Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3032 del 01/12/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 3032 Anno 2016
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: SCALIA LAURA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Sulis Giuseppe nato a Lanusei (OG) il 27/06/1982

avverso la sentenza del della Corte di appello di Cagliari del 10/03/2015

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Laura Scalia;
udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale
Giuseppina Fodaroni, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Davide Cerina che ha concluso riportandosi ai motivi di
ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 10 marzo 2015, la Corte di appello di
Cagliari, nel rigettare l’impugnazione proposta da Giuseppe Sulis, ha
confermato la sentenza del Tribunale di Lanusei con cui l’appellante era
stato condannato, concesse le attenuanti generiche e unificati i reati sotto il

4.

Data Udienza: 01/12/2015

k.

vincolo della continuazione, alla pena di un anno e otto mesi di reclusione,
con la sospensione condizionale.
Il Sulis è stato ritenuto responsabile del delitto di calunnia per aver
denunciato, presso il Commissariato di P.S. di Tortolì, lo smarrimento di un
assegno che invece egli aveva consegnato ad un terzo prenditore per il
pagamento dì fatture emesse per la macellazione di taluni capi di bestiame.
Per le indicate modalità dell’accertata condotta, i Giudici di merito hanno
ritenuto come l’imputato avesse accusato falsamente il prenditore dei titolo,

altresì reso responsabile del delitto di truffa.
Il prevenuto aveva infatti conseguito l’ ingiusto profitto rappresentato
dall’importo dell’assegno, pari ad C 3.000,00, rendendone impossibile
l’incasso al prenditore attraverso la proposta denuncia.
Il Sulìs aveva apposto sul titolo una firma deliberatamente apocrifa e
quindi denunciato lo smarrimento dell’assegno, di cui provocava il protesto
anche per la non conformità della firma allo specimen.

2. Avverso l’indicata sentenza propone ricorso per cassazione la difesa
del Sulis che articola tre motivi.
2.1. Con il primo motivo, la difesa denuncia vizi di motivazione (art. 606,
comma 1, lett. e) cod. proc. pen.) in relazione al mancato governo degli esiti
delle deposizioni testimoniali tra loro contrastanti e non assoggettate al
richiesto stringente controllo, al fine di pervenire ad una condanna al di là di
ogni ragionevole dubbio.
Le dichiarazioni rese dai testi Francesco Forma e Massimo Busonera,
rispettivamente socio dipendente e ragioniere della “Centro Carni” — di cui
era legale rappresentante Antonio Costantino Forma, prenditore del titolo —,
entrambi autori dell’atto di querela sporto ai danni del prevenuto, sarebbero
state, tra loro, contrastanti quanto all’ora ed alla data di emissione del titolo,
delle fatture, formate per la prestazione pagata con l’assegno, e la consegna
delle stesse.
Denuncia il ricorrente come siffatti contraddittori contenuti sarebbero
stati svalutati dalla Corte di appello che, con motivazione non perspicua, e
quindi carente, avrebbe qualificato i primi in termini di sostanziale
irrilevanza, espressione di un mero difetto di memoria.
Del pari sarebbe stata valorizzata dalla Corte di appello la mancanza
della quietanza del pagamento ed uno spessore criminale dell’imputato che,
apposta la firma a mo’ di scarabocchio, avrebbe reso possibile il rifiuto del

2

sapendolo innocente, del reato di cui all’art. 648 cod. pen., rendendosi

pagamento da parte della banca trattaria per mancata conformità allo

specimen depositato.
La Corte territoriale avrebbe poi quindi escluso, in modo immotivato,
secondo un’ alternativa lettura del descritto episodio del pagamento, una
manovra truffaldina degli accusatori del Sulis ai danni di quest’ultimo,
evidenziando, sul punto, il mero difetto di beneficio economico alcuno da
parte del rappresentante e dei dipendenti della “Centro Carni”.
La medesima Corte avrebbe poi utilizzato, quale argomento a sfavore del

