dei quali direttamente beneficia l’autore
(v. Cass. Sez. III 2 dicembre 2011 n. 1199).
Sono confiscabili e, quindi, suscettibili di sequestro preventivo anche i beni
immobili appartenenti al soggetto indagato del delitto di sottrazione fraudolenta
al pagamento di imposte, alienati per far venir meno le garanzie di un’efficace
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fatto-reato dimostri una tendenza ad allentarsi fino a scomparire, in quanto la

riscossione dei tributi da parte dell’Erario, in quanto costituiscono lo strumento a
mezzo del quale viene commesso il reato, a nulla rilevando la loro qualificazione
quale prezzo o profitto di tale delitto (v. Cass. Sez. III 4 giugno 2009 n. 34798).
Il profitto, dunque, quale risparmio del contribuente, non può che essere
calcolato con riferimento alla totalità del credito vantato dall’erario (comprensivo
degli interessi e delle sanzioni), essendo del tutto indifferente la natura delle voci

complessivamente il pagamento delle imposte (v. Cass. Sez. V 10 novembre
2011 n. 1843), che non esclude il conseguimento di vantaggi ulteriori riflessi per
il soggetto evasore (v. Cass. Sez. III 4 luglio 2012 n. 11836).
La nozione di profitto elaborata dalle Sezioni semplici nella materia tributaria
è stata, poi, integralmente recepita da un recente pronunciamento delle Sezioni
Unite, secondo cui “il profitto confiscabile può essere costituito da qualsivoglia
vantaggio patrimoniale direttamente conseguente alla consumazione del reato e
può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante
dal mancato pagamento del tributo, interessi e sanzioni dovuti a seguito
dell’accertamento del debito tributario” (v. Cass. Sez. Un. 31 gennaio 2013 n.
18374).
È stato osservato che “la pretesa tributaria” non ha precisi confini per
l’operatività di alcuni meccanismi di deflazione del contenzioso fiscale:
l’obbligazione tributaria sorta in base alla legge si modula diversamente nella
dinamica impositiva anche in relazione ad una serie di istituti che hanno sempre
più accentuato la determinazione concordata dell’imposta (il riferimento è alla
mediazione tributaria introdotta dall’articolo 39, comma 9, del d.l. 6 luglio 2011,
n. 98), ovvero l’adempimento spontaneo della pretesa a definizione del rapporto
tributario (d.lgs 19 giugno 1997, n. 218, disposizioni in materia di accertamento
per adesione e di conciliazione giudiziale), per cui la debenza tributaria
conclusiva spesso diverge dalla pretesa originaria; ma se nel diritto tributario è
ormai chiara l’apertura verso una vera e propria negoziabilità della pretesa
fiscale, deve essere ribadita la piena autonomia del procedimento penale per
l’accertamento dei reati tributari rispetto al processo tributario e all’accertamento
fiscale (v. Cass. Sez. III 19 settembre 2012 n. 1256).
Infine, ai sensi dell’articolo 445 cod.proc.pen., comma 1, come modificato
dalla L. 12 giugno 2003, n. 134, con la sentenza prevista dall’articolo 444
cod.proc.pen., è possibile disporre la confisca in tutti i casi previsti dall’articolo
240 cod.pen, e, quindi, sia quando la confisca è obbligatoria che facoltativa.
Differente è, però, l’obbligo di motivazione gravante sul giudicante,
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che lo compongono, dato che la condotta illecita è finalizzata ad evitare

giacché, “in caso di confisca facoltativa il Giudice è tenuto a motivare l’esercizio
del suo potere discrezionale e, nel caso di confisca obbligatoria, egli è tenuto ad
evidenziare il presupposto legale” della confisca (v. da ultimo Cass. Sez. V 25
giugno 2013 n. 31250).
In quest’ultimo caso la “evidenziazione” del presupposto legale è contenuta
nel corpo della motivazione e di conseguenza si sottrae a qualsiasi vizio

4. Ne consegue, in definitiva, l’inammissibilità del ricorso e la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in
favore della Cassa delle Ammende, che appare equo determinare in euro
1.500,00 trattandosi di impugnazione di una sentenza di patteggiamento.

P.T.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore
della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, 1’8 maggio 2014.

denunziabile avanti questa Suprema Corte.

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