laddove proprio siffatta condotta avrebbe invece deposto per il carattere non
dovuto del pagamento.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia vizio di motivazione
(art. 606, comma 1, lett. d) cod. proc. pen.) per avere la Corte di appello
disatteso senza motivare la versione dei fatti dichiarata dall’imputato e
quindi le circostanze: che il Sulis non fosse conosciuto presso la “Centro
Carni”; che il pagamento dei capi di bestiame macellati presso il “Centro”
sarebbe avvenuto per denaro contante senza rilascio di fattura, mai inviata
all’imputato; che il Sulis non avrebbe mai compilato l’assegno in alcuna sua
parte.
2.3. Con il terzo motivo, la difesa lamenta violazione di legge
processuale (art. 606, comma 1, lett. d) cod. proc. pen. in relazione all’art.
495, comma 2, cod. proc. pen.) per mancato espletamento di perizia
grafologica su quelle parti dell’assegno, vergate a mano e non riconducibili
alla firma dell’imputato, che aveva denunciato lo smarrimento di un
assegno, completamente in bianco.
Sul punto il ricorrente evidenzia la contraddittorietà delle motivazioni
spese dai Giudici di primo e secondo grado, avendo argomentato il Tribunale
dall’impossibilità per un perito di risalire all’autore della sottoscrizione, e la
Corte di appello dall’autosufficienza della prova.
La difesa ricorrente ha quindi concluso per l’assoluzione del prevenuto
con la formula perché il fatto non sussiste e, in via subordinata, per
l’annullamento con rinvio per l’assunzione della prova richiesta.

RITENUTO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
Tutti i vizi di motivazione denunciati in ricorso, finalizzati a contestare
la ricostruzione dei fatti così come operata dalla Corte di appello, risultano
proporre alla Corte di legittimità, attraverso diverse ed alternative letture
3

prevenuto, la mancata costituzione di parte civile della “Centro Carni”

del dato probatorio acquisito, un inammissibile sindacato sul fatto, per
riconduzione a quelli che sono i contenuti propri del controllo di legittimità,
di un improprio ulteriore grado di giudizio.
In materia di prove, la valutazione richiesta dall’art. 192, commi 3 e 4,
cod. proc. pen. spetta infatti al giudice di merito, dovendo la Corte di
cassazione, cui sia stata denunciata la violazione della citata disposizione dì
legge, limitare il proprio giudizio all’accertamento della sussistenza dei vizi di
legittimità indicati dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen.

14/10/1997, Arena, Rv. 211578,).
Alla Corte di cassazione spetta infatti il sindacato sulle massime di
esperienza adottate nella valutazione degli indizi nonché la verifica sulla
correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito e delle argomentazioni
sostenute per qualificare l’elemento indiziario, ma non un nuovo
accertamento, nel senso della ripetizione dell’esperienza conoscitiva del
giudice del merito.
L’esame da condursi dal giudice di legittimità sulla gravità, precisione e
concordanza degli indizi è invero un mero controllo sul rispetto, da parte del
giudice di merito, dei criteri dettati in materia di valutazione delle prove
dall’art. 192 cod. proc. pen., controllo da eseguirsi per i parametri della
completezza, della correttezza e della logicità, sulla motivazione della
sentenza impugnata (Sez. 6, n. 20474 del 15/11/2002, Caracciolo).
I motivi proposti non segnalano errori o contraddizione nel percorso di
motivazione osservato dalla Corte territoriale e non offrono una alternativa
lettura del dato probatorio tale da evidenziare, di quella ritenuta dai giudici
di merito, l’insufficienza ad integrare una affermazione di colpevolezza “al dì
là di oltre ogni ragionevole dubbio” (art. 533, comma 1, ccd. proc. pen.).

2. All’ inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa
delle ammende, che si reputa equo stimare in euro 1.000,00, in ragione
della ritenuta sanzionabilità dell’assunta iniziativa processuale in quanto
colposamente connotata.

(mancanza o manifesta illogicità della motivazione) (Sez. 6, n. 9104 del

P.Q.M.

Dichiara inammissibile Il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2015

Il Presidente

Il Consigliere estensore

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